Il dolore condiviso
Tre giorni ma molto lunghi. Perché molto intensi. Se “esperienza” è il nome che diamo a quegli avvenimenti della vita che generano un cambiamento, una trasformazione in chi li vive, allora questo ricovero del Papa al Policlinico Gemelli è stato davvero una ricca esperienza, per lui ma anche per tutte le persone coinvolte direttamente e indirettamente da questa vicenda. Il che potenzialmente potrebbe equivalere a tutto il mondo, perché in effetti grazie ai mezzi di comunicazione, tutto il mondo ha seguito, all’inizio con preoccupazione poi con sollievo e gioia, lo svolgersi di questi tre giorni scanditi dalle uscite dei bollettini medici sempre più positivi e promettenti man mano che il miglioramento progrediva.
Tre giorni è una misura temporale dal “suono” biblico, anzi pasquale: il segno di Giona di cui parla Gesù (Mt 12, 38-41), quello stare “nel ventre del pesce” che rimanda allo stare “nel cuore della terra” per tre giorni e tre notti. Papa Francesco è stato a modo suo “nel cuore” dell’umanità, perché un ospedale è proprio quel luogo dove vita e morte si fronteggiano in duello, dove la gioia e i dolori convivono in un abbraccio intenso quanto inestricabile. Le immagini di ieri pomeriggio del Papa che accarezzando benedice e battezza il neonato Miguel Ángel, insieme a quella di questa mattina dell’abbraccio alla giovane madre in lacrime per la perdita della figlia, dicono solo alcune delle profonde emozioni che il Papa ha vissuto e quindi trasmesso a tutte le persone con lui “connesse”.
I gesti compiuti da Francesco rievocano un atteggiamento positivo e proattivo che spesso il Papa ha sottolineato nella sua predicazione, scegliendo come icona quella di Maria che al momento dell’annuncio dell’angelo, nonostante l’impatto che tale avvenimento può aver avuto sulla sua vita, non è rimasta a piangere la sua sorte chiudendosi nel suo smarrimento ma, come dice il vangelo di Luca, «si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta» la casa della cugina Elisabetta che si trovava nel bisogno. Così il Papa: non gli è bastato il necessario e forzato riposo ma si è alzato, si è mosso perché com-mosso di fronte al luogo in cui si è trovato ed è andato incontro alle persone, salutandole e incoraggiandole, con la semplice vicinanza. Ha reso quello che era un imprevisto, un “incidente”, un’esperienza, trasformando la difficoltà in opportunità. Nel suo segno della prossimità, della vicinanza, nel segno della Vergine, che non a caso appena uscito è andato a ringraziare nella sua “casa” di Santa Maria Maggiore.
di Andrea Monda