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DONNE CHIESA MONDO

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In Francia, Italia, Germania, Usa, unite dall’impegno sociale

Il ritorno delle beghine

 Il ritorno  delle beghine  DCM-004
01 aprile 2023

Le beghine sono tornate e sparse nel mondo rivivono l’esperienza sororale e comunitaria che caratterizzò il movimento fin dagli esordi nel Medioevo.
A Saint-Martin-Du-Lac (Francia) persone laiche e consacrate formano una comunità monastica dedicata all’aiuto dei bisognosi. Nella periferia romana di Tor Bella Monaca (Italia) un gruppo di ex suore è impegnata nel recupero delle famiglie impigliate nella droga e nel disagio sociale. Negli Stati Uniti le Companions of Claire, guidate da una donna che un tempo apparteneva all’ordine delle Clarisse, aiutano gli agricoltori a trovare uno spazio nel commercio locale.

Sono cristiane che come le beghine storiche scelgono la libertà di una fede vissuta senza l’esigenza di prendere i voti. Donne non più giovani che rendono concreto il bisogno di intrecciare una sorellanza e per questo vivono sotto lo stesso tetto, accomunate dalla missione viva di un impegno sociale. Un impegno anche femminista, come le nuove beghine tedesche che a Essen promuovono l’aiuto ai malati, o le beghine francesi di Montreuil riunite in una comunità che è anche casa di riposo dove la spiritualità cristiana è ecumenica e condivisa.

Gli esempi fioriscono, silenziosi, e risvegliano l’interesse per le beghine delle origini che non furono mai un ordine e non ebbero mai una regola né una fondatrice, pur prendendo i voti della castità, dell’obbedienza e della povertà. Anarchiche ma mai eretiche, le beghine cominciarono ad apparire nel 1200 nelle Fiandre e nei Paesi Bassi per poi diffondersi in Germania, Francia, Svizzera e Italia dove presero a seconda delle latitudini nomi differenti: humiliate, papelarde, mulieres religiosae, devotae. Né spose né monache, furono il primo caso nella storia di un movimento femminile sciolto dal dominio maschile, come ricorda Silvana Panciera nel suo Le beghine. Una storia di donne per la libertà, che Gabrielli dopo 10 anni ripubblica in una nuova edizione rivista e ampliata, con prefazione dello studioso di mistica speculativa Marco Vannini.

Per il medievalista Raoul Manselli furono responsabili della «seconda evangelizzazione d’Europa» grazie alla missione nei contesti urbani; una di loro, la belga Isabelle Duvit, aprì a Bruxelles la prima scuola pubblica del continente; e furono beghine le prime infermiere d’Europa all’interno degli ospedali cittadini dove privilegiavano la propria presenza, gli hotel-Dieu che accoglievano malati, senza tetto e prostitute.

Eppure ancora oggi il termine beghina, di etimologia oscura o forse vicina ai panni beige che indossavano, bolla una donna come infelice e bigotta. È il residuo semantico di una indipendenza che attirò nei secoli il malanimo delle gerarchie ecclesiastiche e dei borgomastri che non sapevano come etichettare queste donne decise a seguire una vita differente da tutto ciò che era codificato socialmente fino a quel momento. Le beghine infatti dimostrarono prima di tutte che la prima libertà è quella economica. Non dovevano chiedere denaro a nessuno, visto che vivevano del proprio lavoro: tessevano, insegnavano, si occupavano di accompagnare i malati alla morte.

La loro libertà si esprimeva anche nella scelta di vivere nei beghinaggi, casette ordinate specialmente diffuse nei Paesi Bassi e nel Belgio, che modificarono la struttura architettonica di molte urbanizzazioni, comunità protette dai muri con una porta che spesso veniva chiusa la notte per tenere lontani gli aggressori ma anche, simbolicamente, per riaffermare la purezza delle beghine che sceglievano quello stile di vita per secoli ritenuto irregolare. All’interno di quelle nuove costruzioni muliebri le devotae vivevano non in povertà bensì sobriamente, dedicando le ore della giornata agli impegni lavorativi e apostolici. Il più antico dei beghinaggi, ancora integro, è visitabile a Leuven (Belgio), territorio secondo gli storici dove apparvero per la prima volta le beghine che nel xiii secolo nel solo Belgio costituivano il 6% della popolazione e 126 comunità. Nel 1321 in Germania ne erano censite 200 mila, un numero enorme. Molte erano “mogli mancate” per via delle Crociate che drenarono giovani dall’Europa verso il confine con l’Impero ottomano. Altre erano troppo povere per diventare monache, visto che le famiglie dovevano comunque donare una dote ai conventi. Rimanevano dunque in casa oppure vivevano in gruppi ridotti di tre o quattro, in una nuova forma famigliare che includeva a volte forme mistiche o ascetiche, poiché le beghine dei primi secoli risentirono dell’ondata di rinnovamento spirituale che percorreva la Chiesa, anticipando i sussulti della Riforma protestante. Se molta parte della storia delle beghine è ancora incerta, è sicuro che la loro presenza scatenava spesso l’irritazione delle gerarchie ecclesiastiche. L’Inquisizione ne condanna al rogo più di una per eresia e stregoneria. La più celebre è Marguerite Porete, francese, donna coltissima che secondo alcune fonti tradusse la Bibbia dal latino al vernacolare e lasciò un libro ritrovato soltanto nella metà del Novecento che all’epoca attirò le attenzioni del tribunale della Chiesa. Porete fu ricosciuta “irregolare”, teologicamente deviata e perciò invitata a comparire dinanzi ai giudici ecclesiastici parigini. Poiché si rifiutò, venne arsa viva nella capitale francese nel 1310. Clemente v nei primi anni del Trecento scomunicò l’intero movimento delle beghine. E tuttavia non scomparvero, anzi. Animate dalla fede, dal coraggio e dal realismo – sono le parole degli studiosi Weyergans e Zenoni – continuano a esistere ancora oggi come radici nascoste eppure vive.

di Laura Eduati