· Città del Vaticano ·

Nota congiunta dei Dicasteri per la cultura e l’educazione e per il servizio dello sviluppo umano integrale

La “dottrina della scoperta”

 La “dottrina  della scoperta”  QUO-075
30 marzo 2023

Nota congiunta
sulla “Dottrina della scoperta”
dei Dicasteri per la Cultura e l’Educazione
e per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale


1. Fedele al mandato ricevuto da Cristo, la Chiesa cattolica si sforza di promuovere la fraternità universale e il rispetto della dignità di ogni essere umano.

2. Per questo motivo, nel corso della storia i Papi hanno condannato gli atti di violenza, oppressione, ingiustizia sociale e schiavitù, compresi quelli commessi contro le popolazioni indigene. Ci sono stati anche numerosi esempi di vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici che hanno dato la loro vita in difesa della dignità di quei popoli.

3. Allo stesso tempo, il rispetto per i fatti della storia richiede il riconoscimento della debolezza umana e dei fallimenti dei discepoli di Cristo in ogni generazione. Molti cristiani hanno commesso atti malvagi contro le popolazioni indigene per i quali i Papi recenti hanno chiesto perdono in numerose occasioni.

4. Ai nostri giorni, un rinnovato dialogo con i popoli indigeni, soprattutto con quelli che professano la fede cattolica, ha aiutato la Chiesa a comprendere meglio i loro valori e le loro culture. Con il loro aiuto, la Chiesa ha acquisito una maggiore consapevolezza delle loro sofferenze, passate e presenti, dovute all’espropriazione delle loro terre, che considerano un dono sacro di Dio e dei loro antenati, e alle politiche di assimilazione forzata, promosse dalle autorità governative del tempo, volte a eliminare le loro culture indigene. Come ha sottolineato Papa Francesco, le loro sofferenze costituiscono un forte richiamo ad abbandonare la mentalità colonizzatrice e a camminare con loro fianco a fianco, nel rispetto reciproco e nel dialogo, riconoscendo i diritti e i valori culturali di tutti gli individui e i popoli. A questo proposito, la Chiesa si impegna ad accompagnare i popoli indigeni e a promuovere gli sforzi volti a favorire la riconciliazione e la guarigione.

5. È in questo contesto di ascolto dei popoli indigeni che la Chiesa ha sentito l’importanza di affrontare il concetto denominato “dottrina della scoperta”. Il concetto giuridico di “scoperta” è stato dibattuto dalle potenze coloniali a partire dal xvi secolo e ha trovato particolare espressione nella giurisprudenza ottocentesca dei tribunali di diversi Paesi, secondo cui la scoperta di terre da parte dei coloni concedeva il diritto esclusivo di estinguere, mediante acquisto o conquista, il titolo o il possesso di quelle terre da parte delle popolazioni indigene. Alcuni studiosi hanno sostenuto che la base della suddetta “dottrina” si trova in diversi documenti papali, come le Bolle Dum Diversas (1452), Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493).

6. La “dottrina della scoperta” non fa parte dell’insegnamento della Chiesa cattolica. La ricerca storica dimostra chiaramente che i documenti papali in questione, scritti in un periodo storico specifico e legati a questioni politiche, non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica. Allo stesso tempo, la Chiesa riconosce che queste Bolle papali non riflettevano adeguatamente la pari dignità e i diritti dei popoli indigeni. La Chiesa è anche consapevole del fatto che il contenuto di questi documenti è stato manipolato a fini politici dalle potenze coloniali in competizione tra loro, per giustificare atti immorali contro le popolazioni indigene, compiuti talvolta senza l’opposizione delle autorità ecclesiastiche. È giusto riconoscere questi errori, riconoscere i terribili effetti delle politiche di assimilazione e il dolore provato dalle popolazioni indigene, e chiedere perdono. Inoltre, Papa Francesco ha esortato: «Mai più la comunità cristiana potrà lasciarsi contagiare dall’idea che una cultura sia superiore alle altre, o che sia legittimo ricorrere a modi di coercizione degli altri».

7. Senza mezzi termini, il magistero della Chiesa sostiene il rispetto dovuto a ogni essere umano. La Chiesa cattolica ripudia quindi quei concetti che non riconoscono i diritti umani intrinseci dei popoli indigeni, compresa quella che è diventata nota legalmente e politicamente come “dottrina della scoperta”.

8. Numerose e ripetute dichiarazioni della Chiesa e dei Papi sostengono i diritti dei popoli indigeni. Ad esempio, nella Bolla Sublimis Deus del 1537, Papa Paolo iii scrisse: «Definiamo e dichiariamo [...] che [, ...] i detti indiani e tutti gli altri popoli che in seguito saranno scoperti dai cristiani, non devono in alcun modo essere privati della loro libertà o del possesso dei loro beni, anche se non sono di fede cristiana; e che possono e devono, liberamente e legittimamente, godere della loro libertà e del possesso dei loro beni; né devono essere in alcun modo ridotti in schiavitù; se dovesse accadere il contrario, sarà nullo e non avrà alcun effetto».

9. Più recentemente, la solidarietà della Chiesa con i popoli indigeni ha dato origine al forte sostegno della Santa Sede ai principi contenuti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni. L’attuazione di questi principi migliorerebbe le condizioni di vita e aiuterebbe a proteggere i diritti dei popoli indigeni, oltre a facilitare il loro sviluppo nel rispetto della loro identità, lingua e cultura.

Traduzione italiana del testo originale in inglese


L’arte dell’incontro e l’architettura della riconciliazione


Parlando delle ingiustizie storiche e dei crimini di guerra nella sua enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco afferma che «è facile oggi cadere nella tentazione di voltare pagina dicendo che ormai è passato molto tempo e che bisogna guardare avanti. No, per amor di Dio! Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa» (Fratelli tutti, 249).

Nella Nota sulla “Doctrine of Discovery” (pubblicata oggi dal Dicastero per la cultura e l’educazione e dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale), la Santa Sede esamina attentamente la storia della Chiesa e la sua deplorevole associazione con la dottrina della scoperta, che è stata invocata da varie potenze coloniali contro le popolazioni indigene, in diverse parti del mondo, per giustificare l’espropriazione della loro storia e la sottovalutazione e l’eliminazione delle loro culture. 

La nota riconosce che le bolle papali su cui le potenze coloniali appoggiarono le loro pretese non riflettevano adeguatamente la pari dignità e i diritti dei popoli indigeni e che i documenti furono manipolati da quelle potenze per giustificare atti immorali contro di esse che furono perpetrati, a volte senza l’opposizione da parte delle autorità ecclesiastiche. La dottrina della scoperta non faceva parte dell’insegnamento della Chiesa Cattolica, ed è ripudiata in questa Nota; ma questa tragico evento ci ricorda la necessità di rimanere sempre più vigilanti nella nostra difesa della dignità di tutti gli uomini e della necessità di crescere nella conoscenza e nell’apprezzamento delle loro culture. Specificamente, come ci ha ricordato Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato si’: «è indispensabile prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali... Per loro, infatti, la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identità e i loro valori» (Laudato si’, 146).

Questa Nota fa parte di quella che potremmo chiamare l’architettura della riconciliazione, ed è anche il prodotto dell’arte della riconciliazione, il processo in cui le persone si impegnano ad ascoltarsi, a parlarsi e a crescere nella comprensione reciproca. In tal senso, le intuizioni che informano questa Nota sono esse stesse il frutto di un rinnovato dialogo tra la Chiesa e i popoli indigeni. È ascoltando i popoli indigeni che la Chiesa sta imparando a comprendere le loro sofferenze, il passato e il presente, e le nostre mancanze. È nel dialogo culturale che siamo impegnati ad accompagnarli nella ricerca della riconciliazione e della guarigione. Dobbiamo vivere l’arte dell’incontro.

di José Tolentino de Mendonça
Cardinale prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione


La Chiesa rifiuta ogni parola o azione
che non riconosce la dignità umana


Intervista con il cardinale Czerny


Una «Nota formale», frutto di un processo non facile nell’ambito del dialogo e dell’ascolto richiesti dal Papa, che non vuole rinnegare i «passi sfortunati» del passato ma riconoscerli e inquadrarli nel loro contesto storico e anche nei loro effetti e nel loro impatto al giorno d’oggi. Così il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, sintetizza il joint statement sulla cosiddetta “Doctrine of discovery” pubblicato oggi: «La Santa Sede, i vescovi canadesi e americani vogliono davvero che questa Nota, che si rammarica di quanto accaduto, aiuti la guarigione e la riconciliazione con i popoli indigeni», afferma a colloquio con i media vaticani.

Eminenza, perché la Santa Sede ha deciso di pubblicare questa Nota congiunta sulla “Dottrina della scoperta”?

Il primo punto, quello fondamentale, è che i popoli indigeni l’hanno chiesto... Hanno chiesto di ripudiare la cosiddetta “Dottrina della scoperta”. La Nota denuncia e respinge questa idea della scoperta e spiega come le Bolle o i decreti del 1400 non esprimano in alcun modo la fede, dottrina o magistero della Chiesa. Importante riconoscere che la richiesta è stata ed è di una chiarificazione formale e perciò la Nota ha un tono formale. Se uno vuole ascoltare la parola della Chiesa in tono pastorale, non bisogna cercarlo nella Nota ma bisogna ascoltare le omelie e i discorsi di san Giovanni Paolo ii (1984) e di Papa Francesco (2022) quando hanno visitato il Canada. Il messaggio è lo stesso, ma il registro è diverso. Ad esempio, nel luglio 2015, in Bolivia — io ero lì, grazie a Dio — Papa Francesco, ripetendo Giovanni Paolo ii, ha chiesto alla Chiesa di «inginocchiarsi davanti a Dio e implorare il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli e delle sue figlie». I molti gravi peccati commessi contro i popoli indigeni dell’America in nome di Dio durante la cosiddetta conquista. 

Che significato e che portata avevano le tre Bolle papali del Quattrocento, con le quali il Papa concedeva ai colonizzatori di appropriarsi di terre e di beni degli indigeni? Perché questi documenti sono considerati da alcuni studiosi come la base della “Dottrina della scoperta”?

Prima di tutto, dobbiamo pensare che una Bolla è una decisione o un decreto con un sigillo, ma non è magistero, non è dottrina, non è insegnamento. È un qualcosa di puntuale che un Papa fa come capo di Stato in rapporto con altri capi di Stato. Verso la fine del Quattrocento, il Papa ha voluto mettere ordine ed evitare la guerra tra la Corona spagnola e la Corona portoghese nel loro affanno di colonizzare il cosiddetto Nuovo Mondo. Non si trattava tanto di aprire una nuova strada, ma di controllare ciò che accadeva e ciò che era inevitabile. Il Papa ha utilizzato i suoi strumenti nello sforzo di mettere ordine. Nel farlo ha usato un linguaggio ed espressioni che per noi oggi sono totalmente inaccettabili, ma all’epoca era il modo in cui la gente parlava. Il Papa voleva mantenere la pace. 

Questa storia la riconosciamo come triste, ma bisogna anche sottolineare che ciò che ci spinge più di una chiarificazione storica, è riconoscere e affrontare la realtà di oggi. In altre parole, non è sufficiente rifiutare questa triste storia, ma bisogna riconoscere, proteggere e promuovere la dignità di ogni persona umana, e quindi i diritti dei popoli indigeni. Con il pieno sostegno del Santo Padre e del Vaticano, le Chiese in Canada e negli Stati Uniti vogliono riconciliarsi con le popolazioni indigene e contribuire a facilitare il loro sviluppo nel massimo rispetto della loro identità, lingua, cultura e tradizioni.

Le Bolle papali parlano di dominazione, asservimento, sottrazione di terre e schiavitù. Come si fa ad andare avanti con un’eredità del genere? La risposta attuale, secondo lei, è adeguata?

Quando abbiamo una eredità di linguaggio di dominazione, asservimento, sottrazione di terre e schiavitù, la prima cosa da fare è dire: sì, questo è stato detto. Non nasconderlo e non negarlo. La seconda cosa — che è il lavoro prezioso degli storici — è inquadrare queste espressioni nel loro contesto. Se prendi queste parole e vedi come in quell’epoca in altri documenti e decreti della Chiesa si parlava di donne, bambini, ebrei o musulmani, purtroppo dici: ma questo vocabolario era dappertutto! Una serie di concetti antropologici totalmente inaccettabili oggi, alla luce del Vangelo. Ma così era... Niente da fare, se non riconoscere tutto questo. Facciamo tutto ciò non per curiosità storica, ma per riconoscere che questi atteggiamenti, questi passi sfortunati continuano ad avere un loro effetto oggi. Tutte le persone coinvolte — la generazione odierna di indigeni e quella odierna di abitanti altri — devono riconoscere ciò che è stato detto e perché, e poi vedere come si sono sviluppate le cose; forse la cosa più importante è riconoscere gli effetti della colonizzazione ancora oggi, e fare causa comune per superarli il prima possibile: rispettare l'identità, la lingua, le culture e i diritti delle popolazioni indigene, dice la Nota congiunta, e lavorare insieme per migliorare le condizioni di vita e promuovere lo sviluppo. Non c'è un singolo passo che possa eliminare l'eredità del colonialismo, e questo include le Bolle papali associate alla “Dottrina della scoperta”. I vescovi canadesi, i cattolici, i credenti e i cittadini devono lavorare ogni giorno, non solo per condannare le false idee che hanno infettato troppi atteggiamenti in Canada, ma anche per camminare in modo solidale con l’obiettivo della guarigione e della riconciliazione. 

Dobbiamo pertanto mostrarci aperti ad affrontare e ascoltare in modo da poter camminare insieme verso una risposta. Questo è il frutto più prezioso di un processo che non è stato facile: arrivare a una Nota formale che entra in un dialogo importantissimo con l’atteggiamento dell’ascolto.

Da quando la Chiesa cattolica ha affermato gli inviolabili diritti degli indigeni?

È una domanda complessa perché l’evoluzione del vocabolario e dell’insegnamento è stata lenta e diffusa. Una risposta particolare è arrivata nel 1537, quando Papa Paolo iii scrisse la Bolla Sublimis Deus del 1537, in cui affermava: «Definiamo e dichiariamo che i cosiddetti indiani e tutti gli altri popoli non siano in alcun modo privati della loro libertà o del possesso dei loro beni». Questo contraddice totalmente quanto detto cinquant’anni prima e ci indica la fluidità della storia. Importante lo sforzo della Nota pubblicata oggi e tutti gli sforzi scientifici di chiarire questa storia e di spiegare ogni dichiarazione nel suo contesto e — questa è la parte più esistenziale — nel suo effetto e impatto per oggi.

 In che modo il viaggio di Papa Francesco in Canada, nel luglio 2022, ha influito su questi argomenti? 

Il viaggio di Papa Francesco in Canada a cui  ho avuto l’onore di partecipare, ha messo le domande di cui parla la Nota all’ordine del giorno. Il Papa ha detto di fatto: siamo pronti e vogliamo confrontarci, vogliamo accettare e superare tutti i peccati del passato. Questo è più coraggioso di dire soltanto “facciamo un chiarimento storico”. È riconoscere che questo vocabolario di dominazione continua ad avere il suo effetto oggi. È la realtà... La seconda cosa è che il Santo Padre ci ha mostrato il modo in cui affrontare le questioni spinose del passato: ascoltando. Non cominciamo dai discorsi ma dall’ascolto. La Nota di oggi si trova nel contesto di ascolto e dialogo. Viene pubblicata perché popoli indigeni del Canada l’hanno chiesta. Non tutti, ma c’era un appello di vari anni perché ci fosse una chiarificazione formale sulla questione.

di Salvatore Cernuzio


Gratitudine delle Conferenze episcopali di Usa e Canada


Gratitudine per la “Nota congiunta” è stata espressa dalle Conferenze episcopali degli Stati Uniti d’America (Usccb) e del Canada (Cccb) attraverso comunicati in lingua inglese la prima e bilingue (inglese e francese) la seconda. 

L’arcivescovo Paul S. Coakley, segretario della Usccb,  definisce il documento un ulteriore passo nell’esprimere la preoccupazione e la sollecitudine pastorale della Chiesa per le popolazioni indigene, che hanno sperimentato tremende sofferenze a causa dell’eredità di una mentalità colonizzatrice. Accogliendo con favore il rinnovato ripudio e la condanna  della violenza e delle ingiustizie commesse contro di esse, l’episcopato Usa ricorda  il continuo sostegno della Chiesa alla loro dignità e per i loro diritti umani. Del resto, spiegano i vescovi, nei secoli successivi alle Bolle papali usate per giustificare la «Doctrine of Discovery» —  Dum Diversas (1452), Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493) — molti Pontefici hanno proclamato con coraggio i diritti concessi da Dio a tutti i popoli; al contempo però esortano  a non dimenticare quei momenti in cui ai singoli cristiani sono mancate audacia e chiarezza e le autorità ecclesiastiche non sono riuscite a opporsi  alle azioni distruttive e immorali delle potenze coloniali. In proposito — puntualizza il segretario dell’Usccb — «anche noi esprimiamo profondo dolore e rammarico, e con umiltà desideriamo offrire solidarietà, nonché ulteriore disponibilità ad ascoltare e a imparare. Continueremo — assicura — a sostenere le politiche che proteggono i poveri e i vulnerabili e che offriranno sollievo alle famiglie indigene», attraverso iniziative caritative, sanitarie ed educative, e rendendo più facilmente accessibili i documenti archivistici e storici. 

Da parte loro i vescovi  del Canada ricordano le «molte dichiarazioni rilasciate dalla Chiesa e dai Papi nel corso dei secoli in difesa dei diritti e delle libertà dei popoli indigeni, come ad esempio la Bolla Sublimis Deus del 1537. Anzi — aggiungono — più di recente i Pontefici hanno chiesto perdono in molte occasioni per gli atti commessi» contro tali popolazioni «da uomini e donne cristiani» e «avendo ascoltato il desiderio» da queste espresso, respingendo «ulteriormente ogni concezione che non riconosca i diritti fondamentali» delle stesse. Il riferimento è anche al recente pellegrinaggio penitenziale di Papa Francesco nel Paese, con tappe a Edmonton, Québec e Iqaluit (24-30 luglio 2022). 

Rimarcando come le tre Bolle pontificie usate per giustificare il fenomeno non siano «mai state considerate espressioni della fede cattolica» e come  i popoli indigeni abbiano «subito i terribili effetti delle politiche di assimilazione», la Cccb esprime piena adesione ai principi della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, la cui attuazione potrebbe migliorare le condizioni di vita di questi ultimi e sostenerne l’autosviluppo nel rispetto della loro identità, della loro lingua, della loro storia e della loro cultura. 

Infine, sebbene le esperienze siano distinte nei diversi Paesi, meritando ulteriori indagini, entrambe le Conferenze episcopali ravvisano opportunità per una comprensione comune, auspicando un maggiore dialogo tra studio. A tal fine, l’Usccb e la Cccb intendono organizzare un simposio accademico, iniziativa che ha ricevuto l’incoraggiamento del Pontificio Comitato di Scienze Storiche e dei Dicasteri (per la cultura e l’educazione e per il servizio dello sviluppo umano integrale) firmatari della Nota.