· Città del Vaticano ·

Con lo sguardo del buon samaritano Il servizio “sulle strade e in mezzo alla gente” di Athletica Vaticana

Il volto solidale dello sport

 Il  volto solidale  dello sport  ODS-008
04 marzo 2023

Per fare sport… “e basta” non avrebbe alcun senso una “squadra del Papa”. Alla domanda “cos’è e perché Athletica Vaticana?” ha risposto personalmente Papa Francesco il 29 maggio 2021, ricevendo la delegazione dei “suoi” atleti in partenza per San Marino, per la prima partecipazione a una competizione ufficiale: i Campionati di atletica leggera dei Piccoli Stati d’Europa: «Qualcuno potrebbe dire perché in Vaticano c’è questa associazione sportiva ufficiale, non ci si dovrebbe occupare solo di teologia? A chi dice questo, rispondiamo che la Chiesa ha a cuore tutto ciò che riguarda l’uomo, come lo sport».

Rilanciando poi questa visione sportiva, in particolare, in occasione dei Giochi del Mediterraneo a Oran in Algeria, il 3 luglio 2022, presenta Athletica Vaticana come “ambasciatore del Papa” perché «testimonia concretamente, sulle strade e in mezzo alla gente, il volto solidale dello sport, accogliendo al suo interno anche giovani migranti e persone con disabilità». Il Mediterraneo, già: e se fosse anche lo sport a far sì che il Mare Nostrum torni a essere luogo di incontro e non più quel “grande cimitero” di persone morte per cercare una vita migliore?

Ecco il servizio di Athletica Vaticana, l’associazione polisportiva ufficiale vaticana: tra atletica, ciclismo, padel, taekwondo, cricket, oltre al team paralimpico, e presto altre novità tra scherma e basket, pure calcio all’occorrenza. La radice greca della parola “athletica” indica un’attività con una meta, uno scopo, un senso. Non un impegno per prevalere, agonisticamente, sugli altri. A dirla tutta, l’etimologia di “athletica” suggerisce proprio un compito da espletare. E per la “squadra del Papa” la missione è chiara: promuovere con i fatti e per le strade (non a chiacchiere nei convegni) la cultura popolare dello sport – linguaggio universale a tutti comprensibile – tra solidarietà e inclusione. Perché lo sport è un diritto di tutti e aiuta a vivere, come esperienza sociale di comunità. E perché nessuno resti indietro e da solo. Con lo stile dei ciclisti che attendono il loro compagno attardato — per stanchezza, per una caduta, per un guasto alla bici — per riaccompagnarlo, insieme, in gruppo.

Non c’è da sorprendersi se il primo atto di Athletica Vaticana — singolarissimo “corpo diplomatico sportivo”, composto da circa 200 donne e uomini — è stato l’accordo con la Federazione italiana sport paralampici e sperimentali (Fispes), nell’ambito del Comitato italiano paralimpico, per contribuire a un cambiamento culturale nella percezione della disabilità nella quotidianità. Tanto che a gennaio Athletica Vaticana ha partecipato agli Europei di padel mixto: una coppia di giocatori “con” e “senza” disabilità. In campo insieme, con naturalezza.

Ogni giorno la comunità di Athletica Vaticana si domanda che senso ha tenere i bilanci economici in regola (così come deve essere!), esporre un medagliere sportivamente “ricco”, ma non fare di tutto per essere a posto, in coscienza, con il “bilancio della vita”. Il filosofo portoghese Manuel Sérgio ricorda che non c’è la corsa, ma una persona che corre. E non c’è un salto, ma una persona che salta. La persona, ecco.

In semplicità e fraternità, con la sobrietà indicata da Papa Francesco, il vero “bilancio” di Athletica Vaticana non è “solo” una conta di soldi e di prestazioni sportive. Sul “bilancio inclusivo e solidale”, però, non si è mai a posto: c’è “da fare” sempre molto — e molto di più e meglio — per essere per davvero “fratelli tutti” nelle strade, nei campi, nelle piste, nelle palestre. Per vivere lo sport come opportunità di incontri, di socialità, di dialogo con tutti, di amicizia che diventa fraternità. Un servizio particolarmente importante, persino decisivo, in una società attraversata da guerre, tensioni, divisioni, paure. Perché lo sport, se vissuto nella sua anima e custodendone la gratuità e il nobile spirito “amateur”, potrebbe non solo dare speranza, ma persino prevenire i conflitti, grandi e piccoli, tra gli Stati e tra le persone.

Ecco, allora, l’abbraccio con la visione sociale degli organizzatori della Maratona di Roma, l’evento sportivo più partecipato in Italia: al posto della consueta “cena di gala” condividere (non solo offrire) un pasto con le persone povere che fanno riferimento al Centro di accoglienza aperto a Palazzo Migliori dall’Elemosineria apostolica e affidato alla Comunità di Sant’Egidio.

E poi il Meeting inclusivo di atletica “We Run Together”: lo sport come dovrebbe essere. Sulla linea di partenza tante staffette “fraterne”: persone con disabilità intellettiva e fisica, detenute e detenuti, giovani migranti, donne vittime di violenze, bambine e bambini delle scuole, diplomatici presso la Santa Sede, funzionari di Palazzo Chigi e amministratori comunali di Roma, persino “L’Osservatore Romano”. Oltre a campioni e promesse dello sport. In questa “fotografia” c’è concretamente lo sport inclusivo, senza vincitori e vinti. Ma con l’impegno a passare di mano in mano il testimone della grande “staffetta della vita”.

Ancora: i ciclisti vaticani che pedalano per 35 km da piazza San Pietro per andare ad abbracciare i piccoli ricoverati nel Centro per le cure palliative pediatriche aperto un anno fa, a Passoscuro, dall’ospedale “Bambino Gesù”, vivendo una presenza di fraternità con i familiari e il personale sanitario, così come con le famiglie povere, con bambini piccoli, senza assistenza sanitaria italiana, accolte dal Dispensario pediatrico vaticano “Santa Marta”. Stare con loro è vivere la cultura dello sport, nel senso più vero.

Abbraccio e ascolto è lo stile, che andrebbe applicato a ogni ambito sociale, dei ciclisti vaticani quando pedalano con atleti non vedenti e paralimpici, partecipando anche al Giro d’Italia in handbike, ideato da Alex Zanardi. Alla viglia dei Mondiali di ciclismo in Australia, nel settembre 2022, i ciclisti vaticani hanno incontrato i rappresentanti della comunità aborigena. Non avrebbe avuto senso correre in bici… “e basta”. Tre “sopravvissuti” alle ferite e alle ingiustizie — Roger, Carey e Richard — hanno offerto una croce dipinta a mano. Appena rientrati a Roma, i ciclisti l’hanno consegnata personalmente a Papa Francesco. Proprio come “ambasciatori” nello sport.

di Giampaolo Mattei *

*Presidente di Athletica Vaticana