· Città del Vaticano ·

Nel Cortile di San Damaso il giuramento di 23 Guardie svizzere pontificie

Servizio e dedizione
al Pontefice e alla Chiesa

 Servizio e dedizione  al Pontefice  e alla Chiesa  QUO-106
08 maggio 2023

Fedeltà al Papa e alla Chiesa. È il nucleo della promessa dei 23 nuovi alabardieri della Guardia svizzera pontificia che hanno prestato giuramento sabato pomeriggio, 6 maggio, nel cortile di San Damaso. Alla suggestiva cerimonia, presieduta dall’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, hanno partecipato i genitori e i fratelli delle giovani guardie, insieme ai rappresentanti ufficiali della Chiesa e della Confederazione elvetica.

Le reclute hanno fatto la loro promessa nello stesso giorno in cui si commemora il sacrificio delle 147 guardie che trovarono la morte nel 1527 per difendere la vita del Pontefice. Rivolgendosi ai nuovi alabardieri, il benedettino Kolumban Reichlin, cappellano del Corpo, ha sottolineato che con il giuramento le reclute esprimono la disponibilità «a un servizio speciale in un luogo significativo» come il Vaticano. Anno dopo anno, questo «centro vivo e pieno di spirito del cristianesimo attrae milioni di persone e le fa tornare a casa interiormente edificate e rafforzate». Da qui l’invito a unirsi alla «grande folla di cercatori di Dio e di pellegrini» e ad approfittare di «questo luogo di grazia per conoscere ancora meglio la Chiesa e la fede cristiana». Conoscere la Chiesa e la fede significa, infatti, «conoscere Gesù Cristo». Il cappellano ha poi chiesto alle guardie di vivere il servizio e la vita quotidiana «con cuore aperto, curioso, e sensi risvegliati», lasciandosi «accompagnare dal Signore risorto». Egli, ha aggiunto, «vi ha ispirato a partire, a venire qui e a fare questo servizio al Santo Padre, e continuerà ad ispirarvi ed accompagnarvi». In questo senso, egli «desidera far conoscere a ciascuno di noi la sua presenza nascosta ma potente e rivelarci la bellezza, la pienezza e la vastità dell’amore per il quale ha garantito con il dono della sua vita». Quindi ha invitato le reclute a continuare ad andare avanti «con determinazione nella vostra ricerca di Dio». Egli può e vuole «darvi intuizioni e conoscenze che non potete scaricare da internet, studiare in una qualsiasi scuola o università o acquisire con il denaro; conoscenze che vi stupiranno e vi faranno capire a piccoli passi che noi esseri umani non siamo frutto del caso, che c’è un senso profondo e un grande obiettivo dietro la creazione e la nostra esistenza umana, ovvero la vita eterna con Dio, il mistero dell’amore».

Da parte sua, il comandante del Corpo, Christoph Graf, ha messo in evidenza che la divisa indossata dalle guardie — «opera del colonnello Jules Repond, che l’ha introdotta nel 1914» — fa parte «dell’immagine quotidiana del Vaticano ed è un soggetto ricercato per le foto delle decine di migliaia di pellegrini e turisti che ogni giorno visitano il Vaticano». Essa dunque «svolge un compito comunicativo importante». Da un lato indica «l’appartenenza a un corpo che esiste da oltre 500 anni e al quale è stato affidato l’importante compito di occuparsi della sicurezza del Santo Padre e della sua residenza». Dall’altro, si deve considerare «come biglietto da visita del Santo Padre e del Vaticano». In tal senso, ha detto, «ci è affidata una grande responsabilità». Infatti, la divisa trasmette «un senso di protezione, competenza, rispetto e autorità, ma esige anche che ognuno s’identifichi personalmente con il servizio, la lealtà, la fedeltà e l’affidabilità».

Del resto, ha affermato, «l’abito non ci dice chi c’è dentro». E dunque una guardia non è tale semplicemente grazie alla divisa, «proprio come un bell’abito non dice niente del carattere di una persona». Anzi, dietro una veste «ci si può nascondere nell’anonimato»; e una divisa, in particolare, può «cambiare la personalità di un uomo e indurre all’arroganza, alla presunzione, alla superbia e all’abuso di potere».

A questo proposito Graf ha ricordato che più di 800 anni fa, nella piazza del mercato d’Assisi, il figlio di un ricco mercante si spogliò completamente delle sue vesti davanti a una grande folla, creando scandalo: era san Francesco. All’inizio fu «considerato pazzo e venne deriso», ma poi «quel “ribelle” è diventato uno dei più importanti riformatori della Chiesa. E ancora oggi è uno tra i santi più amati dalla gente». Con quel gesto egli desiderava dimostrare che abiti o ricchezze non possono nascondere la realtà più intima e umile dell’uomo.

La testimonianza e il gesto di san Francesco, ha detto rivolgendosi alle reclute, «ci esortano a essere persone autentiche». Infatti, «non portate questa divisa come un abito di scena, ma come espressione del vostro servizio. Riempitela con la vostra personalità, nella consapevolezza di essere parte di un grande insieme». Non è una cosa che «dobbiamo raggiungere da soli, ma possiamo contare sempre sugli altri e sull’aiuto di Dio».

Alla cerimonia hanno partecipato, tra gli altri, il presidente della Conferenza episcopale svizzera, Felix Gmür, vescovo di Basilea, e una delegazione della Confederazione svizzera, guidata dalla vicepresidente Viola Amherd, con il presidente del Consiglio nazionale, Martin Candinas, e la presidente del Consiglio degli Stati, Brigitte Häberli-Koller. Erano presenti anche il comandante dell’Esercito svizzero, Thomas Süssli e una delegazione del Cantone ospitante di Argovia, guidata dal landammann Jean Pierre Gallati.