· Città del Vaticano ·

Udienza alla comunità del Pontificio Collegio Urbano «de Propaganda Fide»

Semplicità e sincerità per essere missionari credibili

 Semplicità e sincerità per essere missionari credibili  QUO-017
21 gennaio 2023

Per essere «missionari credibili» non bastano un abito o un atteggiamento esteriore: occorre «il coraggio di essere autentici», che scaturisce da «uno stile di semplicità e di sincerità». Lo ha ricordato Papa Francesco nel discorso rivolto a superiori e studenti del Pontificio Collegio Urbano «de Propaganda Fide», ricevuti in udienza stamane, sabato 21 gennaio, nella Sala del Concistoro.

Cari fratelli, care sorelle, buongiorno e benvenuti!

Ringrazio il Rettore per le sue parole e saluto i formatori e tutti voi studenti. Come alunni del Collegio Urbano voi siete inseriti nel fiume vivo di una tradizione ricca e antica, che parte dal 1627, anno in cui Papa Urbano viii decise di fondare a Roma un seminario destinato alla formazione del clero per i territori detti di “missione”. È stata un’intuizione importante, che ancora oggi conserva la sua validità e che voi siete chiamati ad accogliere e interpretare in modo creativo, lasciandovi interpellare dalle tante esigenze e domande del tempo in cui viviamo. In effetti, tutta la Chiesa è chiamata oggi ad una «conversione pastorale e missionaria» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 25), anche nella formazione dei futuri presbiteri1, e in questa prospettiva voi potete essere di ispirazione e di aiuto a molti altri.

Quest’anno, quattrocentesimo anniversario della fondazione della Congregazione De Propaganda Fide, nel vostro cammino state riflettendo sul tema della relazione viva e personale con Gesù come sorgente spirituale di ogni missione, ispirati dal motto: «Perché stessero con lui... e per mandarli a predicare» (Mc 3, 13). Perciò vorrei soffermarmi brevemente con voi proprio su questo argomento. Possiamo chiederci: quali sono le caratteristiche più importanti da curare e rafforzare nel tempo della formazione iniziale, per poter essere davvero dei discepoli-missionari vicini a Dio e ai fratelli?

La prima caratteristica che vorrei evidenziare è il coraggio dell’autenticità, il coraggio di essere autentici. Infatti, la nostra vicinanza a Dio e ai fratelli si realizza e si rafforza nella misura in cui abbiamo il coraggio di spogliarci delle maschere che indossiamo, magari per apparire perfetti, impeccabili e ossequiosi, o semplicemente migliori. Le maschere non servono, cari fratelli, non servono! Presentiamoci agli altri senza schermi, per quello che siamo, con i nostri limiti e le nostre contraddizioni, vincendo la paura di essere giudicati perché non corrispondiamo a un modello ideale, che spesso esiste solo nella nostra mente. Coltiviamo «la sincerità e l’umiltà del cuore, che ci donano uno sguardo onesto sulle nostre fragilità e povertà interiori» (Angelus, 23 ottobre 2022). Ricordiamoci che si è missionari credibili non per un abito che si indossa o per atteggiamenti esteriori, quanto piuttosto per uno stile di semplicità e di sincerità. Questo è trasparenza.

La credibilità riconosciuta a Gesù dalla gente che lo incontrava (cfr. Mc 1, 22) veniva dall’armonia che si vedeva in Lui tra ciò che annunciava e ciò che faceva. Armonia, coerenza. Dunque, per favore, non abbiate paura di mostrarvi per quello che siete, soprattutto a quei fratelli maggiori che la Chiesa vi pone accanto come formatori. A volte può venire la tentazione del formalismo, oppure il fascino del “ruolo”, come se questo potesse assicurarvi una piena realizzazione. Non lasciatevi ingannare da queste soluzioni, così a portata di mano, ma false. San John Henry Newman, ex-alunno del vostro Collegio, parlando dell’autenticità metteva in guardia dall’atteggiamento di coloro che «vorrebbero agire con dignità e invece smettono di essere sé stessi»2. La dignità deve venire da voi stessi. Ricordiamoci che tra il fariseo, che pregava “davanti a sé stesso”, e il pubblicano che non aveva nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo, solo quest’ultimo «tornò a casa sua giustificato» (Lc 18, 14).

Una seconda caratteristica che vorrei richiamarvi è la capacità di uscire da sé stessi. La vita di fede è un continuo “esodo”, un’uscita dai nostri schemi mentali, dal recinto delle nostre paure, dalle piccole certezze che ci rassicurano. Altrimenti rischiamo di adorare un Dio che è solo una proiezione dei nostri bisogni, e quindi un “idolo”, e di non vivere incontri autentici nemmeno con gli altri. Invece ci fa bene accettare il rischio di uscire da noi stessi, come hanno fatto Abramo, Mosè e i pescatori di Galilea chiamati a seguire il Maestro (cfr. Mc 1, 16-20).

E voi avete l’opportunità di farlo in questo momento nella vita di comunità, specialmente in una comunità formativa ricca e variegata come la vostra, con tante culture, lingue e sensibilità. È un dono grande, questo, da cui potete essere arricchiti nella misura in cui ciascuno riesce a uscire dal proprio recinto per aprirsi agli altri, al loro mondo e alla loro cultura. Per questo vi incoraggio a vivere senza paura la sfida della fraternità, anche quando richiede fatiche e rinunce. Il nostro mondo e anche la Chiesa hanno bisogno di testimoni di fraternità: che voi possiate essere così, già adesso e poi quando tornerete nelle vostre diocesi e nei vostri Paesi, spesso segnati da divisioni e conflitti. E anche testimoni di gioia: «La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli» (Evangelii gaudium, 21); la «gioia missionaria» che «ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono» (ibid.); la gioia del dono.

Infine vorrei ancora sottolineare un’ultima caratteristica del discepolo-missionario: l’apertura al dialogo. Prima di tutto al dialogo con Dio, nella preghiera, che è pure un esodo dal nostro io per accogliere Lui, mentre parla in noi e ascolta la nostra voce. E poi al dialogo fraterno, in una radicale apertura all’altro. San Giovanni Paolo ii ci ha insegnato che il dialogo dev’essere lo stile proprio del missionario (Enc. Redemptoris missio, 55-56). E Gesù ce lo ha mostrato facendosi uomo, abbracciando i drammi, le domande e le attese dell’umanità sofferente e in cerca di pace. Cari fratelli, il mondo ha bisogno di dialogo, ha bisogno di pace. E ha bisogno di uomini e donne che ne siano testimoni. Vi esorto a mettervi alla scuola di quei “martiri del dialogo” che, anche in alcuni dei vostri Paesi, hanno percorso con coraggio questa strada per essere costruttori di pace. Non abbiate paura di percorrerla anche voi fino in fondo, andando controcorrente e condividendo Gesù, comunicando la fede che Lui vi ha donato (cfr. Esort. ap. Christus vivit, 176).

Cari fratelli, care sorelle, l’intercessione di Maria nostra Madre e di tanti ex alunni santi e beati vi accompagni in questo cammino. Di cuore vi benedico e vi porto nella preghiera. E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

 

1 Congregazione per l’Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, 19 marzo 1985, Introduzione, n. 3.

2 Parochial and Plain Sermons, Vol. v, n. 3.


Laboratorio di fraternità


Ogni anno «vediamo realizzarsi quello che qualcuno ha chiamato il “miracolo del Collegio Urbano”: giovani di appartenenze  diverse entrano a far parte della stessa famiglia, condividono, il tempo, gli spazi e soprattutto la gratitudine per la stessa vocazione ricevuta», dando vita a uno straordinario laboratorio di incontro e di fraternità. Il rettore Armando Nugnes, nel saluto rivolto al Pontefice all’inizio dell’udienza, ha voluto presentare con queste parole  la “famiglia” dell’istituto: i formatori, le suore, il personale laico, «e i nostri seminaristi, i veri protagonisti». Tutti insieme, ha sottolineato, concorrono a «esprimere il volto più giovane delle giovani Chiese. I nostri 155 alunni provengono da 35 differenti nazioni dei 5 continenti» e molti  «da Paesi che stanno vivendo situazioni difficili a livello sociale e politico, e sono giunti al nostro Collegio dopo aver attraversato percorsi e vicende dolorose causate anche dalla guerra». E «nella luce del 400° anniversario della fondazione di Propaganda Fide (il 6 gennaio 1622) da poco compiuto», ha spiegato,  si è voluto «rimettere al centro della nostra attenzione l’evangelizzazione», partendo «dall’anima di ogni missione, dalla sua radice: l’incontro personale con il Signore Gesù, nella preghiera innanzitutto», senza dimenticare l’ulteriore impulso ricevuto dalla costituzione apostolica Praedicate Evangelium. Per questo, ha concluso, «nelle sue giornate di intenso lavoro al Palazzo apostolico o durante la preghiera dell’Angelus domenicale, provi a guardare, per favore, ai “pini” del Gianicolo di fronte a lei; si ricordi che lì c’è una famiglia di figli e fratelli, che condividono con lei il sogno di una Chiesa tutta missionaria per un mondo fraterno».