Ho incontrato Maurizio al centro della Caritas di Santa Giacinta in via Casilina Vecchia e, mentre mi recavo lì, cercavo di immaginare la sua persona, come ci saremmo salutati, con quale domanda avrei iniziato… Ero un po’ preoccupata e mi chiedevo, come sempre, se sarei stata all’altezza della situazione, in questo caso di raccontare la sua storia.
Condividiamo una passione, quella per lo sport: io ho passato 26 anni della mia vita a praticare la scherma, lui ancora oggi, a 76 anni, solleva pesi.
Eccolo Maurizio, mi aspetta seduto ad uno dei tavoli di una sala in cui si fanno diverse attività. Ha portato le sue coppe ed alcune foto. Non ho voluto essere da meno. Nella stanza ci sono altre persone: Antonio sta facendo un solitario, Alice un po’ ci osserva e un po’ guarda in su, Fatima fa l’uncinetto, Aldo si allena con esercizi alla parete.
Dopo le presentazioni, per rompere il ghiaccio ci prendiamo un bel caffè.
Maurizio non somiglia all’idea che mi ero fatta di lui. Gli ho portato una felpa in pile dell’Italia, che avrei voluto regalargli come ricordo del nostro incontro. Gliela darò alla fine, ma già so che non gli entrerà mai e dovrò mandargliene una più grande. È un signore robusto, di altezza media, con lo sguardo buono e un sorriso inaspettato che lo accompagna per tutta la nostra lunga chiacchierata. Parla con serenità e pacatezza, lentamente e con un bell’accento romanesco.
È bravo a nascondere le emozioni e molto lucido e obiettivo mentre parla di sé, anche delle cose che di lui non gli piacciono, ma che ha imparato ad accettare. Usa spesso la frase «È una battaglia persa», non col fare di chi si rassegna, quanto con la consapevolezza che certe situazioni sono talmente radicate e difficili, che è impossibile cambiarle.
È vestito bene. Mi dice che la suora gli ha scelto delle cose belle e che lo aiuta se c’è da fare qualche rammendo o sistemazione (come stringere i pantaloni da quando è un po’ dimagrito).
Maurizio, tu sei romano di Roma?
Sì, romano di Roma, trasteverino, nato vicino a Santa Maria in Trastevere. Sono figlio unico, ho passato un’infanzia normale (parliamo degli anni ’50), genitori cattolici, ho fatto il chierichetto… Le solite cose. Da bimbetto lo sport non mi interessava.
Quando hai iniziato con lo sport?
Verso i 15 anni, in quel periodo ero molto magro e un’amica di mamma le consigliò di mandarmi in una palestra di viale Giulio Cesare, lì s’allenava gente che lavorava al cinema… i cascatori, quelli che sapevano cascare bene, adesso li chiamano stuntman. In quella palestra per la prima volta ho toccato un peso.
E poi?
Nel ’67 lasciai perché nel frattempo era fiorita una nuova passione: mi piaceva ballare! Andavo al Piper. Mi riusciva bene ballare e allora il proprietario mi diede una tessera per entrare. Così con un piccolo gruppetto movimentavo un po’ le serate, soprattutto quelle “morte”. Per buoni 4 anni ho frequentato abitualmente il Piper: un periodo bello, mi divertivo.
E con Patty Pravo hai mai ballato?
Quando sono arrivato, Patty Pravo andava via. In compenso, ho incontrato Renato Zero quando non era nessuno, pure Loredana Bertè, i Pooh… Sono passati tutti da lì e poi sono diventati famosi.
Abitavo da solo, sono sempre stato un po’ bohémien… guardavo a quello che mi piaceva fare in quel momento.
Papà lavorava fuori Roma, a Lavinio, faceva l’idraulico. Ha insegnato il mestiere pure a me. Per un periodo ci sono stato pure io lì, ma poi sono tornato a Roma.
Sei sposato?
Sono stato sposato con Stefania 13 anni. Ci siamo conosciuti in una sala da ballo, rimase colpita perché ballavo bene, lei se la cavicchiava (ride).
Lavorava al Comune e aveva in mano una pratica di una persona che voleva aprire a Testaccio proprio una palestra di fitness, body building… si iniziavano ad americanizzare i nomi, prima si chiamava cultura fisica. Questa persona le diede una tessera, che lei passò a me: da quel momento non ho lasciato più.
Era di fronte all’Alibi, il night… lo conosci?
Qualcosa mi dice, ma non ho frequentato molti locali… Però ho fatto un corso di pesistica.
I pesi li fanno tutti, qualunque sport facciano. Pure vicino alla casa di riposo dove sto adesso, c’è una palestra e i calciatori della squadra di Montespaccato si allenano, soprattutto dalla cintola in giù.
Cosa ti piaceva di questo sport?
All’inizio, come tutti in quegli anni, lo facevo perché ero preso dai film americani, i cui protagonisti erano forti, belli... Ci piaceva vederci così, col “fisico”.
Anche se hai mollato, lo sport dei pesi ti piaceva?
Sì, mi piaceva, ho sospeso solo per quel periodo in cui mi piaceva tanto ballare. Dopo la Soul body, andai a Lavinio da mio padre a fare l’idraulico. Anche lì trovai una palestra. Tornato a Roma, approdai in una palestra a Monteverde dove incontrai un istruttore che mi notò e mi disse che di panca mi trovava forte. Mi propose di fare qualche gara e da lì, nei primi anni 2000, iniziai nel circuito over 60. Sono stato campione italiano!
Ti spiace non aver iniziato prima, magari da ragazzo, a fare le gare?
Certo, poi da ragazzo facevo pure di più di panca! Guarda le foto del campionato italiano del 2008 e questa del 2006, qui erano 100 chili, qui 110!
Wow, che date che hai menzionato! 2006 e 2008, sono gli anni dei miei successi più importanti! Nel 2006 ho vinto i mondiali e nel 2008 le medaglie olimpiche! Poi troppi infortuni e il “tracollo”. Tu ti sei mai infortunato?
Eh sì, il tendine sovraspinato si era usurato e si stava per rompere. Mi volevano operare, ma non me la sono sentita. Ho fatto fisioterapia, allora me la potevo permettere, e il dolore sparì…
Quindi hai proseguito?
I matrimoni finiscono, il prete dice: “Finché morte non vi separi”, ma pochi resistono. Coi pesi no, una volta che inizi non li lasci più.
Hai dei figli, Maurizio?
Sì, due, un maschio e una femmina, per fortuna, stando con la madre, non sono venuti come il padre!
Perché dici così!?
Io solo nello sport riuscivo ad essere concentrato, fermo, perseverante. Io sono così, come ti ho detto prima, bohémien… ma mi voglio bene così. È importante voler bene a se stessi, mantenere una propria dignità. Poi quel che fai, dove vivi, dove dormi… non importa, devi sempre volerti bene e quando sollevavo i pesi sentivo di volermi bene.
I valori che ti sono rimasti dello sport?
Sicuramente la disciplina, la costanza, l’impegno… Non riuscivo però a trasferirli nel quotidiano. È vero che forse ho avuto un po’ di sfortuna nella vita, anche se non è che ci credo molto nella sfortuna… Lavoricchiavo e mi potevo pagare una stanza, un posto letto, cose così. Ma una casa non più. Quella di Lavinio se l’erano presa. Però con mia moglie e con i figli ho sempre mantenuto dei buoni rapporti, sono stato presente. Anche se giravo da una stanza all’altra o in posti pure di fortuna.
Poi — me ne sono successe tante —, da un giorno all’altro mi sono ritrovato in mezzo alla strada. Mia figlia mi indirizzò all’ostello della Caritas, a via Marsala. Avevano posto e sono stato lì per un po’. E nel frattempo continuavo ad andare in palestra. Poi sono venuto a Santa Giacinta.
È stata tua l’idea di fare una palestra qui?
No, di un signore della Costa d’Avorio: è stato campione di taekwondo. Adesso, sta assieme a me nella casa di riposo. Allora, propose al direttore di fare dei corsi di ginnastica dolce.
A quel punto chiesi a mio figlio di recuperare qualche manubrio e di portarlo e, mentre loro facevano ginnastica dolce, io m’allenavo coi pesi.
Misi degli elastici alla scaffalatura della biblioteca: prima mi assicurai che fosse bella ancorata, in più con tutti quei libri, ma quando la sposti?!
Non so perché, ma ho il sospetto sia successo qualcosa…
(Maurizio ride un sacco e si gira verso Antonio, che continua col suo solitario: “Te ricordì Antò che disastro la biblioteca?”)
Temevo che il direttore mi avrebbe mandato fuori a calci nel sedere. Non trovavo le parole per dirglielo… ma lui lo aveva già saputo e non si capacitava di come avessi potuto buttare a terra tonnellate di roba.
E cosa ti disse il direttore?
Che era meglio lasciar perdere la biblioteca e mi diede uno spazio più adatto.
Me la fai vedere un po’ la palestra?
Certo! Quella è la maniglia, l’ho ancorata con degli stop lunghissimi, così siamo sicuri stavolta. C’ho attaccato gli elastici e il bastone, ci si possono fare un sacco di esercizi. Guarda come lo sta facendo bene lui!
Che piacere che mi fa vedere che venga usata, c’ho messo l’anima per metterla su! Guarda questa cyclette, era del direttore, a casa sua faceva da appendiabiti, allora me l’ha portata qua. Abbiamo altri attrezzi: un tapis roulant e poi questa panca. L’ho costruita tutta io, c’ho messo pure un ferro che ti aiuta a fare gli addominali (si mette sulla panca e mi fa vedere).
Anche alla casa di riposo dove sei adesso hai fatto la palestra?
No, c’è una palestra lì vicino e ci vado il martedì e il giovedì. Ci sarebbe la ginnastica dolce, ma che ci faccio con la ginnastica dolce?! Sto un po’ sul tapis roulant e poi faccio il circuito da 5 giri coi pesi.
Cosa c’è di speciale nei pesi?
Che il tuo avversario è il bilanciere, se lo tiro su ho vinto io, se non ce la faccio ha vinto lui. Lo spirito del sollevamento pesi è diverso, la gente applaude la prestazione: se ce la fai, ti applaudono anche i tuoi contendenti e i loro tifosi.
I tuoi figli li hai mai coinvolti?
Guarda questa foto che bella, c’è mio figlio che mi passa il bilanciere. Lui però fa pugilato. Mia figlia cammina, va in bici e tra poco diventerà mamma… e io nonno!
Un nonno che consigli darebbe ai giovani sportivi (e non)?
Di non prendere scorciatoie, come per esempio le sostanze che aiutano la prestazione e ti fanno crescere il muscolo. Giravano tanti anabolizzanti, ma io non li ho presi mai. E poi le droghe: ho dei bruttissimi ricordi... La droga è devastante. Gente che conoscevo è morta, altri si sono rovinati...
Fino a quando pensi che solleverai pesi?
Fino a quando je la farò, e poi mi darò pure io alla ginnastica dolce…
Maurizio Marchetti e Margherita Granbassi