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In rappresentanza del Papa il cardinale Semeraro ha beatificato a Granada Conchita Barrecheguren

Nella vulnerabilità
la via alla santità

 Nella vulnerabilità  la via alla santità  QUO-105
06 maggio 2023

I tesori vengono conservati in vasi preziosi e custoditi in casseforti; Gesù, invece, viene ad abitare in ogni uomo. È il paradosso del mistero cristiano, che si può contemplare anche nella vicenda cristiana di Maria Conchita della Concezione Barrecheguren García, come ha sottolineato il cardinale Marcello Semeraro durante la cerimonia di beatificazione della giovane laica spagnola. Il rito, che si è svolto nella cattedrale di Granada sabato mattina, 6 maggio, è stato presieduto dal prefetto del Dicastero delle cause dei santi in rappresentanza di Papa Francesco.

La vita terrena della nuova beata fu breve — appena ventidue anni — e, per di più, molto presto segnata dalla sofferenza e dalla malattia. «Davvero un vaso di creta!», ha sottolineato il porporato. In lei, però, si è realizzato quello che scrive l’apostolo: «tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati... portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo».

Conchita, ha ricordato Semeraro, nacque a Granada all’inizio del secolo scorso, «figlia di una coppia per molti aspetti davvero fortunata». Non mancava, infatti, «il benessere economico, ma ancor più abbondavano i beni spirituali». La famiglia «era edificata sulle solide basi della fede». Suo padre, Francisco, dopo la morte della moglie, diverrà religioso redentorista ed ora è venerabile: «singolare fecondità della vita di grazia», ha commentato il cardinale.

L’educazione religiosa ricevuta dai genitori dispose Conchita ad «accettare con serenità e gioia i molti disagi provocati da una salute sempre più gravemente compromessa». La frequenza ai sacramenti e, in particolare, la comunione quotidiana, alla quale la beata «si mantenne sempre fedele, la sostennero nella fatica e la disposero a riconoscere e accogliere in tutto la volontà di Dio». Le fu di grande aiuto «la devozione alla Vergine Maria, che onorava con la recita del rosario».

La nuova beata sperimentò la promessa del Signore: così «ha dato frutto abbondante perché è sempre stata unita a Cristo e mai si è distaccata da lui, anche nelle ore buie della prova». Dovette, difatti, «affrontare avversità umanamente superiori alle sue deboli forze, come la malattia mentale della madre, le sue proprie sofferenze fisiche e, nell’ultima fase dell’esistenza terrena, quelle provocate dalla tubercolosi». Tutto, però, ella «illuminò con la sapienza della Croce, convinta che le pene e le sofferenze rendono la creatura più vicina e somigliante a Cristo».

Il cardinale ha ricordato l’omelia di Papa Francesco del 16 giugno 2017 a Casa Santa Marta, quando disse che il segreto per essere «molto felici» è riconoscersi sempre deboli e peccatori, cioè «vasi di creta». In quell’occasione, ha spiegato, il Pontefice «mise a fuoco un aspetto della condizione umana» che poi, specialmente negli anni successivi in occasione della pandemia da covid-19, si sarebbe mostrata con maggiore evidenza: «la vulnerabilità, la fragilità». Riconoscerla — diceva il Papa — è «una delle cose più difficili nella nostra vita ed ecco che, invece di riconoscerla, cerchiamo di coprirla, o di truccarla perché non si veda». Essa, in realtà, è «una dimensione costitutiva dell’umano ed è, in quanto tale, una dimensione che ci interpella e richiede delle risposte, poiché contiene una vocazione che è un appello alla socialità nella forma della solidarietà».

A questa vocazione è chiamato «a dare una risposta specialmente il credente, il quale conosce il Dio che si è fatto carne e che, facendo propria la debolezza della condizione umana, l’ha trasformata in luogo di costruzione della fraternità, della solidarietà, dell’amore». Si può dire, anzi, che la risposta cristiana «può incontrare le simili risposte che possono essere date da parte di tanti che, pur non credenti, sono ugualmente sensibili all’umano e alla sofferenza degli umani». Ed è così che «la fragilità può svolgere un ruolo importante nella creazione di un’etica condivisa ed essere un elemento di base per una armonica convivenza sociale».

La vocazione che giunge dalla vulnerabilità la beata «l’ha riconosciuta, l’ha accettata e l’ha vissuta». Ha indicato «pure il metodo sul come farlo». Scrisse, infatti: «Il mio amore sarà un Dio crocifisso, il mio cibo la preghiera, la mia fortezza l’Eucaristia». Per realizzare questo programma di vita cercò «pure un esempio in santa Teresa di Lisieux». I santi beatificati e canonizzati, come disse il Papa nel discorso del 6 ottobre 2022 al Dicastero delle cause dei santi, «ricordano a tutti che vivere il Vangelo in pienezza è possibile ed è bello».

Anche questa nuova beata, ha concluso Semeraro, «diventa per tutti noi un modello da imitare». Soprattutto a chi è «nella sofferenza e nella prova, Conchita, con l’offerta della sua giovane, breve esistenza e con l’affidamento totale e fiducioso in Dio», mostra come «la conformazione a Cristo, nell’amore crocifisso, trasforma la sostanza della vita, anche la più complessa e difficile». Per questo, ha detto il prefetto, «oggi noi rendiamo grazie al Signore, che con le sue ferite ha redento il mondo».