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Il colloquio con i giornalisti sul volo di ritorno dal Sud Sudan

«Tutto il mondo è in guerra, in autodistruzione, fermiamoci!»

 «Tutto il mondo  è in guerra,  in autodistruzione,  fermiamoci!»  QUO-030
06 febbraio 2023

Con l’arcivescovo di Canterbury  e il moderatore dell’assemblea generale della Chiesa di Scozia 


Sul volo che dal Sud Sudan lo ha ricondotto a Roma, ieri Papa Francesco ha risposto — come di consueto a conclusione dei viaggi internazionali — alle domande rivoltegli dai giornalisti accreditati. Introducendo il colloquio, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ne ha sottolineato la “particolarità”, poiché essendosi trattato nella seconda parte di un «pellegrinaggio in compagnia» anche sull’aereo erano presenti «il moderatore generale della Chiesa presbiteriana scozzese e l’arcivescovo di Canterbury», che hanno partecipato al dialogo. Di seguito pubblichiamo integralmente le parole del Pontefice e la traduzione dall’inglese di quelle dei due leader cristiani, e una sintesi delle sei domande.

Papa Francesco — Buona domenica e grazie per il vostro lavoro in questi giorni. Questo è stato un viaggio ecumenico con i miei due fratelli e per questo ho voluto che nella conferenza stampa ci fossero anche loro due, soprattutto l’Arcivescovo di Canterbury, perché lui possiede la storia negli anni di questa strada di riconciliazione; lui ha lavorato tanto prima di me su questo. Per questo ho voluto che ambedue ci fossero. Grazie, e poi ci sentiamo.

Justin Welby — Buon pomeriggio e grazie tante, Santità, grazie.

Nel gennaio 2014 mia moglie e io abbiamo visitato il Sud Sudan nel quadro di una serie di visite alla Comunione anglicana; quando siamo arrivati, l’arcivescovo ci ha chiesto di andare in una città che si chiama Bor. La guerra civile stava infuriando da circa 5 settimane, e in quel momento era davvero feroce. A Bor siamo andati con un aereo monomotore e siamo atterrati in una zona desertica — ai cancelli dell’aeroporto c’erano già i primi cadaveri. In quel momento, a Bor c’erano tremila cadaveri insepolti, i morti erano stati cinquemila. C’erano alcuni soldati delle Nazioni Unite e molti soldati. Siamo andati alla cattedrale dove tutti i preti anglicani erano stati uccisi, le mogli prima violentate e poi uccise. Era una situazione orribile. Tornando a casa sia io che mia moglie abbiamo sentito l’urgenza di capire cosa potessimo fare per sostenere la gente del Sud Sudan. Da allora, in uno degli incontri regolari che ho il privilegio di avere con Papa Francesco, abbiamo parlato molto di Sud Sudan e abbiamo sviluppato l’idea di un ritiro [spirituale] in Vaticano. Dal 2016, il mio team a Lambeth e il Vaticano hanno visitato molto spesso il Sud Sudan, hanno passato del tempo a lavorare sul campo, hanno lavorato con i leader per cercare di organizzare questa visita. Anche mia moglie è andata e ha lavorato insieme alle mogli dei vescovi e con donne leader che subivano forti pressioni, e abbiamo visitato anche leader in esilio in Uganda. Nel 2018 è diventato chiaro che c’era la possibilità per una visita all’inizio del 2019 e ci siamo riusciti, è stato un miracolo che sia avvenuto. Uno dei due vicepresidenti era agli arresti domiciliari a Khartoum: ricordo ancora che il giorno prima della visita — sarei partito per Roma molto presto la mattina dopo — ero nel parcheggio di una scuola a Nottingham, in Inghilterra, e parlavo al telefono con il segretario generale dell’Onu per convincerlo a spianare la strada — cosa che ha fatto brillantemente — al vice presidente e fargli avere il visto: è riuscito a prendere l’ultimo volo in uscita da Khartoum, poco prima che si chiudesse lo spazio aereo a causa del colpo di Stato. L’apice dell’incontro del 2019 è stato ovviamente l’indimenticabile gesto del Papa che si è inginocchiato ed ha baciato i piedi dei leader dicendo: «Vi prego di fare la pace», mentre loro cercavano di fermarlo. La mente è andata immediatamente al capitolo 13 del Vangelo di Giovanni: è stato un momento davvero notevole. Abbiamo avuto discussioni difficili, e a un certo punto i vice presidenti si sono ritirati a un incontro separato, che è stato molto intenso [duro?], ma che è finito con il loro impegno a rinnovare l’accordo di pace. Io credo che quell’episodio del Papa sia stato il momento chiave, la chiave di volta. Ma come diceva un allenatore inglese, sei bravo fino alla prossima partita. Il Covid ha inferto un brutto colpo di arresto alla partita successiva, e mi è sembrato che il risultato sia stato la perdita dell’attimo fuggente, per quanto riguarda il processo di pace. Quando abbiamo ripreso il filo per questa visita, i gruppi di lavoro continuavano nella loro opera ma erano meno fiduciosi [ottimisti?] che nel 2019. Ma sono uscito da quella visita con un profondo senso di incoraggiamento, non tanto perché ci fosse stata una reale svolta, quanto perché c’era la sensazione — per usare una frase del Papa — di un cuore che parlava al cuore. Il contatto non era stato tanto a livello intellettuale: come vi sarete accorti, nei diversi incontri nei quali ci sono stati discorsi, il cuore ha parlato al cuore. C’è uno slancio a livello medio e dalla base; quello di cui ora abbiamo bisogno è un serio cambiamento del cuore da parte della leadership. Devono accettare un processo che porterà ad una transizione pacifica. E lo abbiamo detto loro pubblicamente, gliel’abbiamo detto: dev’essere messa fine alla corruzione, al contrabbando di armi e all’ammassare di enormi quantità di armi. Questo richiederà ulteriore lavoro insieme, con il Vaticano e con Lambeth, ma soprattutto con la troika del governo, per far sì che questa porta aperta, che però non è aperta quanto vorrei ma comunque è aperta, per sfondarla, questa porta e fare veri progressi. Mancano poco meno di due anni alle elezioni, che saranno alla fine del 2024: noi abbiamo bisogno di vedere progressi seri entro la fine del 2023. Passo il microfono al Moderatore [dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia], perché dica una parola anche lui.]

Iain Greenshields — Grazie. La mia esperienza è ovviamente molto diversa da quella del Papa e dell’arcivescovo: questa è stata la mia prima volta in Sud Sudan, ma non è la prima volta della mia Chiesa in Sud Sudan, perché il precedente moderatore ha visitato quella che lui definì una situazione estremamente vulnerabile. La riconciliazione e il perdono sono stati al centro delle conversazioni e del dialogo nell’incontro del 2015.

Le persone sono state invitate a venire in Scozia per riflettere, prepararsi e tornare in Sud Sudan. Questo è all’interno della circoscrizione presbiteriana del Sud Sudan. Vorrei fare eco a quello che hanno detto i miei amici: sono state dette parole forti, è stata detta la verità, al cuore e alla mente. Credo che la situazione attuale sia questa: le opere parlano più chiaramente delle parole. Siamo stati invitati dal governo e dalle Chiese a venire in Sud Sudan come si invita un amico a entrare nella loro casa e nelle loro stanze. Questo invito ha comportato la richiesta di aiutare in ogni modo che fosse possibile a fare la differenza in questa situazione, per incontrare i nostri partner, di parlare a chi detiene il potere. E questo noi abbiamo fatto. Ora sta a chi può fare la differenza iniziare questo processo, con urgenza. Questo abbiamo chiesto in questa visita.

Jean-Baptiste Malenge della Radio-televisione cattolica “Elikya” dell’arcidicocesi di Kinshasa, in francese ha chiesto un commento sull’accordo siglato nel 2016 tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica del Congo, riguardante materie di interesse comune come istruzione e sanità, e le impressioni come Pastore universale che ha sentito l’odore del gregge congolese e toccato con mano diverse ferite.

Francesco — Grazie. Primo, sull’Accordo. Io non conosco quell’Accordo, scusami. C’è qui il Segretario di Stato, può dare un’opinione. So che negli ultimi tempi c’era in cammino un Accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Democratica del Congo ma non lo conosco, non posso risponderti su questo. Neppure conosco la differenza tra questo nuovo che è in cammino e l’altro. Queste cose le fa la Segreteria di Stato, il Segretario di Stato e anche più da vicino Mons. Gallagher che è qui, nella parte politica dei rapporti della S. Sede con gli Stati; loro sono bravi a fare degli accordi, accordi per il bene di tutti.

Ho visto nel Congo tanta voglia di andare avanti, tanta cultura. Ho avuto prima di arrivare qui, alcuni mesi fa, un incontro online con universitari africani, e alcuni erano del Congo: intelligentissimi; voi avete gente di un’intelligenza superiore, intelligentissimi. Questa è una delle vostre ricchezze, i giovani, giovani intelligenti; e si devono sostenere questi giovani, perché studino e vadano avanti; e si deve fare posto a loro, non chiudere le porte.

Voi avete tante ricchezze naturali, che attirano gente che viene — scusatemi la parola — a sfruttare il Congo. C’è questa idea, che ho già detto, che l’Africa va sfruttata. Qualcuno dice, non so se è vero, che i Paesi che avevano colonie hanno dato l’indipendenza ma “dal pavimento in su”: sotto non hanno dato indipendenza, vengono a cercare minerali. Non so se è vero, si dice così. Ma l’idea che l’Africa è da sfruttare dobbiamo toglierla. L’Africa ha la propria dignità. E il Congo in questo è a un altissimo livello.

E parlando di sfruttamento mi colpisce e mi dà dolore il problema dell’est, che è un problema di guerra e di sfruttamento. Nel Congo ho potuto avere un incontro con vittime di quella guerra. Terribile. Feriti, mutilati… Tanto dolore, tanto dolore. Tutto per prendere le ricchezze. Non va, non va!

Ma tornando alla tua domanda sul Congo, il Congo ha tante possibilità.

Welby — Non conosco molto bene l’Est del Congo: mia moglie è stata lì e ha lavorato con donne coinvolte nel conflitto. Io sono stato molte volte nell’ovest l’ultima volta nel 2018, appena prima del covid. Concordo pienamente con quanto ha detto Sua Santità: dobbiamo essere chiari, il Congo non è terreno di gioco delle grandi potenze né per il potere delle piccole compagnie minerarie, che agiscono irresponsabilmente con attività mineraria artigianale, il sequestro di persona, l’uso di bambini soldato, stupri su larga scala… Stanno semplicemente saccheggiando il Paese, un Paese che dovrebbe essere uno dei più ricchi sulla faccia della terra, uno dei Paesi maggiormente capace di aiutare il resto dell’Africa. Invece è stato torturato, gli è stata data indipendenza politica — tecnicamente — ma non indipendenza economica. L’esperienza che ho fatto nell’Est, nel corso della mia ultima visita, quando infuriava Ebola, proprio nella zona dove imperversava la milizia, abbiamo formato i pastori a gestire Ebola in ogni sua forma. Le Chiese stanno facendo un lavoro straordinario, sono l’unica forza funzionante. Ma Padre, mi lasci dire, la Chiesa cattolica fa un lavoro meraviglioso: il progetto per i Grandi Laghi avviato dalla Chiesa cattolica è meraviglioso. Ma ora le grandi potenze devono dire: l’Africa, e in particolare il Congo, hanno davvero tante risorse in minerali e metalli di cui ha bisogno tutto il mondo se vuole fare una transizione ecologica e salvare il pianeta dal cambiamento climatico; e l’unico modo per farlo senza macchiarci le mani di sangue è che le grandi potenze cerchino veramente la pace per il Congo e non unicamente la loro ricchezza.

Greenshields — Non voglio aggiungere molto perché credo che questa risposta sia esaustiva. Ma credo che sia un ammonimento per noi tutti. Ma mi sembra che ci sia una cosa che il Papa abbia detto a proposito dei giovani: menti brillanti e positive e giovani hanno il diritto di avere l’opportunità di svilupparti. Secondo la mia esperienza in altre parti del mondo, soprattutto alle menti brillanti delle giovani donne deve essere riconosciuto il diritto di avere esattamente le stesse opportunità degli altri giovani, in qualsiasi Paese, ma in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Questa è la mia supplica: il riconoscimento dei diritti delle donne, specialmente delle giovani, è fondamentale.

Jean-Luc Mootosamy di CAPAV, in inglese, ha osservato come la violenza non cessi nonostante decenni di presenza di missioni Onu, chiedendo che aiuto possono dare i leader cristiani insieme nel promuovere un nuovo modello di intervento vista la crescente tentazione tra le nazioni africane a scegliersi altri partner per garantirsi la sicurezza, i quali potrebbero non rispettare la leggi internazionali come alcune compagnie private nella regione del Sahel.

Francesco — Grazie. Il tema della violenza è un tema quotidiano. Lo abbiamo appena visto anche qui in Sud Sudan. Ma è doloroso vedere come si provoca la violenza. Uno dei punti è la vendita delle armi. L’Arcivescovo Welby ha detto qualcosa su questo. La vendita delle armi. Oggi credo che nel mondo questa sia la peste, la peste più grande: l’affare, la vendita delle armi. Qualcuno mi diceva — uno che se ne intende — che con quello che si spende in un anno per le armi si potrebbe eliminare la fame nel mondo. Non so se è vero o no. Ma oggi, al top, c’è la vendita delle armi. E non solo tra le grandi potenze, anche con questa povera gente. Gente a cui, con questo, seminano la guerra dentro. È crudele. Dicono: “Vai alla guerra!”, e gli danno le armi, perché dietro ci sono degli interessi, soprattutto interessi economici, per sfruttare la terra, per sfruttare i minerali, per sfruttare le ricchezze.

È vero che il tribalismo in Africa non aiuta. Non so bene come sia in Sud Sudan, ma credo che ci sia. Ci vuole dialogo fra le diverse tribù. Ricordo quando sono stato in Kenya, nello stadio pieno tutti si sono alzati in piedi a dire: “No al tribalismo, no al tribalismo!”. È vero che ogni tribù ha la propria storia, che hanno inimicizie vecchie o culture diverse. Ma è anche vero che si provoca la lotta fra le tribù con la vendita delle armi e poi si sfrutta la terra di ambedue le tribù. Questo è diabolico. Non mi viene un’altra parola. Questo è distruggere: distruggere il creato, distruggere la persona, distruggere la società.

Non so se in Sud Sudan succede, ma in alcuni Paesi i ragazzini sono portati via per far parte delle milizie e lottare, da ragazzini. Questo è molto doloroso.

Riassumo: credo che il problema più grave è l’ansia di prendere la ricchezza di quel Paese — coltan, litio e tutte queste cose — tramite la guerra, per la quale vendono le armi, e sfruttano anche i bambini.

Greenshields — Credo che uno dei problemi che emergono è l’alto livello di analfabetismo che esiste in questi Paesi: la gente non ha una chiara comprensione di chi sono, dove sono e su come fare scelte informate. Questa è una cosa. Sicuramente dobbiamo affrontare il fenomeno della corsa agli armamenti: ci sono persone che fanno tantissimi soldi con questo, più che con qualsiasi altra cosa al mondo. Come farlo? Con la persuasione. E come superiamo le divisioni? Attraverso il dialogo. Voglio farvi un esempio calato in Scozia, il Paese dal quale vengo, che è stato un Paese profondamente diviso dalla religione, nel quale sono successe cose terribili: violenze terribili, terribili divisioni all’interno della nostra Nazione. Abbiamo iniziato un processo di dialogo tra noi stessi — Chiesa di Scozia — e la Chiesa cattolica che era in Scozia per arrivare l’anno scorso alla firma di una Dichiarazione di amicizia secondo la quale vogliamo camminare insieme nelle nostre differenze ma in concordanza nelle cose su cui siamo d’accordo. Ed è solo quando si riesce ad arrivare a questo livello di dialogo e di incontro con l’altro che si iniziano ad abbattere i muri. Questo è quello che è successo in Scozia che, quando io ero giovane, era ancora un Paese profondamente diviso. E questo sta cambiando. Anche l’istruzione contribuisce a questo processo.

Welby — Io invece voglio rispondere da un punto di vista diverso, perché la sua è una domanda molto utile. Non si tratta di Onu “oppure” altro, ma è Onu “con”: è sempre “con”, piuttosto che “oppure”. Cosa portano le Chiese? Non solo reti funzionanti praticamente incorruttibili per cui quando mandi un aiuto, quell’aiuto arriva alla gente del posto; quelle reti che riescono pure a superare le linee di fuoco, e tutto il resto. Sabato scorso, il nostro arcivescovo ha celebrato a Kajo Keji il funerale di 20 persone: è andato appena avuto la notizia dell’attentato ed è tornato sabato sera stessa. Questa sua visita e il suo intervento hanno fatto una grande differenza: è il cambiamento del cuore, e questo è stato il punto di questa visita. Cento anni fa, le popolazioni Nuer e Dinka erano perennemente in guerra, era una cultura della vendetta; i Nuer in particolare erano sempre in lotta anche tra i loro stessi clan, con il sequestro del bestiame. La differenza non l’ha fatta il governo coloniale, ma le Chiese e il cambiamento del cuore quando le persone hanno ricevuto la fede in Cristo e hanno realizzato che esiste un modo nuovo di vivere. Per questo, la mia preghiera alla fine di questa visita non è solo per un grandissimo attivismo, ma soprattutto affinché lo Spirito di Dio porti un nuovo spirito di riconciliazione e guarigione alla gente del Sud Sudan.

Claudio Lavanga, di NBC News, ha ricordato il gesto del Papa nel 2019, quando si è inginocchiato davanti ai leader del Sud Sudan per chiedere la pace, e ha domandato, in vista del primo anniversario del conflitto in Ucraina, se si sente pronto a compiere lo stesso gesto nei confronti di Vladimir Putin, e se tutti e tre volessero fare un appello congiunto per la pace in quella nazione europea.

Francesco — Io sono aperto a incontrare entrambi i Presidenti, quello dell’Ucraina e quello della Russia, sono aperto per l’incontro. Se non sono andato a Kiev è perché non era possibile in quel momento andare a Mosca. Ma ero in dialogo, anzi il secondo giorno della guerra sono andato all’Ambasciata russa a dire che volevo andare a Mosca a parlare con Putin, a patto che ci fosse una piccola finestrina per negoziare. Poi il ministro Lavrov mi ha risposto: “Bene”, che sì, valutava bene questo, ma “vediamo più avanti”. Quel gesto è stato un gesto pensato, dicendo “lo faccio per lui”.

Ma quel gesto dell’incontro del 2019 non so come è successo, non era stato pensato, e le cose che non sono state pensate tu non puoi ripeterle, è lo Spirito che ti porta lì, non si può spiegare, punto, e io l’ho anche dimenticato. È stato un servizio, sono stato strumento di qualche impulso interiore, non una cosa pianificata.

Oggi siamo… ma non è l’unica guerra, io vorrei fare giustizia: da dodici, tredici anni la Siria è in guerra; da più di dieci anni lo Yemen è in guerra; pensa al Myanmar, alla povera gente Rohingya che gira il mondo, gira il mondo perché sono stati cacciati via dalla propria patria. Dappertutto, nell’America Latina, quanti focolai di guerra ci sono! Sì, ci sono guerre più importanti per il rumore che fanno, ma, non so, tutto il mondo è in guerra, è in autodistruzione. Dobbiamo pensare seriamente. È in autodistruzione. Fermiamoci in tempo! Perché una bomba ne richiama una più grande e una più grande e una più grande, e nell’escalation tu non sai dove finirai… Bisogna avere la testa fredda.

Poi, Sua Eccellenza ha parlato delle donne: le donne, le ho viste nel Sud Sudan, portano avanti i figli, a volte rimangono sole, ma hanno la forza di creare un Paese. Le donne sono brave, sono quelle che stanno portando avanti... Perché gli uomini vanno alla lotta, vanno alla guerra e queste signore con due, tre, quattro, cinque bambini vanno avanti… Le ho viste qui in Sud Sudan. E, parlando di donne, vorrei direi una parola sulle suore, le suore che si coinvolgono, ne ho viste alcune qui in Sud Sudan e poi nella Messa di oggi: avete sentito il nome di tante suore che sono state uccise, sgozzate in questa guerra... Ma torniamo alla forza della donna, dobbiamo prenderla sul serio e non usarla solamente come pubblicità di maquillage! Per favore, questo è un insulto alla donna, la donna è per le cose più grandi!

Per l’altro punto già ti ho detto, ma bisogna guardare le guerre che ci sono nel mondo.

Welby — Ho parlato della Russia, del presidente Putin e dell’Ucraina quando sono andato lì tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, e davvero non ho nulla da aggiungere se non che la fine di questa guerra è nelle mani del presidente Putin. Potrebbe fermarla con un ritiro e un cessate-il-fuoco e poi con negoziati per accordi a lungo termine. Ma io non posso … È una guerra terrificante e terribile, ma voglio dire anche che sono d’accordo con Papa Francesco: ci sono molte altre guerre. Parlo ogni qualche settimana con il capo della nostra Chiesa in Myanmar, ho parlato ai leader della nostra Chiesa in Nigeria, dove ancora ieri sono state uccise 40 persone a Katsina in un conflitto armato, ho parlato a molti nel mondo: sono pienamente d’accordo con il Santo Padre. Nessuna guerra potrà finire se non saranno coinvolte le donne e i giovani, esattamente per le ragioni che egli ha espresso.

Bruce De Galzain, di Radio France, ha fatto riferimento all’omosessualità che in Sud Sudan e in Congo non è accettata.

Francesco — Su questo problema ho parlato in occasione di due viaggi: prima, di ritorno dal Brasile: se una persona di tendenza omosessuale è credente e cerca Dio, chi sono io per giudicarlo? Questo ho detto in quel viaggio. Secondo, tornando dall’Irlanda — un viaggio un po’ problematico perché quel giorno era uscita la lettera di quel ragazzo —, lì ho detto chiaramente ai genitori: hanno diritto di rimanere in casa i figli che hanno questo orientamento, voi non potete cacciarli via di casa, hanno diritto su questo. E poi ultimamente ho detto qualcosa, non ricordo bene cosa ho detto, nell’intervista della Associated Press. La criminalizzazione dell’omosessualità è un problema da non lasciar passare. Il calcolo è, più o meno, che cinquanta Paesi in un modo o nell’altro portano a questa criminalizzazione. Alcuni dicono di più, diciamo almeno cinquanta. E alcuni di questi — credo saranno dieci — hanno anche la pena di morte, aperta o nascosta, ma la pena di morte. Questo non è giusto, le persone di tendenza omosessuale sono figli di Dio, Dio vuole loro bene, Dio li accompagna. È vero che alcuni sono in questo stato per diverse situazioni non volute, ma condannare una persona così è peccato, criminalizzare le persone di tendenza omosessuale è una ingiustizia. Non sto parlando dei gruppi, no, delle persone. Si può dire: “Ma fanno dei gruppi che fanno chiasso…”. Le persone. Le lobby sono un’altra cosa. Sto parlando delle persone. E credo che nel Catechismo della Chiesa Cattolica c’è la frase che “non vanno marginalizzati”. Credo che la cosa è chiara su questo.

Welby — Forse non vi è sfuggito del tutto che nella Chiesa d’Inghilterra si è parlato di questo “appena un po’”, recentemente … compresi dibattiti in Parlamento e via dicendo. Vorrei aver parlato con la stessa eloquenza e la stessa chiarezza con cui ha parlato il Papa. Concordo pienamente con ogni parola che ha detto. La criminalizzazione … la Chiesa d’Inghilterra, la Comunione anglicana ha approvato risoluzioni in due Conferenze di Lambeth contro la criminalizzazione, ma questo non ha realmente cambiato la mentalità della maggioranza delle persone. Nei prossimi quattro giorni, nel Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra, questo sarà il tema principale della discussione e sicuramente citerò il Santo Padre. L’ha detto in maniera meravigliosa e accurata.

Greenshields — Solo un’osservazione molto breve. In nessun punto dei quattro Vangeli vedo Gesù respingere qualcuno. In nessun punto dei quattro Vangeli vedo altro se non Gesù esprimere amore nei riguardi di chiunque incontri. E, da cristiani, questa è l’unica espressione che possiamo rivolgere a qualunque essere umano e in qualsiasi circostanza.

Alexander Hecht, di ORF TV, ha chiesto al Papa se sente che dopo la morte di Benedetto xvi è stato più difficile il suo lavoro, perché si sono rafforzate le tensioni tra le diverse ali della Chiesa Cattolica?

Papa Francesco — Su questo punto, vorrei dire che ho potuto parlare di tutto con Papa Benedetto, e scambiare opinioni, e lui sempre era al mio fianco, appoggiando; e se aveva qualche difficoltà me la diceva e parlavamo e non c’erano problemi.

Una volta io ho parlato del matrimonio delle persone omosessuali, del fatto che il matrimonio è un sacramento e noi non possiamo fare un sacramento, ma c’è la possibilità di assicurare i beni con la legge civile — è incominciata in Francia, non ricordo come si chiama —; qualsiasi persona può fare una unione civile, non necessariamente di coppia, le vecchiette in pensione fanno un’unione civile... e così via. Allora una persona, che si crede un grande teologo, tramite un amico di Papa Benedetto, è andato da lui e ha fatto la denuncia contro di me. Benedetto non si è spaventato, ha chiamato quattro Cardinali teologi di primo livello e ha detto: “Spiegatemi questo fatto”, e loro lo hanno spiegato. E così è finita la storia.

È un aneddoto per far vedere come si muoveva Benedetto quando c’era una denuncia. Alcune storie che si dicono, che Benedetto era amareggiato per questo o quell’altro che ha fatto il nuovo Papa… sono “storie cinesi”. Anzi, Benedetto, io l’ho consultato per alcune decisioni da prendere e lui era d’accordo.

Credo che la morte di Benedetto è stata strumentalizzata da gente che vuole portare acqua al proprio mulino. E la gente che, in un modo o in un altro, strumentalizza una persona così brava, così di Dio, quasi direi un santo padre della Chiesa, quella gente non ha etica, è gente di partito, non di Chiesa. Si vede in ogni parte la tendenza di fare con le posizioni teologiche dei partiti e poi portare a questo… Lasciar perdere… Queste cose cadranno da sole, o alcune non cadranno e andranno avanti, come nella storia della Chiesa è successo. Ma ho voluto dire chiaramente chi era Papa Benedetto, non era un amareggiato.

Infine Jorge Barcia Antelo di RNE, ha domandato in italiano a Francesco quali saranno i suoi prossimi viaggi e in inglese al moderatore e all’arcivescovo se si uniranno al Papa in altre iniziative come questa.

Francesco — Dipende dal menu!

Parlo della globalizzazione dell’indifferenza, poi c’era una cosa al centro della tua domanda...

Sì, è vero, c’è dappertutto la globalizzazione dell’indifferenza, sia all’interno del Paese, può darsi… Diverse persone che hanno dimenticato di guardare i propri compatrioti, i propri concittadini, e li mettono all’angolo per non pensarci. Fa pensare che le fortune più grandi del mondo sono nelle mani di una minoranza; e questa gente non guarda le miserie, il cuore non gli si apre per aiutare queste situazioni.

Sui viaggi. Credo che per l’India sarà il prossimo anno, credo... Il 23 settembre vado a Marsiglia; e c’è la possibilità che da Marsiglia voli in Mongolia, ma non è definito questo, è possibile. E poi un altro quest’anno: Lisbona. Ma il criterio è questo: ho scelto di visitare i Paesi più piccoli dell’Europa. Lei dirà: “Ma è andato in Francia”. No, sono andato a Strasburgo, andrò a Marsiglia, non in Francia. I più piccoli, i più piccoli, per conoscere un po’ l’Europa nascosta, l’Europa che ha tanta cultura ma non è a conoscenza di tutti, per accompagnare Paesi, per esempio l’Albania — che è stato il primo — che è il Paese che ha sofferto la dittatura più crudele della storia. La scelta mia è un po’ questa: cercare di non cadere io stesso nella globalizzazione dell’indifferenza.

[Gli chiedono della sua salute] Tu sai che l’erba cattiva non muore mai! No, non come all’inizio del pontificato, davvero, questo ginocchio dà fastidio, ma va avanti lentamente, poi vediamo. Grazie.

Welby — Sicuramente, questa è la migliore linea aerea con cui io abbia viaggiato! Scherzi a parte, sì: qualora il Santo Padre abbia l’impressione che io abbia aggiunto valore, o che in futuro l’arcivescovo (di Canterbury) possa aggiungere valore, sarà sempre un grande privilegio. Dipende dalla destinazione e dal fatto che possiamo essere un impedimento o un aiuto.

Greenshields — Sicuramente saremmo ansiosi, felici di rifare una cosa simile. L’unico limite è che il mio mandato scade il 20 maggio e il prossimo moderatore [dell’Assemblea generale] della Chiesa di Scozia sarà una donna, molto capace [in gamba?], e sono sicuro che sarebbe felice di fare lo stesso.