«La tecnologia non può soppiantare il contatto umano, il virtuale non può sostituire il reale e nemmeno i social l’ambito sociale». È il monito lanciato dal Papa nel discorso rivolto ai membri della Pontificia Accademia per la vita ricevuti in udienza stamane, lunedì 20 febbraio, nella Sala del Concistoro, in occasione della 28ª assemblea generale che si tiene in Vaticano da oggi fino a mercoledì 22 sul tema «Convergere sulla persona. Tecnologie emergenti per il bene comune».
Illustri Signore e Signori,
cari fratelli e sorelle,
Signor Cardinale, cari Vescovi!
Vi do un cordiale benvenuto! Ringrazio Mons. Paglia per le parole che mi ha rivolto e tutti voi per l’impegno che dedicate alla promozione della vita umana. Grazie! In questi giorni rifletterete sul rapporto tra persona, tecnologie emergenti e bene comune: è una frontiera delicata, presso la quale s’incontrano progresso, etica e società, e dove la fede, nella sua perenne attualità, può fornire un contributo prezioso. In questo senso la Chiesa non smette di incoraggiare il progresso della scienza e della tecnologia a servizio della dignità della persona e per uno sviluppo umano «integrale e integrante»1. Nella lettera che vi ho indirizzato in occasione del venticinquesimo anno di fondazione dell’Accademia vi invitavo ad approfondire proprio questo tema2; ora vorrei soffermarmi a riflettere con voi su tre sfide che ritengo importanti al riguardo: il cambiamento delle condizioni di vita dell’uomo nel mondo tecnologico; l’impatto delle nuove tecnologie sulla definizione stessa di “uomo” e di “relazione”, con particolare riferimento alla condizione dei soggetti più vulnerabili; il concetto di “conoscenza” e le conseguenze che ne derivano.
Prima sfida: il cambiamento delle condizioni di vita dell’uomo nel mondo della tecnica. Sappiamo che è proprio dell’uomo agire nel mondo in modo tecnologico, trasformando l’ambiente e migliorandone le condizioni di vita. Lo ha ricordato Benedetto xvi, affermando che la tecnica «risponde alla stessa vocazione del lavoro umano» e che «nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce sé stesso e realizza la propria umanità»3. Essa dunque ci aiuta a comprendere sempre meglio il valore e le potenzialità dell’intelligenza umana, e al tempo stesso ci parla della grande responsabilità che abbiamo nei confronti del creato.
In passato la connessione tra culture, attività sociali e ambiente, grazie a interazioni meno fitte e ad effetti più lenti, risultava meno impattante. Oggi, invece, il rapido sviluppo dei mezzi tecnici rende più intensa ed evidente l’interdipendenza tra l’uomo e la “casa comune”, come già riconosceva San Paolo vi nella Populorum progressio4. Anzi, la forza e l’accelerazione degli interventi è tale da produrre mutazioni significative — perché c’è un’accelerazione geometrica, non matematica —, sia nell’ambiente che nelle condizioni di vita dell’uomo, con effetti e sviluppi non sempre chiari e prevedibili. Lo stanno dimostrando varie crisi, da quella pandemica a quella energetica, da quella climatica a quella migratoria, le cui conseguenze si ripercuotono le une sulle altre, amplificandosi a vicenda. Un sano sviluppo tecnologico non può non tener conto di questi complessi intrecci.
Seconda sfida: l’impatto delle nuove tecnologie sulla definizione di “uomo” e di “relazione”, soprattutto in merito alla condizione dei soggetti vulnerabili. È evidente che la forma tecnologica dell’esperienza umana sta diventando ogni giorno più pervasiva: nelle distinzioni tra “naturale” e “artificiale”, “biologico” e “tecnologico”, i criteri con cui discernere il proprio dell’umano e della tecnica diventano sempre più difficili. Perciò è importante una seria riflessione sul valore stesso dell’uomo. Occorre, in particolare, ribadire con decisione l’importanza del concetto di coscienza personale come esperienza relazionale, che non può prescindere né dalla corporeità né dalla cultura. In altre parole, nella rete delle relazioni, sia soggettive che comunitarie, la tecnologia non può soppiantare il contatto umano, il virtuale non può sostituire il reale e nemmeno i social l’ambito sociale. E noi siamo nella tentazione di far prevalere il virtuale sul reale: è una tentazione brutta, questa.
Anche all’interno dei processi di ricerca scientifica la relazione tra persona e comunità segnala risvolti etici sempre più complessi. Ad esempio in ambito sanitario, dove la qualità dell’informazione e dell’assistenza del singolo dipende in gran parte dalla raccolta e dallo studio dei dati disponibili. Qui si deve affrontare il problema di coniugare la riservatezza dei dati della persona con la condivisione delle informazioni che la riguardano nell’interesse di tutti. Sarebbe egoistico, infatti, chiedere di essere curati con le migliori risorse e competenze di cui la società dispone senza contribuire ad accrescerle. Più in generale, penso all’urgenza che la distribuzione delle risorse e l’accesso alle cure vadano a vantaggio di tutti, perché siano ridotte le disuguaglianze e sia garantito il sostegno necessario specialmente ai soggetti più fragili, come le persone disabili, ammalate e povere.
Per questo occorre vigilare sulla velocità delle trasformazioni, sull’interazione tra i cambiamenti e sulla possibilità di garantirne un equilibrio complessivo. Non è poi detto che tale equilibrio sia uguale nelle diverse culture, come invece sembra presumere la prospettiva tecnologica quando s’impone come linguaggio e cultura universale e omogenea — questo è uno sbaglio —; l’impegno va invece rivolto a «fare in modo che ognuno cresca con lo stile che gli è peculiare, sviluppando le proprie capacità di innovare a partire dai valori della propria cultura»5.
Terza sfida: la definizione del concetto di conoscenza e le conseguenze che ne derivano. L’insieme degli elementi fin qui considerati ci porta a interrogarci sui nostri modi di conoscere, consapevoli del fatto che già il tipo di conoscenza che mettiamo in atto ha in sé dei risvolti morali. È ad esempio riduttivo cercare la spiegazione dei fenomeni solo nelle caratteristiche dei singoli elementi che li compongono. Servono modelli più articolati, che considerino l’intreccio di relazioni di cui i singoli eventi sono intessuti. È paradossale, ad esempio, riferendosi a tecnologie di potenziamento delle funzioni biologiche di un soggetto, parlare di uomo «aumentato» se si dimentica che il corpo umano rinvia al bene integrale della persona e che dunque non può essere identificato con il solo organismo biologico. Un approccio sbagliato in questo campo finisce in realtà non con l’“aumentare”, ma con il “comprimere” l’uomo.
Nell’Evangelii gaudium e soprattutto nella Laudato si’ ho rilevato l’importanza di una conoscenza a misura d’uomo, organica, ad esempio sottolineando che «il tutto è superiore alle parti» e che «tutto nel mondo è intimamente connesso»6. Credo che tali spunti possano favorire un rinnovato modo di pensare anche in ambito teologico7; è bene infatti che la teologia prosegua nel superamento di impostazioni eminentemente apologetiche, per contribuire alla definizione di un nuovo umanesimo e favorire il reciproco ascolto e la mutua comprensione tra scienza, tecnologia e società. La mancanza di un dialogo costruttivo tra queste realtà, infatti, impoverisce la fiducia reciproca che sta alla base di ogni convivenza umana e di ogni forma di «amicizia sociale»8. Vorrei anche accennare all’importanza del contributo che offre a tale scopo il dialogo tra le grandi tradizioni religiose. Esse dispongono di una saggezza secolare, che può essere di aiuto in questi processi. Avete dimostrato di saperne cogliere il valore, ad esempio promuovendo, pure in tempi recenti, incontri interreligiosi sui temi del «fine della vita»9 e dell’intelligenza artificiale10.
Cari fratelli e sorelle, di fronte a sfide attuali così articolate il compito che avete davanti è enorme. Si tratta di ripartire dalle esperienze che tutti condividiamo come esseri umani e di studiarle, assumendo le prospettive della complessità, del dialogo trans-disciplinare e della collaborazione tra soggetti diversi. Ma non bisogna mai scoraggiarsi: sappiamo che il Signore non ci abbandona e che quanto compiamo si radica nella fiducia che riponiamo in Lui, «amante della vita» (Sap 11, 26). Vi siete impegnati in questi anni affinché la crescita scientifica e tecnologica si concili sempre più con un parallelo «sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza»11: vi invito a proseguire su questa strada, mentre vi benedico e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.
1 Lett. enc. Laudato si’, n. 141.
2 Cfr. Humana communitas, 6 gennaio 2019, nn. 12-13.
3 Benedetto xvi, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 69.
4 Cfr. n. 65.
5 Lett. enc. Fratelli tutti, n. 51.
6 Esort. ap. Evangelii gaudium, nn. 234-237; Lett. enc. Laudato si’, n. 16.
7 Cfr. Costit. apost. Veritatis gaudium, nn. 4-5.
8 Cfr. Lett. enc. Fratelli tutti, n. 168.
9 Cfr. Dichiarazione congiunta delle religioni monoteiste abramitiche sulle problematiche di fine vita, 28 ottobre 2019.
10 Cfr. Firma della Rome Call for AI Ethics, 10 gennaio 2023.
11 Lett. enc. Laudato si’, n. 105.