· Città del Vaticano ·

In quel viaggio in treno
i semi di un’amicizia

 In quel viaggio in treno i semi di un’amicizia  QUO-003
04 gennaio 2023

È un grande onore rendere un umile e fraterno tributo di rispetto, gratitudine e amore al defunto Papa Benedetto XVI.

Il mio primo stretto contatto nonché la prima conversazione personale con lui sono avvenuti nel 2002, durante il viaggio ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera per la pace, istituita da Giovanni Paolo II. Era stato Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, a suggerire che i leader religiosi si recassero insieme ad Assisi in treno per dimostrare il loro percorso interiore di consapevolezza spirituale insieme al loro pellegrinaggio esterno di comprensione religiosa. Colsi l’opportunità per invitare l’allora cardinale Joseph Ratzinger a sedersi accanto a me, nello stesso scompartimento, durante il viaggio. Quell’occasione piantò i semi di un affetto profondo e di una collaborazione pastorale durata due decenni.

Per me quell’incontro nel viaggio verso Assisi fu molto più che un’espressione accidentale o informale di solidarietà e unità. Di fatto, non ci volle un grande sforzo perché noi due diventassimo intimi. In effetti, riconoscemmo subito di essere della stessa pasta, di apprezzare tutti e due il principio del dialogo — e tutto ciò perché entrambi condividevamo lo stesso obiettivo di unità e comunione in Gesù Cristo. Quel momento di incontro personale profondo plasmò il nostro rapporto durante tutto il pontificato di Papa Benedetto. Suggellò la fiducia e la convinzione che avevamo in comune circa la nostra responsabilità — sia una vocazione sia un impegno — di sostenere la fede in un mondo secolarizzato e al tempo stesso di promuovere l’unità in una cristianità divisa.

Inutile dirlo, il cardinale Ratzinger era già uno studioso teologo molto rinomato. E aveva influenzato profondamente molti studenti ortodossi, attraverso i quali — mi confidò una volta — aveva imparato a conoscere e ad amare la teologia e la tradizione d’Oriente molto più che attraverso i libri. Tra quegli studenti vi erano coloro che poi sarebbero diventati il metropolita della Svizzera Damaskinos e l’arcivescovo Stylianos dell’Australia. Il primo fu essenziale per la preparazione del Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa, che infine si riunì sull’isola di Creta nel 2016, come pure per la promozione del dialogo interreligioso. Il secondo fu fondamentale nei dialoghi ecumenici bilaterali e multilaterali, servendo anche come co-presidente fondatore del Dialogo teologico cattolico-ortodosso iniziato nel 1980.

Così, in occasione della sua elezione il 19 aprile 2005, spontaneamente invitai Papa Benedetto al Fanar, con un gesto simbolico che intendeva rispecchiare la precedente visita di Giovanni Paolo ii alla sede del Patriarcato ecumenico su invito del nostro predecessore il Patriarca Demetrio, dopo la sua elezione a Papa il 16 ottobre 1978. Un anno dopo l’inizio del suo ministero papale, Giovanni Paolo ii partecipò di persona alla festa del Trono della Chiesa di Costantinopoli il 30 novembre 1979, quando venne formalmente annunciata l’istituzione della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa.

Da parte sua, diciotto mesi dopo la sua elezione, Papa Benedetto XVI partecipò di persona alla festa del Trono del Patriarcato ecumenico il 30 novembre 2006, segnando la ripresa e il rinnovamento del dialogo teologico tra le nostre Chiese. Nella nostra Dichiarazione comune del 30 novembre 2006, «abbiamo espresso la nostra gioia profonda per la ripresa del dialogo teologico. Dopo un’interruzione di qualche anno, dovuta a varie difficoltà, la Commissione ha potuto lavorare di nuovo in uno spirito di amicizia e di collaborazione». Fu grazie ai semi della nostra amicizia personale e ai risultati dei nostri sforzi persistenti insieme con Papa Benedetto che infine, nel 2006, riprese il dialogo tra le nostre Chiese a Belgrado, in Serbia. E il fatto che la Commissione congiunta riuscì a ritornare alla sua agenda teologica e a compiere nuovi progressi fu merito, in non poca misura, dell’abilità teologica di Papa Benedetto e del nostro metropolita Giovanni di Pergamo.

Nello stesso storico documento del novembre 2006, concordammo anche sulla necessità di «rafforzare le collaborazioni e la nostra testimonianza comune davanti a tutte le nazioni». Inoltre, dichiarammo di incoraggiare «a stabilire rapporti più stretti tra i cristiani e un dialogo interreligioso autentico e leale, per combattere ogni forma di violenza e di discriminazione» e di «impegnarci per un rinnovato servizio all’uomo e per la difesa della vita umana, di ogni vita umana». Infine professammo che «come capi religiosi, consideriamo come uno dei nostri doveri incoraggiare e sostenere gli sforzi compiuti per proteggere la creazione di Dio e per lasciare alle generazioni future una terra sulla quale potranno vivere».

Meno di due anni dopo, nell’ottobre 2008, Papa Benedetto ci invitò a tenere un discorso formale, centrale — su «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» — a più di quattrocento tra cardinali e vescovi durante la XII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica. Quello storico evento si svolse nella splendida Cappella Sistina dopo la solenne celebrazione dei Vespri. Era la prima volta che un Papa di Roma aveva chiesto a un Patriarca ortodosso di pronunciare il discorso di apertura di un Sinodo generale dei vescovi. Fu un dono immenso e un onore inestimabile che rimarrà sempre custodito nel profondo del mio cuore e nella storia della nostra Chiesa.

Ho avuto il privilegio di lavorare a stretto contatto con tre Romani Pontefici negli ultimi trentuno anni del mio ministero patriarcale. Il 29 giugno 2008, in una delle sole tre occasioni in cui ho partecipato alla festa patronale dei santi Pietro e Paolo in Vaticano, ho espresso a Papa Benedetto l’assicurazione che la mia presenza rappresentava «un gesto rispettoso di gratitudine autentica per ricambiare la sua presenza personale, Santità, diciannove mesi fa, in occasione della festa di sant’Andrea, primo chiamato degli apostoli e fratello più anziano di san Pietro, fondatore e patrono dell’antica sede della Nuova Roma». Durante il pranzo che seguì la celebrazione solenne nella basilica di San Pietro aggiunsi: «Storicamente queste visite hanno incluso scambi fondamentali tra le nostre due Chiese, come espressione tangibile di una maggiore comunicazione attraverso il dialogo teologico e nell’orante attesa della piena comunione sacramentale nel Corpo di Cristo». Quell’incontro segnò anche l’inaugurazione ufficiale dell’Anno paolino, dopo la nascita dell’apostolo Paolo due millenni prima, ed entrambi promettemmo di sostenere le reciproche feste.

Abbiamo continuato a corrispondere e a comunicare con Papa Benedetto per molto tempo dopo le sue umili e tuttavia monumentali dimissioni dal papato. Gli ho ricordato spesso i nostri scambi personali nel corso degli anni, e addirittura gli ho fatto gli auguri per il triplice anniversario celebrato nel mese di aprile, ovvero la sua elezione, l’inizio del suo pontificato e il suo compleanno. Ha sempre apprezzato che lo andassi a trovare nel suo modesto monastero, dove ricordava i nostri incontri e identificava con orgoglio vari souvenir dei quali gli avevo fatto dono. «Questi oggetti — mi scrisse una volta — non erano solo segni commoventi della nostra amicizia personale, ma anche indicazioni verso l’unità tra Costantinopoli e Roma, segnali di speranza che stiamo procedendo verso l’unità».

Possa l’anima gentile del mio amato fratello Papa Benedetto xvi riposare nella pace eterna. E possa l’importante contributo della sua vita e della sua opera risiedere nell’eterna memoria.

di Bartolomeo
Patriarca ecumenico


Leggi anche:

Una voce coraggiosa in Terra Santa
di Pierbattista Pizzaballa