Venerdì 24 marzo sarà il settantanovesimo anniversario del massacro di Markowa, in Polonia, nel quale i nazisti nel 1944 uccisero fra gli altri la famiglia Ulma (marito, moglie, sei figli e un settimo ancora nel grembo materno) per aver cercato di salvare degli ebrei nascondendoli nella propria casa. La loro beatificazione — prevista domenica 10 settembre — è stata ricordata nei giorni scorsi dalla Chiesa polacca, in particolare dall’arcivescovo di Przemyśl dei Latini, Adam Szal, per il quale questa vicenda «stimola una riflessione pastorale sul ruolo della famiglia, sulla santità della vita e sulla questione dell’aiuto agli altri». Il presule, sottolineando che sarà un evento senza precedenti (perché un’intera famiglia verrà elevata alla gloria degli altari, compreso il nascituro che Józef e Wiktoria aspettavano), ha osservato che la famiglia Ulma «può essere patrona di tutti coloro che aiutano i rifugiati di oggi: tante persone in Polonia hanno infatti aperto le porte dei loro cuori e delle loro case, proprio come hanno fatto Józef e Wiktoria prendendo sotto il loro tetto otto persone di nazionalità ebraica e in precedenza aiutando anche altri ebrei perseguitati in quel periodo. L’atteggiamento coraggioso della famiglia Ulma deriva dalla loro fedeltà al comandamento evangelico dell’amore per il prossimo», ha concluso monsignor Szal, proponendo come data della memoria liturgica dei nuovi beati il 7 luglio, giorno in cui Józef e Wiktoria si erano sposati nel 1935. (giovanni zavatta)
Il 17 dicembre 2022 Papa Francesco ha approvato il decreto riguardante il martirio di Józef e Wiktoria Ulma e dei loro sette figli, uccisi dai nazisti il 24 marzo 1944 a Markowa, in Polonia. I sei bambini avevano tra gli 8 e i 2 anni e il settimo era ancora nel grembo materno. Si tratta di un nuovo evento di grande importanza per la Chiesa e per il mondo intero, alla luce del mistero cristiano, che è anche la luce dei primi martiri: santo Stefano e i santi Innocenti. Il decreto sul martirio è sufficiente per procedere alla beatificazione che avrà luogo in Polonia il 10 settembre. Vale la pena di presentare brevemente le caratteristiche più originali di questa beatificazione.
Una famiglia ebrea e una famiglia cristiana unite nello stesso martirio
Si potrebbe parlare di un “martirio ebreo-cristiano” perché riunisce una famiglia ebrea e una famiglia cristiana. Nella Polonia occupata dai nazisti la famiglia Ulma accolse una famiglia ebrea di otto persone (più esattamente sei membri della famiglia Szall e due membri della famiglia Goldman) e la nascose per un anno e mezzo nella soffitta della sua fattoria. Sapevano di rischiare la vita. Ci sono molti esempi di persone morte per il semplice fatto di aver ospitato degli ebrei, come il sacerdote italiano don Giuseppe Beotti fucilato dalle SS nel 1944, e il carmelitano francese padre Jacques de Jesus, morto in seguito alla deportazione nel 1945, entrambi in via di beatificazione. La mattina del 24 marzo 1944, in seguito a una denuncia, la polizia tedesca invase la casa degli Ulma, uccidendo in successione gli ebrei, i due coniugi e i loro figli. Tutti i corpi furono poi gettati insieme in una fossa. Wiktoria era incinta e stava per partorire. Questa riunione di una famiglia ebrea e di una cristiana nello stesso martirio ha un significato molto profondo e offre la luce più bella sull’amicizia giudeo-cristiana. La persecuzione del nazismo era rivolta direttamente agli ebrei e indirettamente ai cristiani, spinta da un odio che era allo stesso tempo odio della fede (odium fidei) e odio della carità (odium caritatis). Questo è l’aspetto del “martirio formale da parte del persecutore”. L’odio nazista per gli ebrei era, al suo livello più profondo, l’odio per il Dio dell’Alleanza, l’Antica e la Nuova nel sangue di Cristo. La scelta dei coniugi Ulma è stata illuminata dalla parabola del buon samaritano. Avevano evidenziato il testo nella loro Bibbia. Come il samaritano del Vangelo, non appartenevano al popolo ebraico ma avevano eroicamente messo in pratica il comandamento dell’amore per il prossimo fino a dare la vita per i fratelli perseguitati, cosa che valse loro il riconoscimento in Israele di “Giusti tra le nazioni”.
Genitori e figli uniti nella stessa beatificazione
L’importanza e la novità di questa beatificazione stanno nel fatto che unisce Józef e Wiktoria a tutti i loro figli piccoli che sono stati uccisi con loro, compreso quello ancora nel grembo materno. Assomigliano ai santi Innocenti del Vangelo, i bambini trucidati dal re Erode che voleva uccidere Gesù. Non erano coscienti, non hanno scelto di morire per Lui, eppure la Chiesa li venera come veri martiri, come i primi martiri. La beatificazione della famiglia Ulma ci invita ad andare oltre una concezione troppo individualistica della santità, considerandone anche l’aspetto comunitario, alla luce delle parole di Gesù: «Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Matteo, 18, 20). Questa dimensione comunitaria della santità appare soprattutto nei gruppi di martiri, come le beate carmelitane di Compiègne e i beati martiri d’Algeria. Questo riconoscimento di un martirio familiare getta luce su cause simili, in particolare quella dei servi di Dio Cyprien e Daphrose Rugamba, uccisi il 7 aprile 1994, primo giorno del genocidio ruandese, con sei dei loro figli e una giovane nipote. La causa di beatificazione li comprende tutti. Si potrebbero trovare altri esempi di martirio familiare, soprattutto nel contesto della tragedia del popolo armeno.
La beatificazione di un bambino nel grembo materno
La beatificazione del settimo figlio ancora nel grembo materno è sicuramente l’elemento più originale e importante. Questo bambino senza nome, di cui non si conosce nemmeno il sesso, non è nato né naturalmente né soprannaturalmente nel battesimo, ma solo nella vita del cielo. Per la Chiesa è una persona e una persona santa; è un’anima che vede il volto di Dio e che rappresenta nella Chiesa del Cielo l’immensa folla di bambini morti prima della nascita, per morte naturale o per la morte provocata dall’aborto. A proposito di questa beatificazione, vale la pena ricordare come, dopo il Concilio, la Chiesa sia riuscita a superare la classica dottrina del limbo, che escludeva per sempre dalla vita del Paradiso tutti i neonati morti senza battesimo. Nel 2007 Papa Benedetto xvi ha approvato il documento della Commissione teologica internazionale che, pur riaffermando l’importanza del battesimo, apre per questi neonati la ferma speranza della salvezza eterna. Qui, la grande luce evangelica ci viene data nel racconto della Visitazione, quando Gesù, già presente e vivo nel grembo di Maria, santifica Giovanni Battista nel grembo di Elisabetta. Secondo le parole di sant’Ireneo di Lione, l’Incarnazione del Figlio di Dio è veramente «la ricapitolazione della lunga storia degli uomini», di tutti e di ciascuno in particolare, dal momento del suo concepimento. Prima della nascita e prima del battesimo, Gesù è già unito a ogni essere umano come suo Creatore e Salvatore. «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Romani, 5, 20). Questa è la grande verità della nostra fede, che i martiri fanno risplendere nella loro unione con Gesù morto e risorto, intercedendo con Lui per la salvezza di tutti gli uomini.
di François-Marie Léthel
Consultore del Dicastero delle cause dei santi