L’umiltà e il coraggio
La coesione è rassicurante, il consenso è rischioso. I cattolici che volessero fare politica oggi dovrebbero avere l’umiltà, ma anche il coraggio, di rischiare, di trasformare in consenso i tanti esempi in cui il popolo di Dio sta costruendo coesione. È un passaggio che, secondo De Rita, va fatto, per evitare il rischio dell’irrilevanza. Il sociologo, già presidente del Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro (Cnel) lo ha spiegato nel corso del suo intervento tenuto in occasione dell’incontro organizzato sabato scorso da “Collegamento sociale cristiano” presso i locali della Pastorale del lavoro, alla Stazione Termini di Roma. Un evento tenuto in memoria del compianto vescovo Gastone Simoni, morto ad agosto scorso.
Proprio la Prato degli anni ’70, città di cui Simoni è stato vescovo dopo esserlo stato di Fiesole, è stato il punto di partenza individuato da De Rita per riflettere sul ruolo dei cattolici in politica. Una cittadina, quella toscana, che, secondo il sociologo, in quell’epoca era paragonabile a un «girone infernale». La fortissima crescita economica di quegli anni si basava infatti sulla grande vitalità degli imprenditori, ma anche su meccanismi molto lontani dalla morale: evasione fiscale e contributiva, inquinamento e scarso rispetto per le regole.
La Chiesa pratense però non scelse la via della condanna “dal pulpito”, ma si calò in quei processi complessi, per accompagnarli. Si tratta di un’esperienza troppo lontana per poter essere replicata in qualche modo — ha ammesso De Rita — ma resta comunque un esempio su cui riflettere: i cattolici a Prato fecero politica perché prima avevano anche fatto tesoro della realtà sociale. Si ha peso politico quando c’è osmosi con la realtà in cui si vive. Se la si giudica semplicemente si rischia di scivolare nell’irrilevanza.
È del resto lo stesso motivo per cui, ha rilevato il sociologo, il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha voluto assistere personalmente a una serata del Festival canoro di Sanremo: il Capo dello Stato ha voluto infatti calarsi, in un tentativo di osmosi, in quella realtà “pop” tanto diversa dalla sua ma anche così pervasiva nella cultura di oggi.
Dal dopoguerra in poi i cattolici sono sempre stati dentro i processi socioeconomici. De Rita ha ricordato che si faceva società civile e politica assieme, non prima una e poi l’altra. Erano due mestieri diversi, ma la prima senza la seconda non sarebbe bastata; quando negli anni ’80 la Dc cercò di recuperare un aggancio con la società civile, con l’esperienza degli “indipendenti” come Pietro Scoppola, il tentativo non funzionò perché questi si misero subito a fare politica e non più “cinghia di trasmissione” con la realtà sociale. Roberto Ruffilli cercò di richiamarli alla loro funzione, ma senza successo («Io quando la sera prego per i miei defunti, ancora mi chiedo perché lo uccisero», ha confidato De Rita a proposito del politico assassinato dalle Br).
Oggi i cattolici sono molto attivi nella società civile, ma non passano alla politica. Alcuni si illudono che basti animare e lavorare nella società, per poter poi accedere allo stadio “politico”, ma è un passaggio non automatico. Inoltre, l’assenza di un soggetto politico di riferimento, sostiene De Rita, rischia di sfibrare anche il movimentismo cattolico, al quale manca uno sbocco di rappresentanza e a volte anche un’opportunità di crescita, nella politica, per i suoi quadri. La politica ha le sue regole e la sua tecnicalità che non possono essere trascurate: si può essere il miglior animatore sociale, ma se non si hanno le tecnicalità giuste, il passaggio alla politica sarà difficilissimo.
Non esiste un primato della società civile sulla politica, ha osservato il sociologo, ma bisogna essere capaci di far stare una dentro l’altra: la lettura sociopolitica è importante, ma a volte è un processo lento, la politica deve agire, deve rispondere rapidamente e non sempre può ascoltare la sua componente movimentista. I cattolici stanno lavorando sul recupero della coesione sociale ed è certamente la strada giusta, è ciò di cui ha bisogno il Paese, rileva De Rita, dopo anni di populismi e di rottura dei legami anche umani, («In questo siamo i più bravi» dichiara l’ex presidente del Cnel) ma non bisogna illudersi che con la coesione arrivi poi anche il consenso: sono meccanismi diversi e hanno logiche diverse. La coesione è impalpabile e non misurabile, mentre il consenso è quantificabile quando si vota.