· Città del Vaticano ·

La buona Notizia
Il Vangelo della III domenica di Pasqua (Lc 24,13-35)

Quando l’uomo insegue Dio

 Quando l’uomo insegue Dio  QUO-090
18 aprile 2023

Si avvicina la sera: ci troviamo al tramonto di una Pasqua non ancora creduta. Si avvicina la sera e Yeshua, il rabbi crocifisso, si accosta a due discepoli in cammino verso Emmaus: indossa vesti di forestiero e i due non lo riconoscono. Si avvicina la sera e la luce del tramonto di una Pasqua non ancora creduta invece che illuminare, oscura: gli occhi dei due discepoli sono tristi (Luca, 24, 17); Yeshua è morto, questa è l’unica certezza che i due hanno. Dopo la scandalosa crocifissione del rabbi restava solo un corpo dilaniato: ora non rimane nemmeno più quello.

«Soltanto tu tra i forestieri residenti a Gerusalemme non hai saputo dei fatti avvenuti in città proprio in questi giorni?» E disse loro Yeshua «Quali?». Gli risposero «Quelli riguardanti Gesù il Nazareno […] che fu profeta potente in azioni e parole […] i capi dei sacerdoti e le nostre autorità l’hanno consegnato perché fosse condannato a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi però speravamo che fosse Lui quello che avrebbe riscattato Israele» (Luca, 24, 18). Attese politiche e speranze religiose infrante dal dramma del corpo di un ebreo conficcato a un legno: a turbare ulteriormente le maschili, cocenti disillusioni, sono i “deliri” tutti femminili di certe discepole. «Alcune donne tra noi ci hanno sconvolti: recatesi di buon mattino al sepolcro, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli; […] alcuni di quelli che sono con noi si sono recati al sepolcro, e hanno trovato proprio come avevano detto le donne. Lui però non l’hanno visto» (Luca, 24, 22).

Di colui che avrebbe dovuto riscattare l’intero Israele non resta più nemmeno il freddo cadavere: il corpo del maestro è stato forse trafugato dal sepolcro? Per i due discepoli sconvolti che s’incamminano verso la notte è certa solo la morte di Yeshua: certi sono solo i “deliri” di alcune donne circa la sconcertante assenza di un cadavere. Non v’è altro, in questa Pasqua al tramonto, da raccontare.

Giunge a questo punto della narrazione un’irruenta provocazione, verbale e scritturistica assieme, da parte del forestiero sconosciuto ai due discepoli turbati: «O insensati e tardi di cuore nel prestar fede a tutto ciò che i padri hanno annunciato!» (Luca, 24, 25). E iniziando da Mosè e i profeti fa ermeneutica delle Scritture, collocando il maestro defunto — di cui i due discepoli gli hanno appena raccontato — in una cornice ben definita, in un’ebraica trama di senso teologico.

Chi crediamo perduto per sempre, inghiottito nello sheol, forse perduto non è? È questo ciò che intende il forestiero non riconosciuto?

«Quando si avvicinarono al villaggio verso il quale erano incamminati, egli fece finta di voler proseguire il cammino» (Luca, 24, 27). Fa finta di dover proseguire oltre — il forestiero — come un menzognero d’amore. Dopo l’abbandono, il tradimento e i chiodi conficcati nella carne, ha Lui forse bisogno di sentirsi dire «resta»? E questo «resta» (forse sperato?), questo «resta» così perfettibile, dopo l’umana fuga, l’abbandono, il pesantissimo tradimento, giunge: pure l’uomo ogni tanto sconvolge Dio.

«Rimani con noi, perché è quasi sera, e il giorno è già al tramonto» (Luca, 24, 30). E il forestiero entra in casa dei discepoli e dopo la benedizione spezza il pane (Luca, 24, 31). Ecco che accade l’impensabile, lo sconvolgente, l’inesprimibile; qui, nella notte di Emmaus, risplende il sole della Pasqua in tutto il suo vigore. Gli occhi dei discepoli si aprono (come s’aprirebbero dei sepolcri): si aprono i loro occhi allo schiudersi del senso della Scrittura, durante la cena. Quel forestiero è il loro maestro! Il pane spezzato sortisce lo stesso effetto di un bacio sulla carne: Yeshua scompare proprio nel momento in cui è riconosciuto. I due — con cuore ardente — si alzano e imboccano lo stesso cammino, a ritroso: undici chilometri a piedi nel buio. Tornano a Gerusalemme in piena notte. È a questo punto della storia umana che ha inizio l’inseguimento dell’uomo a Dio: l’inseguimento dell’uomo a un Uomo trafitto e risorto, un rabbi che si credeva perduto e che ora appare (e scompare), intrattenibile. È a questo punto della storia umana che ha inizio un inseguimento che finirà solo alla fine dei tempi e che ancora oggi continua in un dramma amoroso. Non possiamo afferrare Dio nella sua Umanità, possiamo però almeno sfiorarlo, urtarlo nella storia, implorare che resti: che ci abbracci non visto, dal “di dietro” e dal “di dentro” della nostra esistenza; che ci imprima un ebraico bacio sulla carne, all’incrocio di ogni nostro e Suo sguardo, a ogni spezzare del pane. 

di Deborah Sutera