· Città del Vaticano ·

Nel Mercoledì delle Ceneri il Papa all’Aventino per l’inizio della Quaresima

Ritorno all’essenziale

 Ritorno all’essenziale  QUO-045
23 febbraio 2023

Un tempo favorevole di incontro col Padre, di libertà interiore
e di compassione


Ieri pomeriggio, 22 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, Papa Francesco si è recato all’Aventino per la celebrazione nella forma delle «Stazioni» romane che segna il giorno di inizio della Quaresima. Dapprima, nella chiesa benedettina di Sant’Anselmo, si è tenuto un momento di preghiera, cui ha fatto seguito la processione penitenziale verso la basilica domenicana di Santa Sabina. Qui il Pontefice ha presieduto la messa con il rito di benedizione e di imposizione delle ceneri, pronunciando l’omelia che pubblichiamo di seguito.

«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Cor 6, 2). Questa espressione dell’Apostolo Paolo ci aiuta ad entrare nello spirito del tempo quaresimale. La Quaresima è infatti il tempo favorevole per ritornare all’essenziale, per spogliarci di ciò che ci appesantisce, per riconciliarci con Dio, per ravvivare il fuoco dello Spirito Santo che abita nascosto tra le ceneri della nostra fragile umanità. Ritornare all’essenziale. È il tempo di grazia per mettere in pratica quello che il Signore ci ha chiesto nel primo versetto della Parola che abbiamo ascoltato: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2, 12). Ritornare all’essenziale, che è il Signore.

Il rito delle ceneri ci introduce in questo cammino di ritorno e ci rivolge due inviti: ritornare alla verità di noi stessi e ritornare a Dio e ai fratelli.

Anzitutto, ritornare alla verità di noi stessi. Le ceneri ci ricordano chi siamo e da dove veniamo, ci riconducono alla verità fondamentale della vita: soltanto il Signore è Dio e noi siamo opera delle sue mani. Questa è la nostra verità. Noi abbiamo la vita mentre Lui è la vita. È Lui il Creatore, mentre noi siamo fragile argilla che dalle sue mani viene plasmata. Noi veniamo dalla terra e abbiamo bisogno del Cielo, di Lui; con Dio risorgeremo dalle nostre ceneri, ma senza di Lui siamo polvere. E mentre con umiltà chiniamo il capo per ricevere le ceneri, riportiamo allora alla memoria del cuore questa verità: siamo del Signore, apparteniamo a Lui. Egli, infatti,  «plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita» (Gen 2, 7): esistiamo, cioè, perché Lui ha soffiato il respiro della vita in noi. E, come Padre tenero e misericordioso, vive anche Lui la Quaresima, perché ci desidera, ci attende, aspetta il nostro ritorno. E sempre ci incoraggia a non disperare, anche quando cadiamo nella polvere della nostra fragilità e del nostro peccato, perché «Egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (Sal 103, 14). Riascoltiamo questo: Egli ricorda che siamo polvere. Dio lo sa; noi, invece, spesso lo dimentichiamo, pensando di essere autosufficienti, forti, invincibili senza di Lui; usiamo dei maquillage per crederci migliori di quelli che siamo: siamo polvere.

La Quaresima è dunque il tempo per ricordarci chi è il Creatore e chi la creatura, per proclamare che solo Dio è il Signore, per spogliarci della pretesa di bastare a noi stessi e della smania di metterci al centro, di essere i primi della classe, di pensare che con le nostre sole capacità possiamo essere protagonisti della vita e trasformare il mondo che ci circonda. Questo è il tempo favorevole per convertirci, per cambiare sguardo anzitutto su noi stessi, per guardarci dentro: quante distrazioni e superficialità ci distolgono da ciò che conta, quante volte ci focalizziamo sulle nostre voglie o su quello che ci manca, allontanandoci dal centro del cuore, scordando di abbracciare il senso del nostro essere al mondo. La Quaresima è un tempo di verità per far cadere le maschere che indossiamo ogni giorno per apparire perfetti agli occhi del mondo; per lottare, come ci ha detto Gesù nel Vangelo, contro le falsità e l’ipocrisia: non quelle degli altri, le nostre: guardarle in faccia e lottare.

C’è però un secondo passo: le ceneri ci invitano anche a ritornare a Dio e ai fratelli. Infatti, se ritorniamo alla verità di ciò che siamo e ci rendiamo conto che il nostro io non basta a sé stesso, allora scopriamo di esistere solo grazie alle relazioni: quella originaria con il Signore e quelle vitali con gli altri. Così, la cenere che oggi riceviamo sul capo ci dice che ogni presunzione di autosufficienza è falsa e che idolatrare l’io è distruttivo e ci chiude nella gabbia della solitudine: guardarsi allo specchio immaginando di essere perfetti, immaginando di essere al centro del mondo. La nostra vita, invece, è anzitutto una relazione: l’abbiamo ricevuta da Dio e dai nostri genitori, e sempre possiamo rinnovarla e rigenerarla grazie al Signore e a coloro che Egli ci mette accanto. La Quaresima è il tempo favorevole per ravvivare le nostre relazioni con Dio e con gli altri: per aprirci nel silenzio alla preghiera e uscire dalla fortezza del nostro io chiuso, per spezzare le catene dell’individualismo e dell’isolamento e riscoprire, attraverso l’incontro e l’ascolto, chi ci cammina accanto ogni giorno, e reimparare ad amarlo come fratello o sorella.

Fratelli e sorelle, come realizzare tutto ciò? Per compiere questo cammino — ritornare alla verità di noi stessi, ritornare a Dio e agli altri — siamo invitati a percorrere tre grandi vie: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Sono le vie classiche: non ci vogliono novità in questa strada. Gesù l’ha detto, è chiaro: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. E non si tratta di riti esteriori, ma di gesti che devono esprimere un rinnovamento del cuore. L’elemosina non è un gesto rapido per pulirsi la coscienza, per bilanciare un po’ lo squilibrio interiore, ma è un toccare con le proprie mani e con le proprie lacrime le sofferenze dei poveri; la preghiera non è ritualità, ma dialogo di verità e amore con il Padre; e il digiuno non è un semplice fioretto, ma un gesto forte per ricordare al nostro cuore ciò che conta e ciò che passa. Quello di Gesù è un «ammonimento che conserva anche per noi la sua salutare validità: ai gesti esteriori deve sempre corrispondere la sincerità dell’animo e la coerenza delle opere. A che serve infatti lacerarsi le vesti, se il cuore rimane lontano dal Signore, cioè dal bene e dalla giustizia?» ( Benedetto xvi , Omelia mercoledì delle Ceneri, 1° marzo 2006). Troppe volte, invece, i nostri gesti e riti non toccano la vita, non fanno verità; magari li compiamo solo per farci ammirare dagli altri, per ricevere l’applauso, per prenderci il merito. Ricordiamoci questo: nella vita personale, come nella vita della Chiesa, non contano l’esteriorità, i giudizi umani e il gradimento del mondo; conta solo lo sguardo di Dio, che vi legge l’amore e la verità.

Se ci poniamo umilmente sotto il suo sguardo, allora l’elemosina, la preghiera e il digiuno non rimangono gesti esteriori, ma esprimono chi siamo veramente: figli di Dio e fratelli tra noi. L’elemosina, la carità, manifesterà la nostra compassione per chi è nel bisogno, ci aiuterà a ritornare agli altri; la preghiera darà voce al nostro intimo desiderio di incontrare il Padre, facendoci ritornare a Lui; il digiuno sarà la palestra spirituale per rinunciare con gioia a ciò che è superfluo e ci appesantisce, per diventare interiormente più liberi e ritornare alla verità di noi stessi. Incontro con il Padre, libertà interiore, compassione.

Cari fratelli e sorelle, chiniamo il capo, riceviamo le ceneri, rendiamo leggero il cuore. Mettiamoci in cammino nella carità: ci sono dati quaranta giorni favorevoli per ricordarci che il mondo non va rinchiuso nei confini angusti dei nostri bisogni personali e riscoprire la gioia non nelle cose da accumulare, ma nella cura di chi si trova nel bisogno e nell’afflizione. Mettiamoci in cammino nella preghiera: ci sono dati quaranta giorni favorevoli per ridare a Dio il primato nella vita, per rimetterci a dialogare con Lui con tutto il cuore, non nei ritagli di tempo. Mettiamoci in cammino nel digiuno: ci sono dati quaranta giorni favorevoli per ritrovarci, per arginare la dittatura delle agende sempre piene di cose da fare, le pretese di un ego sempre più superficiale e ingombrante, e scegliere ciò che conta.

Fratelli e sorelle, non disperdiamo la grazia di questo tempo santo: fissiamo il Crocifisso e camminiamo, rispondiamo con generosità ai richiami forti della Quaresima. E al termine del tragitto incontreremo con più gioia il Signore della vita, incontreremo Lui, l’unico che ci farà risorgere dalle nostre ceneri.


Un segno forte per riavvicinarsi a Dio


Un tempo favorevole per “ritornare all’essenziale” e riconciliarsi con Dio. È questo il senso della Quaresima indicato da Papa Francesco a tutti i cristiani all’inizio del cammino che dal Mercoledì delle Ceneri porterà alla celebrazione della Pasqua. Nel pomeriggio del 22 febbraio il vescovo di Roma ha presieduto all’Aventino la messa con l’imposizione delle ceneri, rinnovando così l’antica tradizione diocesana delle stationes, che vede l’itinerario quaresimale scandito da soste di preghiera nelle chiese del centro storico dove sono custodite le memorie dei martiri.

All’inizio, nella chiesa di Sant’Anselmo, si è svolta la liturgia «stazionale», cui ha fatto seguito la processione penitenziale verso la basilica di Santa Sabina, dove ha avuto luogo la liturgia eucaristica. Accompagnata dal canto delle litanie dei santi, la tradizionale processione penitenziale  è stata guidata dal cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore. Ad aprire il corteo i monaci benedettini di Sant’Anselmo  e i padri domenicani di Santa Sabina, che poi, durante la messa, hanno imposto le ceneri e distribuito l’eucaristia ai fedeli. Seguivano altri religiosi delle due comunità guidati dall’abate primate dei benedettini, Gregory Polan, dal priore di Sant’Anselmo, Mauritius Wilde, e dal maestro generale dei frati predicatori, Gerard Francisco Parco Timoner iii. Con loro anche alcuni presuli — tra i quali gli arcivescovi Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e Luciano Russo, segretario per le Rappresentanze Pontificie — e diciotto cardinali, fra cui Pietro Parolin, segretario di Stato, e Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio. Tra i prelati della Segreteria di Stato vi erano  i monsignori Roberto Campisi, assessore, Mirosław Stanisław Wachowski, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, e Mauricio Rueda Beltz, sotto-segretario della sezione per il Personale di ruolo diplomatico della Santa Sede. Erano presenti, tra gli altri, anche alcuni ambasciatori accreditati presso la Santa Sede.

Passando davanti alla basilica minore dei Santi Bonifacio e Alessio, la processione ha condotto i celebranti alla vicina Santa Sabina, dove il Papa  ha presieduto la messa, che è stata diretta dal maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Diego Ravelli, e accompagnata dai canti della Cappella Sistina, del coro guida e di quello dei monaci bendettini.

Per Francesco si è trattato di un ritorno all’Aventino dopo due anni: nel 2022 infatti non era andato a causa della gonalgia, sostituito dal cardinale Parolin. Mentre nel 2021, a  motivo della pandemia, il rito si era svolto nella basilica di San Pietro e fu il cardinale arciprete Comastri a imporgli le Ceneri. Nel 2020, il 26 febbraio, era stata l’ultima volta di Papa Bergoglio all’Aventino, prima che pochi giorni dopo — il 9 marzo — venisse annunciato il lockdown per il covid-19.

Ieri pomeriggio è stato il Pontefice, al momento dell’atto penitenziale, a ricevere per primo, a capo chino, le ceneri per mano del cardinale Piacenza, dopo che per molti anni a imporle —  anche a Giovanni Paolo ii e a Benedetto xvi — era stato il porporato titolare della basilica, lo slovacco Jozef Tomko, morto nell’agosto scorso. Quindi Francesco a sua volta le ha imposte al  penitenziere maggiore.

Alla preghiera dei fedeli sono state elevate intenzioni per tutti i battezzati, per il Pontefice e i pastori della Chiesa, per i catecumeni, per quanti si sono allontanati dalla comunione con la Chiesa, per i responsabili della convivenza umana, per chi soffre nel corpo e nello spirito. Al termine della celebrazione è stata cantata l’antifona mariana Ave, Regina Caelorum.

Dopo il rito, il Pontefice si è soffermato per alcuni istanti  con i superiori della comunità domenicana — il maestro generale e i suoi vicari —; quindi ha fatto ritorno in Vaticano.