· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

SguardiDiversi
Partendo da un libro, una scrittrice va nei luoghi cinquecenteschi della beata Maria Lorenza Longo e del suo “welfare”

La nobile catalana
che curò Napoli

 La nobile catalana che curò Napoli  DCM-004
01 aprile 2023

Chi arriva a Napoli, in areo o in treno, di rado passa per il cuore della sua antica acropoli: Caponapoli è un apice nascosto dal traffico convulso di Piazza Cavour, che distrae, insieme alla mole prestigiosa del Museo Archeologico, il visitatore e dalle righe di turisti che occupano i decumani bassi del centro storico, via San Biagio e via dei Tribunali.

Ma la Napoli sacra fin dai tempi dei coloni greci, la Napoli delle donne religiose, è in alto, tutta in questo decumano, il terzo, che scorre dagli ospedali vecchi e sbuca in via Duomo, poco più in alto della Cattedrale: è l’Anticaglia, detta così perché le mura antiche, il teatro dove cantò Nerone, le case degli alessandrini di stanza in città durante l’Impero, le torri bizantine del Ducato, gli ipogei e le sepolture non sono che le basi, rimescolate e usate, degli edifici sorti come rampicanti fra Trecento e Seicento su questa base millennaria.

Non è dunque un caso che l’Ospedale degli Incurabili e i suoi tre monasteri femminili fondati dalla Beata Maria Lorenza Longo, insieme ad altre istituzioni analoghe come il monastero di Regina Coeli di Jean Antihide Touret, sorgessero su questa linea, fiorita di templi magnogreci e poi romani, fitta di chiese e case, esposta al vento della sommità cui fa ombra, in lontananza, solo la collina di Capodimonte.

Il prezioso libro di Adriana Valerio, storica e teologa, Un tantillo di fe’ mi ha salvata! (Edizioni Paoline), ripercorre e chiarisce questa prestigiosa storia, con un’appendice inedita della prima biografia della Beata Longo scritta nel Seicento da Mattia Bellintani da Salò e trascritta dall’attuale abbadessa dell’unico dei tre monasteri sopravvissuti, quello detto delle Trentatré, suor Rosa Lupoli.

La Napoli della prima metà del Cinquecento è una città effervescente: non solo perché don Pedro da Toledo, primo vicerè castigliano, ne promuove edilizia laica e religiosa e la battezza polo culturale per poeti, architetti, scrittori e pittori, faro di un viceregno scosso invece nei due secoli seguenti da rivolte, carestie, pestilenze e tassazioni, ma perché una straordinaria crescita spirituale si verifica in parallelo alla nascita di un geniale welfare, religioso e laico, che sopperisce a ogni genere di necessità sociale, dall’indigenza alla malattia, dal contenimento delinquenziale all’accompagnamento alla morte.

E in questo welfare ante litteram sono le donne a giocare un ruolo centrale: sono infatti nobildonne spagnole e napoletane a raccogliere le istanze della riforma spirituale che si muove in area cattolica con direzioni simili a quelle della riforma protestante, ovvero chiedendo un ritorno alla povertà e una fede che prediliga l’interiorità.

Maria Longo, Giulia Gonzaga, Maria de Ayerbe, fra le nobili religiose, e Caterina Cybo, Vittoria Colonna, Costanza d’Avalos, Maria d’Aragona, fra le intellettuali: ecco solo alcune delle sensibilità che si raccolgono intorno agli alumbrados di Juan Valdès e a Bernardino Ochino; donne che nel secolo seguente sarebbero state seguite da tante, fra cui Orsola Benincasa.

Come scrive Adriana Valerio: «Queste donne sentivano che l’esperienza di fede non doveva passare necessariamente attraverso la scelta monastica: anche nella laicità era possibile incontrare Dio. La spiritualità di queste protagoniste era un’implicita alternativa alla Chiesa rinascimentale, gerarchica e maschile, che offriva l’immagine di un Dio onnipotente e giudicante e che fondava il potere sulla gestione clericale del sacro, forte di una invisibilità strutturale del femminile».

Ed è impossibile offuscare la forza di un’opera che in pochi anni mette insieme il più grande ospedale d’Europa, destinato a tutte e a tutti senza selezioni di censo, e insieme fonda un banco, nella città dove ce ne sono quasi dieci e rappresentano la base della banca moderna nel mondo, il Banco di Santa Maria del Popolo, che si occupa del microcredito a tutela dei più deboli.

È impossibile far svanire la rivoluzione di una donna che, per risolvere le epidemie di sifilide e peste, si lancia prima nel recupero di adeguati spazi, spostando in barella i malati dal vecchissimo ospedale di San Nicola nelle nuove case acquistate per costruire l’Ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili (un’epica processione avvenuta il 23 marzo 1522), poi chiede e ottiene lo spostamento della Compagnia dei Bianchi, nata per assistere i condannati e i carcerati, dall’antica chiesa di San Pietro ad Aram all’interno dell’Ospedale; che, non contenta, coinvolge i potenti ordini dei Cappuccini e dei Teatini in un’assistenza a rotazione settimanale; e quindi immagina con Gaetano da Thiene la costituzione del monastero di clausura femminile di Santa Maria di Gerusalemme, ad oggi l’unico sopravvissuto alle riforme napoleoniche, e perfino di mettere al servizio dell’ospedale le Convertite e le Pentite, ovvero le prostitute che, lasciando il mestiere, si adoperavano in funzione infermieristica in un secondo monastero e, infine, crea un terzo polo monastico, quello delle Riformate.

Senza questa straordinaria spinta, la viceregina Maria Zuñiga non avrebbe aiutato la nascita, verso la fine del Cinquecento, delle Madri del ben morire, religiose pentite addette all’assistenza di malati terminali, decisione ampiamente contestata dal mondo maschile: come fanno donne un tempo dedite al vizio ad accompagnare al trapasso i moribondi?

Come possono essere idonee a compiti così delicati delle “donnicciole”? Per biografi, teologi e critici le donne sono inaffidabili, ostinate, iraconde, orgogliose, vendicative…

Che l’eccezionale visione d’insieme di Maria Lorenza Longo e delle donne che l’aiutarono trovasse ostacoli era dunque da immaginarsi: nel tempo, le controparti maschili religiose si ritirano o si appropriano di luoghi e conduzione; gli spazi si rivelano inadeguati, tanto che nel 1728 le monache nobili di Santa Maria delle Grazie e le ex prostitute delle Pentite si scontrano spavaldamente; gli Incurabili diventano istituzione a sé e contendono il prestigio ai monasteri.

Era inevitabile, in un mondo così poco attento alla genialità femminile e al riconoscimento del valore delle donne, che Maria Lorenza Longo impiegasse quindi tre secoli per diventare Beata, come è avvenuto solo nel 2021.

Ma le monache cappuccine istituite secondo le regole ispirate a santa Chiara e definite dalla Beata Longo si diffusero subito in tutt’Italia, in Spagna, Francia e Portogallo e ad oggi sono ben duecento i monasteri sparsi in ventisette paesi del mondo che ancora seguono i suoi dettami.

Se passerete per l’Anticaglia con sotto il braccio il libro di Adriana Valerio, il tragitto a piedi che vi porta da Sant’Aniello a Caponapoli lungo vico Settimo Cielo che custodisce i resti di Sant’Andrea delle Dame, incendiata nel 1799, sotto vetro, come la bara di Biancaneve, e vi fermerete nella bellissima chiesa di Regina Coeli e poi nella magnifica Santa Maria di Gerusalemme, soglia segreta per il Monastero delle Trentatrè, compirete, in fondo, pochi passi. Eppure, quanto magnifico è lo splendore degli Incurabili, della Farmacia settecentesca e del Museo Sanitario che vi sono custoditi, tanto sentirete il calore del coraggio, che alle donne mai manca, di Maria Longo: il coraggio di credere, investire e operare.

di Antonella Cilento


#sistersproject

L’autrice

Napoletana, finalista Premio Strega nel 2014 con Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori), autrice   di  romanzi, fra cui Isole senza mare (Guanda, 2009), Morfisa o l’acqua che dorme (Mondadori, 2018),  racconti  e reportage. Dirige  la scuola di scrittura Lalineascritta e coordina il  master di scrittura e editoria del Sud Italia, sema . Il suo insegnamento  è raccontato ne  La caffettiera di carta (Bompiani, 2021). Ultimo libro: Solo di uomini muore il bosco (Aboca, 2022). Dirige la rassegna di letteratura  Strane Coppie