· Città del Vaticano ·

Sarà lanciato in orbita un nanobook che ricorda la Statio Orbis del Papa

Satellite e custode
della speranza

 Satellite  e custode della speranza  QUO-072
27 marzo 2023

Con un razzo Falcon 9, che partirà dalla base di Vandemberg in California il 10 giugno prossimo, verrà messo in orbita un piccolo satellite che porterà il libro in formato nanobook Perché avete paura. Non avete ancora fede? Statio Orbis 27 marzo 2020, di Francesco (Jorge Mario Bergoglio). Lo ha annunciato monsignor Lucio Adrián Ruiz, segretario del Dicastero per la comunicazione, presentando stamane l’iniziativa durante una conferenza stampa svoltasi nella Sala Marconi del palazzo dei media vaticani.

L’intero progetto, ha spiegato il prelato, ha preso il nome di Spei Satelles, che si può tradurre «satellite della speranza» ma che in latino corrisponde a «custode di speranza». Significando così, che «il satellite della speranza è pure un custode», perché in sé «porta il messaggio di speranza di Papa Francesco all’umanità» e chiama a raccolta tutti gli uomini di buona volontà.

Nei dieci anni di pontificato, ha aggiunto monsignor Ruiz, questa opportunità, «di un satellite e un nanobook di speranza, si avvera grazie, non solo allo sforzo e la generosità di tutte queste istituzioni che fanno parte del progetto» ma soprattutto di tutte le persone che si sono «coinvolte personalmente, e hanno voluto partecipare a un sogno, portare una parola di speranza a tutta l’umanità». Per sommare la voce di tanti a quella di Papa Francesco, «per richiamare e richiamarci, dai nostri propri luoghi, con le nostre forze, con le nostre conoscenze, con le nostre possibilità, ad essere seme di speranza, semi di pace, semi di solidarietà».

Il segretario del Dicastero ha ricordato che la pubblicazione è nata per commemorare il momento straordinario di preghiera presieduto da Papa Francesco, sul sagrato della basilica di San Pietro esattamente tre anni fa. Il prelato ha rievocato l’immagine del Pontefice mentre da solo, in una piazza San Pietro deserta, pregava per l’umanità e la fine della pandemia da Covid-19. Del volume sono state stampate 150.000 copie in 7 lingue, ed è allo studio un progetto perché «i pellegrini del Giubileo ne possano avere una copia, più piccola e sintetica, ma con tutto l’essenziale di questo messaggio». Del resto, esso non è semplicemente un libro, bensì «una scatola che, nel ricordare, ha tramandato un insegnamento, una tenerezza, una preghiera e una benedizione».

Nel tempo, questa missione del “libro/scatola”, grazie alla collaborazione tra istituzioni internazionali, «ha aperto una nuova strada al progetto», portando la pubblicazione, in una versione “mini” (10x8), al «repositorio universale di semi, nel Polo Nord, allo Svalbard Seed Volt», dove è stato inserito come “seme di speranza”. È nato lì, ha detto Ruiz, il sogno di far diventare il 27 marzo Giorno internazionale della speranza.

Da parte sua, Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione, ha sottolineato quanto sia significativo che, in un cambiamento di epoca quale è quello che si sta vivendo, «si riunisca oggi qui una comunità composta da scienziati, ricercatori, accademici e comunicatori», per raccontare un «lavoro fatto insieme e presentare un piccolo segno di unità e di speranza in un mondo così diviso e disperato».

È importante, ha fatto notare il prefetto, che ciò avvenga in un giorno «a sua volta emblematico della nostra storia recente, che tre anni fa sembrava quasi giunta ad un capolinea, uno stop imprevisto e cupo». E che oggi «si dibatte nel vicolo apparentemente cieco di una guerra di cui non si vede la fine. E in cui i missili di cui si parla sono quelli che portano armi di distruzione e non semi di speranza». Si sta vivendo un tempo che «sembra aver perso la memoria dei segni, come se non ci fosse nulla da segnare, nessuna cosa a cui affidare un valore simbolico, nessuna direzione, nessuna meta». Un tempo rassegnato «ad un presente senza futuro, senza speranza. In cui tutto rischia di apparire alla fine senza significato». C’è bisogno, invece, «di segni e di significati, e in fondo è proprio per questo che siamo qui oggi. Il solo esserlo è un segno».

La realizzazione del progetto è stata resa possibile grazie alla collaborazione tra Agenzia spaziale italiana (Asi), Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Politecnico di Torino, Instituto para el diálogo global y la cultura del encuentro (Idge), Apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino e Istituto salesiano universitario di Venezia (Iusve). In particolare, i giovani dell’Ateneo torinese, guidati da Sabrina Corpino, hanno progettato e costruito a tempo di record un CubeSat 3U SpeiSat che potesse ospitare e custodire il nanobook. L’Agenzia spaziale italiana presieduta da Giorgio Saccoccia ha reso possibile il suo sviluppo, il lancio e la messa in orbita bassa terrestre (Low Earth Orbit-LEO) a un’altitudine di circa 525 chilometri.

Per questo, alla presentazione sono intervenuti, oltre a Saccoccia, Sabrina Corpino, direttrice del laboratorio di sistemi e tecnologie per la ricerca aerospaziale del Politecnico di Torino, Andrea Notargiacomo, primo ricercatore dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), il gesuita Richard A. D'Souza, astronomo della Specola Vaticana, e don Luca Peyron, direttore del servizio per l’Apostolato digitale dell’arcidiocesi torinese.