· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-033
09 febbraio 2023

Giovedì 2

Nella Chiesa
ognuno
è una missione

Vorrei abbracciare tutti i fratelli e le sorelle consacrati in ogni parte del mondo.

Quando ascolterete questo mio messaggio, io sarò in missione nella Repubblica Democratica del Congo, accompagnato dalla vostra preghiera.

A mia volta voglio assicurarvi la mia per la missione di ciascuno di voi e delle vostre comunità.

Tutti insieme siamo membra della Chiesa, e la Chiesa è in missione dal primo giorno, inviata dal Signore Risorto, e lo sarà fino all’ultimo.

E nel Popolo di Dio, inviato a portare il Vangelo a tutti gli uomini, voi consacrati avete un ruolo peculiare, che deriva dal dono particolare che avete ricevuto: un dono che dà alla vostra testimonianza un carattere e un valore speciali, per il fatto che siete integralmente dedicati a Dio e al suo Regno, in povertà, verginità e obbedienza.

Se nella Chiesa ognuno è una missione, ciascuno e ciascuna di voi lo è con una grazia propria in quanto persona consacrata.

Oltre a questo dono, la vostra missione si arricchisce dei carismi dei vostri istituti e società, i carismi dei fondatori.

Nella loro stupenda varietà, essi sono tutti dati per l’edificazione della Chiesa.

Tutti i carismi sono per la missione, con l’incalcolabile ricchezza della loro varietà; così che la Chiesa possa testimoniare e annunciare il Vangelo in ogni situazione.

La nostra vita di persone consacrate sia sempre una festa dell’incontro con Cristo; [per] portare a tutti la luce del suo amore: la sua luce, non la nostra!

Portare Lui, non noi stessi! 

Vi incoraggio ad andare avanti nella vostra missione profetica.

(Messaggio ai partecipanti alla messa
celebrata nella basilica
di Santa Maria Maggiore
in occasione della Giornata mondiale
della vita consacrata)

Sabato 4

La fratellanza
umana
antidoto
ai conflitti
e alle ombre
del mondo

Saluto il Grande imam Ahmed Al-Tayyeb con il quale, quattro anni fa ad Abu Dhabi, ho firmato il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Ringrazio lo sceicco Mohammed bin Zayed, per il suo impegno in favore del cammino della fratellanza; l’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, per le iniziative promosse in varie parti del mondo; e anche l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite perché, con la risoluzione del dicembre 2020, ha stabilito il 4 febbraio Giornata Internazionale della Fratellanza Umana.

Sono lieto di associarmi alla lodevole iniziativa dell’assegnazione del Premio Zayed per la Fratellanza Umana 2023.

Nel condividere sentimenti di fratellanza gli uni per gli altri, siamo chiamati a farci promotori di una cultura di pace che incoraggi il dialogo, la comprensione reciproca, la solidarietà, lo sviluppo sostenibile e l’inclusione.

Tutti portiamo nel cuore il desiderio di vivere da fratelli, nell’aiuto reciproco e in armonia.

Il fatto che spesso questo non si verifichi — ne abbiamo purtroppo segnali drammatici — dovrebbe stimolare ancor di più la ricerca della fratellanza.

Le religioni non hanno la forza politica per imporre la pace, ma, trasformando l’uomo dal di dentro, invitandolo a distaccarsi dal male, esse lo orientano verso un atteggiamento di pace.

Le religioni hanno una responsabilità decisiva nella convivenza tra i popoli: il loro dialogo tesse una trama pacifica, respinge le tentazioni di lacerare il tessuto civile e libera dalla strumentalizzazione delle differenze religiose a fini politici.

Rilevante è anche il compito delle religioni nel ricordare che il destino dell’uomo va al di là dei beni terreni e si situa in un orizzonte universale, perché ogni persona umana è creatura di Dio.

Le religioni hanno bisogno di dialogare fra loro, conoscersi, arricchirsi reciprocamente e approfondire ciò che unisce e la collaborazione in vista del bene di tutti.

Le diverse tradizioni religiose, attingendo ciascuna dal proprio patrimonio spirituale, possono apportare un grande contributo al servizio della fraternità. 

Se sapremo dimostrare che è possibile vivere la differenza nella fraternità, potremo liberarci dalla paura e dalla diffidenza nei confronti dell’altro diverso da me.

Coltivare la diversità e armonizzare le differenze non è semplice, ma è l’unica via in grado di garantire una pace solida e duratura.

Uomini e donne di diverse religioni camminano verso Dio percorrendo strade che sempre più spesso si intrecciano.

Ogni incontro può essere occasione per contrapporsi o per incoraggiarsi a vicenda ad andare avanti come fratelli.

Condividiamo non solo una comune origine e discendenza, ma anche un destino di creature fragili e vulnerabili, come il periodo storico che stiamo vivendo ci mostra in maniera evidente.

Siamo consapevoli che il percorso è lungo e difficile.

Ai tanti conflitti, alle ombre di un mondo chiuso, contrapponiamo il segno della fratellanza!

Essa ci sollecita ad accogliere l’altro e rispettarne l’identità, ci ispira a operare nella convinzione che è possibile vivere in armonia e in pace.

Ringrazio tutti coloro che si uniranno al nostro cammino per la causa della pace e rispondere ai problemi e ai bisogni concreti degli ultimi, dei poveri, degli indifesi, di coloro che hanno bisogno d’aiuto.

In questa direzione va il Premio Zayed, del quale sono state insignite la comunità di Sant’Egidio e la Signora Shamsa Abubakar Fadhil.

(Videomessaggio in occasione della iii Giornata
internazionale della Fratellanza umana
e del conferimento del Premio Zayed 2023)

Mercoledì 8

Due sogni

La scorsa settimana ho visitato  Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Ringrazio Dio che mi ha permesso di compiere questo viaggio, da tempo desiderato.

Due “sogni”: visitare il popolo congolese, custode di un Paese immenso, polmone verde dell’Africa: insieme all’Amazzonia, sono i due polmoni del mondo. Terra ricca di risorse e insanguinata da una guerra che non finisce mai perché c’è sempre chi alimenta il fuoco.

E visitare il popolo sud sudanese, in un pellegrinaggio di pace insieme all’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby e al Moderatore generale della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields: siamo andati insieme per testimoniare che è possibile e doveroso collaborare nella diversità, specialmente se si condivide la fede in Gesù.

A Kinshasa, subito dopo il mio arrivo, ho potuto indirizzare il messaggio alla Nazione: il Congo è come un diamante, per la sua natura, per le sue risorse, per la sua gente; ma questo diamante è diventato motivo di contesa, violenze, e paradossalmente di impoverimento del popolo.

È una dinamica che si riscontra in altre regioni africane e vale per quel continente colonizzato, sfruttato, saccheggiato.

Di fronte a questo ho detto due parole: la prima è negativa: “basta!”, basta sfruttare l’Africa!

Rispetto
e dignità

La seconda è positiva: insieme, con dignità; tutti insieme, con rispetto reciproco; insieme nel nome di Cristo, nostra speranza, andare avanti.

E nel nome di Cristo ci siamo radunati nella grande Celebrazione eucaristica.

Si sono svolti poi diversi incontri: quello con le vittime della violenza nell’est del Paese, la regione che da anni è lacerata dalla guerra tra gruppi armati manovrati da interessi economici e politici.

Non sono potuto andare a Goma. La gente vive nella paura e nell’insicurezza, sacrificata sull’altare di affari illeciti.

Ho ascoltato le testimonianze sconvolgenti di alcune vittime, specialmente donne, che hanno deposto ai piedi della Croce armi e altri strumenti di morte.

Con loro ho detto “no” alla violenza, “no” alla rassegnazione, “sì” alla riconciliazione e alla speranza.

Ho incontrato poi i rappresentanti di diverse opere caritative presenti nel Paese.

Il loro lavoro con i poveri e per i poveri non fa rumore, ma giorno dopo giorno fa crescere il bene comune.

Soprattutto con la promozione: le iniziative di carità devono essere sempre per la promozione, non solo per l’assistenza.

Un momento entusiasmante è stato quello con i giovani e i catechisti... È stata come un’immersione nel presente proiettato verso il futuro.

Pensiamo alla forza di rinnovamento che può portare quella nuova generazione di cristiani, formati e animati dalla gioia del Vangelo!

Ho indicato cinque strade: preghiera, comunità, onestà, perdono e servizio.

Poi ho incontrato i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate e i seminaristi.

Sono tanti e sono giovani, perché le vocazioni sono numerose: è una grazia.

Li ho esortati a essere servitori del popolo come testimoni dell’amore di Cristo, superando tre tentazioni: la mediocrità spirituale, la comodità mondana e la superficialità.

Infine, con i Vescovi congolesi ho condiviso la gioia e la fatica del servizio pastorale. Li ho invitati a lasciarsi consolare dalla vicinanza di Dio e ad essere profeti per il popolo, con la forza della Parola di Dio, essere segni di come è il Signore, dell’atteggiamento che ha il Signore con noi: la compassione, la vicinanza e la tenerezza.

La seconda parte del Viaggio si è svolta a Giuba, capitale del Sud Sudan, Stato nato nel 2011.

Questa visita ha avuto una fisionomia del tutto particolare, espressa dal motto che riprendeva le parole di Gesù: “Prego che siano tutti una cosa sola” (Gv 17, 21).

Si è trattato di un pellegrinaggio ecumenico di pace, compiuto insieme ai Capi di due Chiese storicamente presenti in quella terra: la Comunione Anglicana e la Chiesa di Scozia.

Punto d’arrivo
di un cammino
iniziato
nel 2019

Era il punto di arrivo di un cammino iniziato alcuni anni fa, che ci aveva visti riuniti a Roma nel 2019, con le Autorità sud sudanesi, per assumere l’impegno di superare il conflitto e costruire la pace.

Nel 2019 è stato fatto un ritiro spirituale qui, in Curia, di due giorni, con tutti questi politici, con tutta questa gente aspirante ai posti, alcuni nemici tra loro, ma erano tutti nel ritiro.

E questo ha dato forza per andare avanti.

Purtroppo il processo di riconciliazione non è avanzato tanto, e il neonato Sud Sudan è vittima della vecchia logica del potere, della rivalità, che produce guerra, violenze, profughi e sfollati interni.

Ringrazio tanto il presidente dell’accoglienza che ci ha dato e di come sta cercando di gestire questa strada niente facile, per dire “no” alla corruzione e ai traffici di armi e “sì” all’incontro e al dialogo.

La vergogna
delle armi

E questo è vergognoso: tanti Paesi cosiddetti civilizzati offrono aiuto al Sud Sudan, e l’aiuto consiste in armi, armi, armi per fomentare la guerra.

E andare avanti dicendo “no” alla corruzione e ai traffici di armi e “sì” all’incontro e al dialogo.

Solo così potrà esserci sviluppo, la gente potrà lavorare in pace, i malati curarsi, i bambini andare a scuola.

Il carattere ecumenico della visita si è manifestato in particolare nel momento di preghiera celebrato insieme con i fratelli Anglicani e quelli della Chiesa di Scozia.

In una realtà fortemente conflittuale come quella sud sudanese questo segno è fondamentale, e non è scontato, perché purtroppo c’è chi abusa del nome di Dio per giustificare violenze e soprusi.

Il dramma
degli sfollati
interni

Il Sud Sudan è un Paese di circa 11 milioni di abitanti, di cui, a causa dei conflitti armati, due milioni sono sfollati interni e altrettanti sono fuggiti in Paesi confinanti.

Per questo ho voluto incontrare un grande gruppo di sfollati interni, ascoltarli e far sentire loro la vicinanza della Chiesa.

Le Chiese e le organizzazioni di ispirazione cristiana sono in prima linea accanto a questa povera gente, che da anni vive nei campi per sfollati.

In particolare mi sono rivolto alle donne, che sono la forza che può trasformare il Paese; e ho incoraggiato tutti ad essere semi di un nuovo Sud Sudan, senza violenza, riconciliato e pacificato.

Poi, nell’incontro con i Pastori e i consacrati di quella Chiesa locale, abbiamo guardato a Mosè come modello di docilità a Dio e di perseveranza nell’intercessione.

E nella celebrazione eucaristica, mi sono fatto eco del Vangelo incoraggiando i cristiani ad essere “sale e luce” in quella terra tanto tribolata.

Dio ripone la sua speranza non nei grandi e nei potenti, ma nei piccoli e negli umili.

(Udienza generale)