· Città del Vaticano ·

Il tema della settimana
Farsi carico della sofferenza e della fragilità: la sanità cattolica
rinnova il suo impegno dopo l’udienza del Papa all’Aris

Come riscrivere
la grammatica della cura

 Come riscrivere la grammatica della cura  QUO-092
20 aprile 2023

Lo sguardo di Papa Francesco. Uno sguardo penetrante. Forse ancor più delle parole che stava pronunciando. Parole quasi sussurrate, a braccio, dunque spontanee. Profondamente sentite. È il ricordo più vivo rimasto nel cuore di quanti hanno partecipato al suo incontro con la nostra Associazione religiosa istituti socio-sanitari (Aris), giovedì scorso, 13 aprile. Per un attimo ha abbandonato la traccia del discorso preparato per l’udienza e ci ha trasmesso tutta la sua preoccupazione per la sorte di quanti, sofferenti nella tenaglia della malattia, non hanno possibilità di accedere alle cure, alle medicine di cui hanno bisogno. Perché non hanno i mezzi economici per poterlo fare. Sono le vittime di quella che ha definito «povertà della salute», di quella «cultura dello scarto» che evoca dall’inizio del suo pontificato. E non ha esitato ad equiparare questa forzata privazione ad una «eutanasia nascosta e progressiva» cui sono praticamente condannati i più fragili, gli anziani indigenti. Per noi quel momento è stato come sentire l’eco della nostra voce espandersi oltre i confini di casa ed acquisire quella forza che solo Papa Francesco oggi ci può dare. L’universalità delle cure, il diritto di tutti all’accesso alle medicine, l’inclusione di ogni persona nel sistema salute del Paese, l’accoglienza senza distinzione alcuna, la certezza di una pronta assistenza nel momento in cui si mostra il lato più fragile dell’umanità sono gli obiettivi cui dovrebbe tendere il Servizio sanitario nazionale che sogniamo.

Oggi però ci troviamo di fronte ad un’universalità sempre più compromessa dal “chi può e chi non può”. Nasce così “l’Italia delle diseguaglianze”, delle disparità che oggi come non mai caratterizzano il nostro Paese. Sono gli anziani fragili coloro che soffrono di più di questa «eutanasia nascosta». E Papa Francesco chiede a noi di adoperarci affinché queste disparità scompaiano. «Nessuno, nessuno — ci ha detto — deve sentirsi solo nella malattia». Bisogna entrare nel vivo di quella logica di un “noi”, aperto alla fraternità e a un bene comune.

La nostra famiglia Aris naviga, come ho avuto l’onore di dire al Santo Padre, sulla scia tracciata dalla barca di Pietro. Naviga in un mare, se non in tempesta, certamente agitato. Anzi molto spesso ci troviamo a navigare controcorrente, con il nostro carico di fragilità umana. Lottiamo per non naufragare tra le onde provocate da quella cultura della morte che sembra sempre più appropriarsi della scena di questo mondo, dall’individualismo sfrenato generato dall’ossessione del potere, dall’egoismo figlio diretto del consumismo ad ogni costo. Difficile dire chi ne sia esente.

Al Santo Padre vogliamo dire: «Noi ci siamo e vogliamo esserci». Siamo pronti a raccogliere le sfide del tempo, a difendere e a servire la vita dal concepimento al suo termine naturale, opponendo fermamente la “cultura della vita” alla “cultura della morte”. E siamo consapevoli che proprio per questo dovremo affrontare tante e potenti forze che mettono addirittura in dubbio il nostro stesso diritto ad esistere, che cercano di soffocare la nostra voce, che ci escludono, o almeno tentano di escluderci da ogni contesto sociale.

Noi ci siamo e vogliamo esserci. Portiamo nel nostro Dna segni di speranza per ogni donna ed ogni uomo. Le nostre opere, nella consapevolezza di essere opere di Chiesa, assumono su di sé, come ci ha chiesto Papa Francesco, anche la responsabilità di una “nuova evangelizzazione”, non solo declamata, ma intessuta, giorno dopo giorno, di gesti concreti, capaci di essere testimoni e protagonisti della nascita di un nuovo umanesimo.

Il mondo sanitario non è esente da questo bisogno di un nuovo umanesimo, come non è esente purtroppo da logiche di profitto e da forme di emarginazione ed esclusione. La Chiesa, sempre attenta alle vicende degli uomini, soprattutto alle loro fatiche, conscia che la promozione umana è inseparabile dall’evangelizzazione, ci ha richiamato sovente a lottare contro l’esclusione. Una società merita la qualifica di civile se sviluppa gli anticorpi contro la cultura dello scarto; se riconosce il valore intangibile della vita umana qualunque sia la sua condizione; se la solidarietà è fattivamente praticata e salvaguardata come fondamento della convivenza. E la prima forma di civiltà è il rispetto per chi soffre. Non a caso la missione che Papa Francesco ci ha affidato è «accompagnare» le persone che accogliamo nelle nostre strutture «con una cura integrale, che non trascuri l’assistenza spirituale e religiosa dei malati, delle loro famiglie e degli operatori sanitari». In questo le istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana dovrebbero essere esemplari. A cominciare dalle nostre associate.

Siamo pronti a proseguire su questa strada e a riscrivere la grammatica del farsi carico e del prendersi cura della persona sofferente, in particolare nelle fasi critiche e terminali della vita. Il dolore non può essere bandito dalle nostre vite, ma possiamo provare a coglierne il valore e adoperarci, come operatori nella sanità, perché non sia un’esperienza ammantata solo di disperazione.

“Esserci”: questo vuole essere il paradigma della nostra missione sulla via tracciata dai nostri santi fondatori e fondatrici. Papa Francesco ci ha proposto di chiederci come si sarebbero comportati i nostri santi in una situazione come quella che stiamo vivendo. Ma ci ha chiesto di farlo non tanto per imitare i loro gesti, quanto piuttosto per accoglierne lo spirito; non tanto per difendere il passato, quanto piuttosto per costruire un presente e un futuro in cui testimoniare la presenza del Cristo tra i malati e ribadire il valore della persona, soprattutto in un contesto come quello attuale dove tutto sembra essere guidato da leggi di mercato.

Il primato della persona come bene incondizionato, originario ed ontologicamente fondato, è oggi, anche più di ieri, l’unico riferimento sicuro su cui edificare una società aperta, una convivenza solidale, un mondo giusto. L’etica evoca ed esige un fondamento ontologico e chi si ispira ad una concezione cristiana dell’uomo e della vita deve essere consapevole di una responsabilità particolare che gli compete. Alle nostre mani Papa Francesco ha affidato la spiritualità del buon samaritano. Noi ci siamo. E vogliamo esserci.

di Virginio Bebber
Sacerdote camilliano, presidente nazionale dell’Associazione religiosa istituti socio-sanitari (Aris)


Medicinali per i «poveri della sanità»


Uno stock di medicinali per i poveri della sanità è stato messo a disposizione del Papa in risposta alle preoccupazioni espresse nel corso dell’udienza di giovedì scorso all’Aris. «Ogni persona — è stato il grido d’allarme di Papa Francesco — ha diritto alle medicine... gli anziani che devono prendere quattro o cinque medicine e riescono solo ad averne due: questa è un’eutanasia progressiva, perché non si dà loro ciò di cui hanno bisogno per curarsi... La sanità di ispirazione cristiana ha il dovere di difendere il diritto alla cura soprattutto delle fasce più deboli della società, privilegiando i luoghi dove le persone sono più sofferenti e meno curate». L’Aris ha raccolto l’appello del Pontefice e grazie alla pronta collaborazione di Ettore Rossi,  presidente di ssh, azienda che si occupa della distribuzione di farmaci, partner dell’Aris, ha messo a disposizione di Papa Francesco la possibilità di inviare medicinali laddove se ne renda necessario.