· Città del Vaticano ·

A Parigi la beatificazione di Henri Planchat e di quattro compagni martiri

Colpevoli solo
di essere dei consacrati

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22 aprile 2023

Al numero 85 di rue Haxo di Parigi, nel xx arrondissement, tra i resti di un muro in pietra vi è una targa commemorativa. Su di essa è incisa una data: 26 maggio 1871. Ricorda un massacro: cinque consacrati uccisi in odio alla fede durante la Comune di Parigi (18 marzo - 28 maggio 1871). Si tratta di Henri Planchat, religioso di San Vincenzo de’ Paoli, e di Ladislas Radigue, Polycarpe Tuffier, Marcellin Rouchouze e Frézal Tardieu, religiosi dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria (Picpus). Questo pomeriggio, 22 aprile, nella chiesa di Saint Sulpice, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, li beatifica in rappresentanza di Papa Francesco.

L’eccidio non è molto conosciuto, ma è sicuramente un atto efferato perpetrato a danno di inermi religiosi che altra colpa non avevano se non di servire Dio e la Chiesa. Fu un colpo di coda della Comune, che appena due giorni dopo si sarebbe conclusa con un bagno di sangue.

I comunardi — che contestavano la decisione di consegnare la Francia ai prussiani, dopo la sconfitta subita e la caduta del secondo impero — volevano costruire una società più egualitaria, difendendo i diritti dei più poveri. Nel giro di poche settimane furono adottati diversi decreti o leggi in questo senso. Tra queste, la parità di retribuzione tra uomini e donne, la riduzione dell’orario di lavoro per gli operai e la separazione tra Stato e Chiesa. La Comune non voleva che i sacerdoti e i religiosi svolgessero un ruolo sociale, perché considerava la loro azione paternalistica e quindi lesiva della dignità dei poveri. L’allora presidente del consiglio dei ministri Adolphe Thiers e il governo al potere si erano rifugiati a Versailles.

I pensatori della Comune, Théophile Ferré, Jules Vallès e Louise Michel, promossero un umanesimo di riforma sociale, politica e morale. Un “umanesimo ateo”, secondo le parole del teologo Henri de Lubac. La Chiesa, invece, era considerata dalla parte dei borghesi. In questo senso, era sospettata di cospirare con il regime di Versailles.

Il 5 aprile la Comune adottò un provvedimento noto come il “decreto degli ostaggi”. Stabiliva che «tutti gli accusati, trattenuti dal verdetto della giuria, saranno ostaggi del popolo di Parigi». In quel mese furono arrestati quasi trecento sospettati, tra preti, religiosi, laici. Tutti considerati nemici della Comune. Vennero incarcerati nella prigione di Mazas, vicino alla Gare de Lyon. Tra di essi vi era monsignor Georges Darboy, arcivescovo di Parigi, arrestato il 4 aprile, ma anche padre Planchat. Venne catturato due giorni dopo mentre confessava in una chiesa nel quartiere di Charonne. La sua colpa era quella di essere molto popolare tra la gente della zona, che era completamente scristianizzata, e di gestire un oratorio. Non svolgeva nessun ruolo politico, ma solo attività pastorale e di carità.

All’entrata a Parigi delle truppe del governo di Versailles, il 21 maggio, iniziarono le esecuzioni sommarie e migliaia di comunardi furono uccisi. In risposta, prigionieri e civili simpatizzanti o presunti tali di Versailles furono massacrati dai comunardi. Si appellavano al “decreto degli ostaggi”, che prevedeva per ogni esecuzione di un prigioniero di guerra o di un sostenitore della Comune l’immediata esecuzione di un numero triplo di ostaggi che sarebbero stati designati a sorte. Una giuria d’accusa doveva decidere sulla colpevolezza dei prigionieri prima che potessero essere essere considerati come ostaggi. Ma nel caso dei cinque religiosi ciò non avvenne. Erano incarcerati nella prigione di La Roquette quando, il 26 maggio, il colonnello Émile Gois prese la decisione di giustiziarli. Li trasse dal carcere e li condusse al quartier generale della guardia nazionale di rue Haxo. Erano 36 gendarmi, 10 preti e religiosi e 4 persone considerate spie.

Lungo il tragitto una folla inferocita inneggiava al massacro. Gli ostaggi furono fucilati dieci a dieci, nonostante l’opposizione di alcuni dirigenti della Comune presenti sul posto. Le esecuzioni durarono circa un quarto d’ora, in un clima di ferocia inaudita, tra applausi e grida di odio da parte della folla: «Viva la Comune! A morte! A morte!».

Il colonnello Gois entrò in un vicolo seguito dai prigionieri. Un brigadiere d’artiglieria si fermò all’ingresso e ad ogni condannato assestò un colpo vigoroso. Padre Tuffier inciampò sul gradino della soglia: il pugno del militare gli fece perdere l’equilibrio e cadde a terra a faccia in giù. Un comunardo lo colpì con il calcio di un fucile e lo costrinse a rialzarsi.

Insieme alle guardie, la folla si era precipitata nel vicolo. Uomini, donne e perfino bambini picchiavano le loro vittime a piacimento, le spintonavano e le trascinavano a terra. Contemporaneamente, dalle strade, dalle case e dai giardini vicini si levavano grida. Alcuni gendarmi che stavano per essere fucilati misero insieme frettolosamente piccoli pacchetti contenenti denaro, ricordi o un biglietto d’addio, e chiesero ai loro carnefici di consegnarli alle loro famiglie. Ma anche questa richiesta era accolta con spregio e il pacchetto veniva sequestrato o distrutto.

Passati cinque o sei minuti da quando gli ostaggi erano entrati nel vicolo, alcuni capi della Comune cercarono di fermare il massacro, ma non ci riuscirono. Volevano sospendere l’esecuzione, il tempo necessario per convocare una corte marziale o un consiglio di guerra, sottraendo le vittime alla rabbia della folla. Il capitano Dalivous, che presiedette al massacro insieme al colonnello Benot, chiese alla gente se i prigionieri dovessero essere risparmiati o messi a morte. Allora, si levarono le grida: «A morte, a morte!». In quel momento tre gendarmi vennero spinti al muro con il calcio del fucile. Mentre Planchat implorava i carnefici di risparmiare i padri di famiglia, i gendarmi e gli ostaggi civili, offrendosi in sacrificio per loro insieme agli altri sacerdoti, un giovane, irritato da questo gesto, si scagliò su di lui e lo mise al muro: «Ai padri di famiglia ci penso io!». Questo fu il segnale del massacro.

Immediatamente scoppiò una sparatoria furiosa e disordinata. I tre gendarmi caddero a terra. Dalivous e i gli altri caricarono e scaricarono le armi senza sosta. Dalle testimonianze raccolte dal tribunale militare di Versailles si apprende che mentre un comunardo stava per sparare a un giovane gendarme, padre Tuffier si precipitò sull’assassino, lo spinse e si mise davanti alla vittima. Il suo gesto scatenò contro di lui un’ulteriore ondata di violenza e di insulti. «Tre colpi per quello!», si sentì gridare. In risposta, il religioso fece un gesto di benedizione, e chiese di lasciarlo pregare, prima di essere abbattuto dalla cieca furia dei suoi aguzzini.