· Città del Vaticano ·

Parole e gesti di Papa Francesco

Il respiro di Dio

 Il respiro  di Dio  ODS-009
01 aprile 2023

«Natale è facile: c’è Babbo Natale e siamo tutti più buoni. Ma Pasqua è difficile. Chi c’è? E siamo tutti più… cosa?». L’attore Giovanni Scifoni poneva questa domanda in un simpatico video del 2020, pubblicato sui social network. Una domanda profondamente leggera, dove “leggera” è da intendersi — secondo le mirabili parole di Italo Calvino nelle sue Lezioni americane — non come superficiale, ma come capace di «planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore». Ecco: la Pasqua è proprio non avere macigni sul cuore, sentirsi leggeri perché sollevati. Sollevati dai nostri peccati, dalle nostre paure, da quelle fragilità umane che zavorrano le nostre esistenze con pesi inutili e angoscianti.

Pasqua di risurrezione, rinascita e misericordia

La Pasqua ci rende liberi, perché la Pasqua è risurrezione, rinascita. La Pasqua è, soprattutto, misericordia. Il legame tra Cristo Risorto e questo attributo di Dio che va ben oltre l’amore è innegabile, perché la misericordia è l’essere stesso di Dio, la sua “carta di identità”, per dirlo con le parole di Papa Francesco. «La misericordia di Dio è la nostra liberazione e la nostra felicità — ha detto all’udienza generale del 18 marzo 2020 —. Noi viviamo di misericordia e non ci possiamo permettere di stare senza misericordia: è l’aria da respirare». Non a caso, nel calendario liturgico, sette giorni dopo la Pasqua si celebra la Domenica della Divina Misericordia. Fu San Giovanni Paolo ii a istituirla nel 2000, in occasione della canonizzazione di Santa Faustina Kowalska, religiosa polacca della Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia, la quale ebbe straordinarie rivelazioni: nel 1931, in un’apparizione, Gesù le chiese di far dipingere l’immagine della sua misericordia.

Porta della salvezza

Lo stesso Francesco, in diverse occasioni, ha sottolineato come la Risurrezione e la Misericordia siano indissolubilmente legate l’una all’altra: nel messaggio Urbi et Orbi per la Pasqua del 2013, ad esempio, il Papa afferma che «Gesù è risorto, c’è la speranza per te, non sei più sotto il dominio del peccato, del male! Ha vinto l’amore, ha vinto la misericordia! Sempre vince la misericordia di Dio!». E tre anni dopo, ai fedeli di tutta la Città e del mondo, dice: «Possa risuonare nei vostri cuori, nelle vostre famiglie e comunità l’annuncio della Risurrezione, accompagnata dalla calda luce della presenza di Gesù Vivo: presenza che rischiara, conforta, perdona, rasserena. Cristo ha vinto il male alla radice: è la porta della salvezza, spalancata perché ognuno possa trovare misericordia».

Misericordiando…

C’è un aspetto, però, sul quale vale la pena soffermarsi. Ad un primo sguardo, esso potrebbe sembrare una mera questione linguistica, ma in realtà si tratta di una “rivoluzione” sostanziale: è il cambiamento di prospettiva che Papa Francesco ha attuato al termine di “misericordia”. Da sostantivo/aggettivo, infatti, egli lo ha fatto divenire un verbo, un’azione prolungata nel tempo. Basti dire che il motto prima episcopale e poi pontificio di Francesco è Miserando atque eligendo, espressione tratta dalle omelie di San Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: «Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me» (Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: “Seguimi”).

Come riportano i testi ufficiali, l’omelia di Beda il Venerabile «è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell’itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell’anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola». Quello che, però, nella traduzione italiana si perde, rispetto all’originale latino, è proprio il tempo verbale legato al termine “misericordia”: Beda il Venerabile scrive «miserando» e in diverse occasioni il Papa ha affermato che tale parola si potrebbe tradurre, in italiano, con «misericordiando». Ecco, allora, che il concetto di misericordia si trasforma in una vera e propria azione e non solo: in un’azione continuativa nel tempo, che non si limita a un solo istante, ma viene rinnovata ancora e ancora.

…e misericordiati

In Papa Francesco, inoltre, l’azione della misericordia non ha soltanto un senso attivo, ma anche passivo, vale a dire che si può essere misericordiosi, ma anche misericordiati. È lo stesso Pontefice a spiegarlo durante un incontro con i sacerdoti tenutosi nella Basilica di San Giovanni in Laterano nel giugno del 2016. La data indicata non è casuale: il 2016 è l’anno del Giubileo straordinario della misericordia. Ai presbiteri, dunque, Francesco dice: «Nel parlare di misericordia a me piace usare la forma verbale: bisogna dare misericordia (misericordiar in spagnolo, “misericordiare”, dobbiamo forzare la lingua) per ricevere misericordia, per essere “misericordiati” (ser misericordiados). Il fatto che la misericordia mette in contatto una miseria umana con il cuore di Dio, fa in modo che l’azione nasca immediatamente. Non si può meditare sulla misericordia senza che tutto si metta in azione. La misericordia la si contempla nell’azione. Ma un tipo di azione che è onninclusiva: la misericordia include tutto il nostro essere, viscere e spirito, e tutti gli esseri».

La relazione di Dio
con i propri figli

Qualche mese più tardi, nell’agosto 2016, Francesco invia un videomessaggio ai partecipanti al Giubileo straordinario della misericordia nel continente americano, che si tiene a Bogotá, in Colombia. In quell’occasione, il Pontefice specifica che «lungi dall’essere un’idea, un desiderio, una teoria, e anche un’ideologia, la misericordia è un modo concreto di “toccare” la fragilità, di vincolarci agli altri, di avvicinarci tra noi. È una maniera concreta d’immedesimarsi nelle persone quando stanno “in un brutto periodo”. È un’azione che porta a dare il meglio di sé affinché gli altri si sentano trattati in modo tale da poter sentire che nella loro vita non è stata ancora detta l’ultima parola. Trattati in modo tale che chi si è sentito schiacciato dal peso dei propri peccati, provi il sollievo di una nuova possibilità. Lungi dall’essere una bella frase, è l’azione concreta con cui Dio vuole relazionarsi con i propri figli».

L’incontro tra il cuore
del Signore
e quello dell’uomo

Ma non solo: la misericordia è biunivoca e rappresenta «un viaggio di andata e di ritorno» nel cuore dell’uomo. Tanto che nell’ottobre del 2016, in un videomessaggio inviato al quattordicesimo Incontro nazionale “Manos abiertas”, l’organizzazione di volontari di ispirazione cristiana nata nel 1992 a Villa de Mayo, nei pressi di Buenos Aires, in Argentina, Francesco afferma: «Misericordia è quel viaggio di andata dalla miseria al mio cuore. L’unico cammino per avere la misericordia è attraverso il proprio peccato riconosciuto da chi lo compie e perdonato dal Signore. Si può essere misericordiosi solo se ci si sente realmente misericordiati dal Signore. Se senti che il tuo peccato è assunto, perdonato, dimenticato da Dio, sei misericordiato, e dopo essere stato misericordiato, potrai essere misericordioso. Se la misericordia non parte così dal tuo cuore, non è misericordia (…) Lasciati misericordiare e inizia il viaggio di ritorno, e con le tue mani misericordia gli altri prodigando misericordia e amore». Tale concetto ritorna anche nella Lettera apostolica Misericordia et misera, firmata da Francesco al termine dell’Anno Santo straordinario della Misericordia: «La misericordia rinnova e redime, perché è l’incontro di due cuori: quello di Dio che viene incontro a quello dell’uomo — si legge nel testo —. Questo si riscalda e il primo lo risana: il cuore di pietra viene trasformato in cuore di carne, capace di amare nonostante il suo peccato. Qui si percepisce di essere davvero una “nuova creatura”: sono amato, dunque esisto; sono perdonato, quindi rinasco a vita nuova; sono stato “misericordiato”, quindi divento strumento di misericordia».

Lontani dall’egoismo
e vicini a Gesù

Chi «è capace di fare un’opera di misericordia — sottolinea ancora il Papa nell’omelia della Messa presieduta a Casa Santa Marta il 5 giugno 2017 — è perché sa che lui è stato misericordiato, prima; che è stato il Signore a dare la misericordia a lui. E se noi facciamo queste cose, è perché il Signore ha avuto pietà di noi. E pensiamo ai nostri peccati, ai nostri sbagli e a come il Signore ci ha perdonato: ci ha perdonato tutto, ha avuto questa misericordia» e noi «facciamo lo stesso con i nostri fratelli». «Le opere di misericordia — conclude Francesco — sono quelle che ci tolgono dall’egoismo e ci fanno imitare Gesù più da vicino».

La quinta Beatitudine

In tutti i casi, nell’orizzonte che il Pontefice indica ai fedeli c’è sempre la quinta beatitudine, quella che recita: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» In essa, infatti, è racchiusa una particolarità, vale a dire che è l’unica in cui la causa e il frutto della felicità, cioè la misericordia, coincidono: coloro che esercitano la misericordia, infatti, troveranno misericordia, saranno “misericordiati”. «Ci sono due cose che non si possono separare: il perdono dato e il perdono ricevuto — dice il Papa all’udienza generale del 18 marzo 2020 —. Questo fatto della reciprocità della misericordia indica che abbiamo bisogno di rovesciare la prospettiva. Da soli non possiamo, ci vuole la grazia di Dio, dobbiamo chiederla. Infatti, se la quinta beatitudine promette di trovare misericordia e nel Padre Nostro chiediamo la remissione dei debiti, vuol dire che noi siamo essenzialmente dei debitori e abbiamo necessità di trovare misericordia!».

Dio non si stanca mai
dell’umanità

Tangibile e concreta, la misericordia è, negli insegnamenti di Francesco, anche un segno della vicinanza di Dio all’umanità: «Il tempo della distanza è finito quando in Gesù si è fatto uomo — afferma nell’omelia per la Messa del 24 gennaio 2021, Domenica della Parola di Dio —. Da allora Dio è vicinissimo; dalla nostra umanità mai si staccherà e mai di essa si stancherà. Prima di ogni altra cosa va creduto e annunciato che Dio si è avvicinato a noi, che siamo stati graziati, “misericordiati”. Prima di ogni nostra parola su Dio c’è la sua Parola per noi, che continua a dirci: “Non temere, sono con te. Ti sono vicino e ti starò vicino”». Nel buio delle notti dell’umanità, come quella che precede la Pasqua, sottolinea il Pontefice, il Signore è «certezza nelle nostre incertezze, Parola nei nostri silenzi», perché con Lui «la croce sfocia in risurrezione», con Lui gli uomini possono essere sì «provati, ma non turbati».

Tutti abbiamo bisogno
di essere sollevati

Quattro mesi dopo, l’11 aprile 2021, presiedendo la celebrazione eucaristica nella Domenica della Divina Misericordia, il Pontefice torna sul legame tra Risurrezione e Misericordia, ribadendo che «Gesù “misericordia” i discepoli offrendo loro lo Spirito Santo. Lo dona per la remissione dei peccati. Il perdono nello Spirito Santo è il dono pasquale per risorgere dentro». D’altronde, continua il Papa, «non ci confessiamo per abbatterci, ma per farci risollevare. Ne abbiamo tanto bisogno, tutti. Ne abbiamo bisogno come i bimbi piccoli, tutte le volte che cadono, hanno bisogno di essere rialzati dal papà. Anche noi cadiamo spesso. E la mano del Padre è pronta a rimetterci in piedi e a farci andare avanti. Questa mano sicura e affidabile è la Confessione. È il Sacramento che ci rialza, che non ci lascia a terra a piangere sui pavimenti duri delle nostre cadute. È il Sacramento della risurrezione, è misericordia pura». In fondo, il Signore viene incontro all’uomo proprio per stabilire e consolidare il tempo della misericordia, quello che «sconvolge tutti i criteri e offre così una nuova possibilità» perché nasconde «un germe di risurrezione, un’offerta di vita che attende il risveglio».

* * *

Alla luce di questa riflessione, come possiamo replicare alla domanda iniziale, posta dall’attore Scifoni: «Chi c’è a Pasqua? E siamo tutti più… cosa?». La risposta è facile: a Pasqua c’è il Signore Risorto. E siamo tutti più misericordiati e misericordiosi.

di Isabella Piro

Isabella Piro