Con i bambini malati e con i poveri: si è aperta nel segno della vicinanza al mondo della sofferenza la seconda giornata di Papa Francesco in Ungheria.
In una mattinata grigia, bagnata a tratti da una leggera pioggerellina che ha reso mesta l’atmosfera di questi incontri con persone segnate dal dolore, in particolare quello innocente dei più piccoli, il Pontefice ha portato il suo messaggio di speranza con “il linguaggio della carità”, visitando un istituto per minori ipovedenti e disabili e la chiesa di Santa Elisabetta, dov’era ad attenderlo una nutrita rappresentanza dei tanti bisognosi assistiti dalla Chiesa ungherese.
Celebrata in privato la messa nella nunziatura apostolica, sua residenza qui a Budapest, il Pontefice ha raggiunto in auto di buon mattino l’Istituto intitolato al beato László Batthyány-Strattmann, il nobile divenuto medico, chirurgo e oculista, sempre al servizio dei poveri, elevato agli onori degli altari da Giovanni Paolo ii venti anni fa, nel marzo 2003.
Situata su una verde collina, nella quiete degli alberi alla periferia della capitale, la struttura accoglie nella sua scuola materna ed elementare per ciechi, anche alunni con disabilità motorie e bisogni educativi speciali, grazie all’attività infaticabile di insegnanti, volontari e professionisti della salute mentale, che hanno a disposizione moderni strumenti didattici e fisioterapici, una piscina e una palestra con cyclette a misura di bambino e una rastrelliera su cui sono allineate protesi per la deambulazione.
Nel centro vi sono anche una cappella per la preghiera e un laboratorio, dove gli ospiti realizzano prodotti artigianali in tessuto. È stato fondato e diretto per quasi quarant’anni da suor Anna Fehér — qui chiamata la “madre Teresa di Ungheria” — fino alla sua morte, avvenuta nel gennaio 2021. Pedagoga ed ella stessa ipovedente, è stata l’ultima religiosa ungherese dell’ordine delle Suore di Santa Elisabetta. Con il sostegno del cardinale László Lékai, nel 1982, avviò la sua opera nella capitale in un appartamento di appena 100 metri quadri. L’arrivo di tanti bambini bisognosi di attenzioni impose nel 1989 il trasferimento nell’attuale sede, che, gestita dal 2016 dall’organizzazione di origine tedesca “Kolping”, qui nota come “Koszisz”, dipende dalla Conferenza episcopale ungherese.
Accompagnato dal direttore György Inotay, il Papa ha visto alcune aule con le pareti tappezzate dai disegni degli alunni e i corrimani per facilitare i loro passi incerti; quindi ha raggiunto il refettorio, dov’erano ad attenderlo rappresentanti e famigliari dei 72 tra bambini e ragazzi che frequentano la struttura, alcuni dei quali vi risiedono stabilmente in un ambiente che offre assistenza, istruzione, ma soprattutto amore. Diversi di essi sono in sedia a rotelle, altri si muovono a tentoni con l’andatura di chi non può vedere cosa gli accade intorno. A volte alla malattia si aggiungono anche difficoltà psicologiche. Ma grazie al “linguaggio della carità” qui si riescono a superare tanti piccoli e grandi problemi quotidiani.
Dopo le parole di benvenuto del direttore, che ha declamato la preghiera francescana O Signore fa’ di me uno strumento della tua pace, al vescovo di Roma è stato offerto un commovente intermezzo musicale, accompagnato dalle note di un pianoforte e da strumenti a percussione, con canti sacri e brani popolari, e l’esecuzione di una struggente melodia con il flauto da parte di una bambina. Francesco ha ringraziato affettuosamente, improvvisando parole d’incoraggiamento e lasciando in dono una scultura in cartapesta della Madonna che scioglie i nodi, l’immagine mariana di cui è divenuto devoto durante un periodo di studi teologici trascorso in Germania.
La recita del Pater Noster ha preceduto la benedizione impartita ai presenti dal Pontefice, che nel congedarsi ha anche incontrato alcuni dipendenti. Quindi, nel lasciare l’istituto, Papa Bergoglio si è fermato a salutare individualmente un centinaio di bambini e giovani della vicina parrocchia intitolata a san Laszlo — il re Ladislao — che lo attendevano lungo la strada. Indossando magliette gialle e bianche, i colori del Vaticano, hanno pregato e cantato attirando l’attenzione degli abitanti della zona, alcuni dei quali si sono uniti a loro per rendere omaggio al Pontefice.
Risalito in automobile, ha poi percorso una decina di chilometri per recarsi in piazza delle Rose, nel quartiere ebraico di Budapest, dove sorge la chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria. La giovane principessa della casa di Arpád portava il pane ai poveri, perciò il Pontefice ha visitato il bellissimo tempio a lei dedicato, dove si sono radunate centinaia di persone tra indigenti, emarginati, rappresentanti delle istituzioni e dei servizi di aiuto ecclesiali e religiosi attivi qui in terra magiara. Tra i presenti, rom ungheresi e rifugiati pakistani, afgani, iracheni, iraniani, nigeriani e sudanesi, e soprattutto profughi dall'Ucraina. Dall’inizio del conflitto l’Ungheria ha accolto un milione di persone dalla martoriata nazione confinante, e di questi almeno in 30 mila hanno deciso di rimanere nel Paese, avendo avuto la possibilità di frequentare la scuola o trovare un’occupazione. Soprattutto lungo la frontiera la Chiesa, attraverso istituti di consacrati e movimenti laicali, ha attivato diversi servizi di accoglienza e aiuto: Katolikus Karitász, Catholic Relief Service, Ordine di Malta, Comunità di Sant’Egidio e Missionarie della carità, tra i più attivi in questo campo.
Accolto all’ingresso dal vescovo presidente della Caritas ungherese e dal parroco di Santa Elisabetta, che gli ha porto la croce e l’acqua benedetta per aspergere i fedeli, mentre il coro intonava un canto, il Papa ha percorso la navata centrale fino all’altare, dove gli sono state presentate le testimonianze di una madre di tre figlie, che nelle difficoltà ha trovato aiuto nella Chiesa greco-cattolica, e di una famiglia di rifugiati ucraini, padre, madre e cinque bambini, che, con l’accompagnamento musicale di una fisarmonica e di un sassofono, hanno anche eseguito un canto di ringraziamento agli organismi caritativi occupatisi di loro. Quindi è stata la volta di un diacono permanente e di sua moglie, fondatori di un servizio di solidarietà con i senzatetto che popolano le strade di Budapest. Infine il Papa ha pronunciato il discorso, seguito — al ritmo di battiti di mano e al suono delle chitarre — da festosi canti tradizionali dei rom, che in Ungheria costituiscono il 3 per cento della popolazione.
Attraverso piazza delle Rose, dove grazie ai maxischermi un altro migliaio di persone aveva seguito l’incontro, il Papa ha raggiunto la confinante parrocchia greco-cattolica per l’ultimo appuntamento della mattina.
dal nostro inviato
Gianluca Biccini