· Città del Vaticano ·

L’altra copertina

Che m’importa!

 Che m’importa!  ODS-008
04 marzo 2023

Anni ’90 del secolo scorso. C’era ancora la guerra in Mozambico. Ho incontrato, guidato dalla Provvidenza, un villaggio — Mafuiane — nei pressi della capitale Maputo, dove la gente impaurita cercava di sopravvivere. I bambini erano tanti: grandi sorrisi nonostante tutto. Sono rimasto affascinato da quei visetti spauriti, ma sorridenti: sono stato conquistato! Ero lì… cercavo di donare gioia e speranza. Ho iniziato a giocare con loro, a correre… e loro piccolini, come nugoli di uccelli simili agli stormi delle nostre serate d’autunno che volteggiano all’imbrunire, a rincorrermi. A destra… a sinistra… fin quando, come per sfuggire all’accerchiamento, mi arrampicavo su un albero. E i bambini sotto, sprizzando gioia, gridavano a squarciagola: «Macaco… macaco… doneuricu macaco…». Che m’importa! Che m’importa! Sì, ero un “macaco”, ma loro erano felici! Un po’ clown di Gesù Cristo come San Filippo Neri.

Me ne ricorda, questo flash, un altro, tra i tanti momenti di serenità e di gioia.

In quel periodo organizzavo anche campeggi estivi con i bambini. Si andava in Abruzzo nelle case attrezzate dalla parrocchia per quelle esperienze che ancora oggi, dopo tanti anni, se ne ha il ricordo piacevolissimo. Una volta avevo con me bambini piccolissimi. I genitori me li avevano affidati. Ed una mattina, forse alle 6 (dormivo nella stanza al piano terra e loro nella stanza sopra di me), mi sono svegliato perché sentivo i passetti dei bambini. Problemi? Corro di sopra, entro nella stanza e trovo che stavano intorno ad un lettino dove c’era Meme in pianto: «Che succede?», domando. «Meme piange perché vuole la mamma», rispondono in coro. Si accende la lampadina della fantasia: «Ma come, proprio oggi che dobbiamo andare a cercare funghi!... Su, svelti… le scarpe e andiamo…». I bambini corrono a mettersi le scarpe, anche Meme. Scendono per le scale e, in fila indiana dietro di me, in pigiama, in giro per il paese, poi sulla collinetta, poi sotto la grande quercia, poi nei campi… Cerca… Cerca... Niente! Arrivano le 8. «È tardi, sono le 8… è ora di colazione… le cuoche ci aspettano… via di corsa a casa…». Anche Meme, cioè Emanuele, che non piange più, come non aveva pianto quando la mamma mi ha permesso, nella notte di Natale, di portarlo in processione e deporlo nella culla (aveva un mese) davanti all’altare, mentre la gente guardandolo diceva: «È vivo!... È vivo!». Un bambinello in carne ed ossa. Ora è sposato e sereno.

Che m’importa! Che m’importa —mi dicevo anche allora — se la gente mi guarda con il sorrisino, come si guarda la chioccia con i suoi pulcini, mentre vado in giro per il paese. Che m’importa. Loro sono felici!

La poesia di padre Davide Maria Turoldo (in questo tempo lo ricordiamo perché ricorre il giorno dell’incontro con il suo Signore e lo pensiamo lì a giocare con Lui) mi supporta:

Andrò in giro per le strade

zufolando così,

finché gli altri dicano: è pazzo!

E mi fermerò soprattutto

coi bambini a giocare in periferia,

e poi lascerò un fiore

ad ogni finestra dei poveri

e saluterò chiunque incontrerò per via

inchinandomi fino a terra.

E poi suonerò con le mie mani

le campane della torre a più riprese

finché non sarò esausto.

E dirò a tutti:

avete visto il Signore?

Ma lo dirò in silenzio

e solo con un sorriso.

del cardinale Enrico Feroci