· Città del Vaticano ·

L’impegno di suor Margaret in Sud Sudan per la formazione degli insegnanti

Educazione
in aiuto allo sviluppo

 Educazione in aiuto allo sviluppo  QUO-024
30 gennaio 2023

Nel 2008 la Conferenza episcopale del Sudan lanciò una richiesta di aiuto. L’Unione superiori generali (Usg) e l’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg), che rappresentano i religiosi e le religiose, risposero subito con la creazione di Solidarity with South Sudan. Suor Margaret Scott, delle Figlie di Nostra Signora delle missioni, racconta l’esperienza vissuta partecipando personalmente a quella missione inter-congregazionale e spiega che cosa significa la visita di Papa Francesco per la gente in Sud Sudan.

Nel 2006/2007 stavo partecipando ad alcuni incontri a Roma, quando le prime delegazioni di Usg/Uisg raccontarono ciò che avevano visto e vissuto nel sud del Sudan. La nostra congregazione decise di aderire all’impegno e mi fu chiesto se volessi occuparmene. Nell’agosto 2008 mi recai nel Sudan meridionale insieme a quattro consorelle e costituimmo così una comunità di cinque Figlie di Nostra Signora delle missioni a Riimenze, nella diocesi di Tombura-Yambio. Solidarity intendeva realizzare scuole di formazione per gli insegnanti a Malakal e a Riimenze e un istituto di formazione sanitaria a Wau, nonché preparare agenti di pastorale.

A due di noi fu chiesto di lavorare nell’ambito della formazione degli insegnanti nella diocesi di Yambio. All’inizio offrimmo una formazione professionale all’interno degli istituti. Intorno al 2011 la comunità iniziò ad allargarsi con l’arrivo di membri di altre congregazioni. Finimmo col trasferirci nella città principale, Yambio, e fu costruito un college su un terreno della Chiesa. In questa struttura apposita, nel 2012 iniziammo la formazione all’insegnamento. Il nostro obiettivo principale era di preparare insegnanti di scuola elementare, dato che all’epoca ce n’era un bisogno immenso.

C’era grande eccitazione tra la gente quando il Sud Sudan ottenne l’indipendenza nel 2011. Si pensava che questo avrebbe risolto tutti i problemi: sarebbero stati indipendenti e avrebbero potuto amministrare il Paese da soli. Le persone erano piene di speranza e di entusiasmo; ma nel corso degli anni abbiamo riscontrato grandissime difficoltà. In un certo senso c’è un po’ di delusione perché le cose non sono andate bene come ci si aspettava. Per molti versi era naturale. Sono emersi elementi di ogni sorta quando si è iniziato a lavorare insieme come Paese indipendente.

La maggior parte delle persone comprese che se si voleva che ci fosse sviluppo, serviva un buon sistema educativo. All’epoca gli insegnanti formati erano pochissimi, data la mancanza di appositi istituti di formazione. Quelli esistenti non funzionavano a causa della carenza di fondi. Noi eravamo un piccolo tassello necessario alla costruzione del puzzle per fornire insegnanti preparati. In tutto il Paese c’era un grande desiderio di apprendimento, di istruzione e di avere docenti formati che potessero preparare le generazioni future.

Fin dall’inizio realizzammo che nelle scuole molti insegnanti, privi dell’apposita preparazione, desideravano fortemente accrescere le loro competenze. Lavorammo quindi su due livelli: la formazione negli istituti in cui lavoravano e la preparazione. Gli studenti del nostro college, che non avevano avuto una educazione pregressa, avevano un’età compresa tra i 20 e, in qualche caso, i 50 anni. Erano pieni di entusiasmo e desiderosi di imparare. Una volta diplomati, erano ansiosi di ritornare nelle loro scuole o di entrare nel sistema e fare gli insegnanti, perché volevano qualcosa di meglio per i giovani. Avevano una positività straordinaria, pur lavorando in condizioni estremamente precarie. Ancora oggi si vedono persone che insegnano sotto gli alberi e, pur tuttavia, vogliono insegnare.

Coloro che avevamo formato, andavano ovunque con entusiasmo e s’impegnavano a fare gli insegnanti. Preparavano il loro lavoro, realizzavano cartelloni, tavole e ogni sorta di gioco e offrivano qualcosa di veramente utile. Spesso qualcuno di loro veniva preso dal governo per lavorare negli uffici dell’istruzione. Quando supervisionavo i nostri studenti nelle scuole, vedevo la partecipazione, l’eccitazione e l’energia dei bambini, dovuta al fatto che avevano insegnanti su cui contare. Si potevano intravedere infinite possibilità di progresso per il futuro. Era quindi molto, molto utile per il Paese.

Il Papa, l’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, e il reverendo presbiteriano Iain Greenshields, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, provano compassione per il popolo in Sud Sudan e desiderano mostrargli la loro solidarietà, essere al suo fianco. La loro visita è un simbolo incredibile di sostegno. Quelle persone e Chiese, che hanno pregato per la pace, nutrono speranza che si realizzi in questo Paese giovane e in difficoltà. Le tre guide di diverse Chiese mostrano che è possibile che le persone si uniscano. E se è possibile che si uniscono le Chiese, è possibile anche che si uniscano le persone per far crescere un Paese. È un gesto dall’alto valore simbolico e penso che la gente davvero apprezzi la loro visita.

La gente in Sud Sudan ha una fede straordinaria. Crede in Dio, sa che Dio la ama e la visita del Papa è un altro modo di sperimentarlo.

Non sentiamo raccontare spesso quanto è dura in Sud Sudan e che attualmente milioni di persone rischiano di morire di fame. In quei giorni, l’attenzione sarà puntata sulla Repubblica Democratica del Congo e sul Sud Sudan. Mi auguro che ciò possa sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di milioni di persone in Sud Sudan che soffrono e hanno bisogno che il mondo le aiuti a procedere in modo pacifico e produttivo verso il futuro. (ha collaborato bernadette reis)

di Margaret Scott


#sistersproject