Per i tipi di Aragno sono stati pubblicati con introduzione, traduzione dal russo e note di Lucio Coco, gli scritti spirituali inediti con testo originale a fronte di Nikolaj V. Gogol’. È la prima volta che ne viene fornita la versione in una moderna lingua europea. Si tratta di scritti di ispirazione morale e religiosa che hanno il valore di una vera e propria scoperta letteraria. Di seguito si propone uno scritto contenuto nel volume dal titolo «Regola di vita nel mondo» composto a Nizza nell’inverno 1843-1844.
Principio, radice e fondamento di tutto è l’amore per Dio. Ma per noi questo principio è alla fine e noi amiamo tutto ciò che vi è nel mondo più di Dio. Occorre amare Dio in modo da considerare ogni cosa, tranne Lui, come secondaria e non importante, in modo che le sue leggi siano per noi al di sopra di tutte quelle stabilite dal genere umano, i Suoi consigli al di sopra di tutti i consigli, in modo da considerare che dispiacere a Lui è molto più rilevante che dispiacere a una qualsiasi persona. Amare Dio significa amare Lui molto più che il padre, la madre, i figli, la moglie, il fratello e l’amico. Noi però non l’amiamo come amiamo loro. Chi ama Dio tanto più ama e il padre e la madre e i figli e il fratello che chi si lega loro più che a Dio stesso. L’amore di questi è solo un’illusione ottica, un sensuale amore carnale, solo un richiamo passionale. Un tale amore non può agire in maniera sensata, perché i suoi occhi sono ciechi. L’amore invece è luce non tenebra. Dio è amore e non uno spirito di oscurità. Dove c’è luce, lì c’è anche pace; dove c’è tenebra, lì c’è anche conflitto. E poiché l’amore che procede da Dio è solido esso porterà solidità anche al nostro carattere, rendendo noi stessi solidi. L’amore invece che non viene da Dio è instabile e inquieto e renderà noi stessi instabili. Quindi dall’amore divino deve discendere ogni altro amore sulla terra.
L’amore terreno, originato da quello divino, diventa per suo tramite più sublime e più vasto. Esso infatti ci ordina di amare il prossimo e il fratello molto più di quanto noi [lo] amiamo; ci ordina di prestare non solo un aiuto materiale, ma anche spirituale, non solo di prenderci cura del suo corpo ma anche dell’anima, di dispiacersi per lui non perché ci ha creato una contrarietà ma perché egli con questa azione è causa di infelicità per la sua anima. Infatti il suo peccato dipende anche da noi: a noi toccava istruirlo, ammonirlo, educarlo, formarlo. Ma come possiamo fare ciò se anche noi siamo deboli e impotenti? Per il cammino e la via dell’amore di Dio tutto è possibile; senza di esso tutto è difficile.
Come formare se stessi? L’educazione deve procedere dalla continua riflessione sul proprio compito, dalla lettura di quei libri dove l’uomo è rappresentato in uno stato, ambiente, sodalizio e rango simili al nostro e in mezzo a tali contingenze; e in seguito [deve procedere] nel continuo adattamento e confronto di tutto ciò con la legge di Cristo, accogliendo quello che non è in contrasto con Cristo e respingendo quello che non corrisponde alla Sua legge. Infatti tutto quello che non è da Dio non è vero. Quello che ci risulta dubbioso e su cui non sappiamo decidere deve essere per il momento rimandato e non deve affatto mettere in imbarazzo: è un segno che non siamo ancora pronti e che i nostri occhi riceveranno una chiara conoscenza delle cose dopo in misura del nostro perfezionamento. Bisogna guardarsi dalle discussioni come dal fuoco, per quanto violentemente ci abbiano contraddetto, per quanto ci abbiano prospettato una ingiusta opinione, non bisogna affatto irritarsi né dire il contrario; meglio tacere e, ritirandosi in se stessi, valutare quanto è stato detto e giudicarlo a sangue freddo. Tuttavia, avendo giudicato, non parlare, se sentiamo che non possiamo parlare in modo tale che sia propriamente alla portata della persona con cui discutiamo oppure se avvertiamo che non possiamo parlare con calma e senza adirarci. La verità, detta quando si è arrabbiati, irrita e non persuade. Pertanto possiamo educare un altro e fornirgli un aiuto spirituale, solo quando noi stessi abbiamo raggiunto la suprema mitezza, quando nessun insulto ci può offendere. Allora anche la nostra mente riceve luce e può osservare le azioni altrui, vederne gli errori e insegnarci come eliminarli. Allora anche Dio ci assisterà in ogni passo, ispirandoci i rimedi giusti per tutto. Su questo è fondata la vita: istruirsi e insegnare agli altri, elevare se stessi e portare gli altri a Dio.
In tutte le nostre iniziative e azioni dobbiamo guardarci soprattutto da un nostro assai potente nemico. Questo nemico è l’accidia. L’accidia è una vera tentazione dello spirito della tenebra, mediante cui egli ci assale sapendo quanto è difficile per un uomo combattere con essa. Dio ha in disgusto l’accidia. Essa è la conseguenza del difetto del nostro amore verso Dio. L’accidia genera la disperazione, che è un omicidio spirituale, la più terribile di tutte le nefandezze, infatti recide tutte le vie di salvezza e quindi più degli altri peccati essa è odiata da Dio. Per questo si chiede nelle preghiere ogni giorno che Dio ci dia un cuore che sia sobrio, una mente gioviale, un pensiero luminoso, e che scacci da noi lo spirito dell’accidia.
Talvolta le inquietudini e i turbamenti spirituali, simili all’accidia, sono delle permissioni divine mandateci con lo scopo di sperimentare e provare se ci siamo rafforzati nel carattere; altre volte invece solo perché, nella ricerca di mezzi per salvarsi da una simile inquietudine e abbattimento, pensiamo di fare qualcosa a cui non avevamo mai pensato prima. Infatti Dio in tutti i modi prova a farci ragionare ed esige che noi facciamo degli sforzi per conoscere la sua volontà. Perciò molti, che si sono formati nelle inquietudini, consigliano in tali minuti di volgere lo sguardo a tutta la nostra vita precedente e cercare di ricordare ogni cosa che abbiamo mancato di fare oppure che abbiamo rinviato ad un altro momento e, una volta ricordato, dedicarsi non già alle nostre quotidiane e solite attività ma proprio a quelle che abbiamo omesso di fare, impegnandosi in esse con diligenza per tutto il tempo che durano l’abbattimento e lo smarrimento e occupandosi ad esse non come se fossimo stati noi stessi a fissarle ma come se fosse state imposte proprio da Dio e nel compiere ciò a nessun altro è simile che a un novizio che ciecamente e servilmente porta a compimento ogni ordine del suo ispiratore di imprese eroiche e signore.
La nostra vita sulla terra non può essere neppure per un minuto tranquilla, questo lo dobbiamo ricordare sempre. Le preoccupazioni si susseguono una dopo l’altra. Noi siamo chiamati nel mondo a un combattimento e non a una vacanza. Potremo festeggiare la vittoria nell’altro mondo. Qui dobbiamo combattere coraggiosamente, senza perderci d’animo, così da ottenere maggiori ricompense, maggiori avanzamenti, realizzando tutto come nostro legittimo compito con ragionevole calma, guardando ogni volta attorno a noi e confrontando ogni cosa con la legge di Cristo nostro Signore. Mai dobbiamo avere pensieri di inadeguatezza o la tentazione di abbandonare il campo. Ad ogni passo ci attende un gesto di coraggio cristiano, ogni impresa ci porta a un nuovo livello nel raggiungimento del Regno dei Cieli. Tanto maggiore è il pericolo, con tanta più veemenza bisogna raccogliere le forze ed elevare con vigore una preghiera a Dio. Trovandoti nel combattimento non lo perdere di vista neppure per un’ora. Preparandoti al combattimento predisponiti a quello per tempo in modo da passare lungo strada in modo giudizioso, vigile e lieto. Osa! Infatti alla fine della via c’è Dio e la beatitudine eterna! Tuttavia come degli esseri irragionevoli, incauti e miopi, noi non guardiamo alla fine della strada, ragione per cui non otteniamo ne vigore né forze per il cammino lungo di essa. Noi vediamo solo ostacoli, senza accorgerci che essi sono essenzialmente i nostri gradini per l’ascesa. Ma per lo più noi vediamo tutto ciò diversamente. Una collina ci appare come una montagna, una piccolezza come una cosa grande, un fantasma come una cosa reale. Tutto diventa esagerato davanti ai nostri occhi e ci spaventa. Questo perché volgiamo gli occhi in basso e non vogliamo portarli verso l’alto. Infatti se li alzassimo per qualche minuto in su, vedremmo sopra di tutto solo Dio e la luce che proviene da Lui, che illumina ogni cosa nella presente forma, e allora noi stessi sorrideremmo della nostra cecità.
Accompagniamo sempre ogni azione e iniziativa con una sentita preghiera interiore, non però con una preghiera simile a quella che siamo abituati a ripetere ogni giorno, senza penetrare nel senso di ogni parola, ma simile a quella che volasse via da tutte le forze della nostra anima e dopo la quale, data la benedizione e fatto il segno della croce, potremmo metterci subito all’opera.
Nessuno cada in depressione, se Dio non realizza il nostro desiderio proprio nell’ora che segue la preghiere e se il dono non arriva subito con la supplica: al contrario, proprio allora dobbiamo pregare e operare con animo più vivo e più lieto. Allora cresce più forte la nostra speranza. Infatti Dio è diretto da un grande senso per cui a uno dà all’inizio quello che a un altro dà alla fine. Ma beato e molte volte più beato colui che è destinato a ottenere con lunghe e grandi fatiche quello che un altro realizza con sforzi minori. La sua anima infatti sarà molto più pronta, molto più meritevole e può abbracciare e accogliere la beatitudine dentro in sé molto più dell’anima dell’altro. «Chi persevera fino alla fine sarà salvato», dice il Signore (cfr Matteo 10,22. 24,13; Marco 13,13) e in questo modo ci ha aperto ogni mistero della vita che non vogliamo nemmeno guardare con gli occhi, non solo comprendere.
Non dobbiamo incupirci ma provare a rasserenarci nell’anima continuamente. Dio è luce, quindi dobbiamo tendere alla luce. Dio è gioia suprema e quindi anche noi dobbiamo essere parimenti luminosi e gioiosi. Gioiosi proprio quando tutto viene contro di noi per turbarci e intristirci. Altrimenti che merito c’è: non è difficile essere lieti quando tutti attorno lo sono; allora tutti sanno come stare in allegria: anche chi non è illuminato dalla fede, l’uomo che non ha nessuna fermezza, chi non è cristiano, il pagano, allora sanno essere tranquilli e allegri. Tuttavia il valore del cristiano è nel fatto che anche nell’afflizione conserva uno spirito scevro dalla tristezza. Diversamente dov’è la differenza con un pagano?
Tutto da noi sia governato dall’amore per Dio. Esso durerà in eterno come un faro davanti ai nostri occhi spirituali. Beato colui che ha iniziato la sua impresa direttamente dall’amore per Dio. Egli volerà sulle sue vie più veloce di tutti gli altri e otterrà tutto quello che a un altro sembra invincibile e impossibile. Tutto il mondo in tal caso starà davanti a lui sotto un’altra e autentica forma: egli si legherà al mondo solo perché Dio lo ha messo nel mondo e gli ordinato di legarsi ad esso; nel mondo però egli amerà soltanto quello che ha immagine e somiglianza divina. Costui si rivolgerà all’amore terreno non come fa una persona grossolana con un’icona, considerandola una immagine di Dio stesso, ma come si accosta ad essa una persona illuminata dalla fede, che la considera una pallida rappresentazione artistica posta lì solo per ricordare che occorre elevarsi a Colui la cui immagine è impossibile vedere con i nostri occhi incerti. Allo stesso modo in ogni nostro amore terreno, non importa quanto sia puro e bello, noi dobbiamo scorgere solo come dei segni visibili e imperfetti dell’amore infinito di Dio. Esso è solo una scintilla, una parte di quella magnifica veste in cui si incarna lo smisurato e sconfinato amore di Dio che niente può contenere, così come niente può contenere Dio stesso.
di Nikolaj V. Gogol’