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Entrare nel cono di luce e rivelare: sì, sono cattolica. Sono cattolica e femminista. Credo in Dio e difendo la prospettiva queer, ossia la possibilità di non ricevere etichette di genere e di orientamento sessuale.
Il movimento di Michela Murgia nel suo God save the queer. Catechismo femminista (Einaudi Stile Libero) è il movimento che da sotterraneo diventa visibile, aperto allo sguardo non soltanto dei credenti ma soprattutto dei non credenti, della comunità di intellettuali e filosofe femministe dentro il cui perimetro la scrittrice vive, scrive e pensa.
A loro Murgia sente finalmente il bisogno di desecretare quel torrente che la vivifica fin da bambina. Una fede cattolica che ai laici, ai non credenti, a coloro che si sentono vicini alla esperienza lgbtqi+ suona come un controsenso. Un errore. Una smarginatura, direbbe Elena Ferrante.
Il pamphlet, con una postfazione della biblista Marinella Perroni, mantiene la promessa di rispondere alle due domande: è possibile essere credenti, queer e femministi? Sì, spiega Murgia, estraendo dalla memoria della sua infanzia sarda le immagini di un impegno parrocchiale quasi tutto in mano alle donne «perché il cristianesimo (…) non è una religione per maschi alfa».
E dunque tutte le contraddizioni si risolvono? No, sancisce l’autrice di Accabadora, che prova a rileggere in una prospettiva storica la semiotica del patriarcato penetrante nella Chiesa cattolica a partire dall’appellativo Padre fino a tutta l’iconografia celebrata nella pittura occidentale di un Dio maschio barbuto e potente. Murgia sposta la tenda e mostra un Dio nella Genesi dubbioso e un Cristo che non chiede mai di essere chiamato Cristo, un uomo che patisce insulti, tradimenti e morte.
Eppure Murgia non cede alla tentazione comune di andare a cercare la rivoluzione dei Vangeli mettendoli in contraddizione con la concretezza maschile e autoritaria della Chiesa, così come viene spesso raccontata da chi è fuori dalle sue mura. Murgia invece scarta di lato, non concede ragioni a coloro che vedrebbero nelle strutture ecclesiastiche patriarcali un motivo per lasciare la fede. Tuttavia «come difendersi da chi cerca di propinarti un’unica versione di Dio, quella che protegge determinati privilegi?», la questione punge.
Nel suo ragionamento teologico entra dunque a sorpresa una icona russa che Murgia trovò casualmente riprodotta in un negozio di periferia, la Trinità del monaco medievale Andrej Rublev, dove Padre, Figlio e Spirito Santo sono raffigurati attorno a un tavolo che sembra invitare l’osservatore a partecipare in una comunanza mistica che non ha gerarchie di genere, di rango, di classe. «Laddove la Trinità piramidale sembra dire Tu qui sei sotto, la circolare sembra dire Tu sei dentro», osserva Murgia, ottenendo finalmente quel respiro di appartenenza che andava cercando. Tu sei dentro è anche il messaggio che la scrittrice lancia alle persone dell’ambiente intellettuale che per senso di minorità tacciono la propria fede . Un invito a non sentirsi soli, né esclusi.
di Laura Eduati
Il destinatario occulto
«C’è però un destinatario occulto in queste pagine, che occulto vorrei non rimanesse: è l’intellettuale italian credente. Ne esistono molt3 piú di quanto si pensi, soprattutto tra chi scrive per mestiere, ma la loro timidezza nel rendere argomento la propria vita spirituale cela la certezza che la fede sia un fatto cosí intimo da essere indicibile e che dichiararla sia una forma di pornografia, di sicuro un gesto professionalmente poco prestigioso. Sono persone che vivono spiritualità variegate, conflittuali o pacificate, dissonanti o aderenti alla vita ecclesiale, ma nella maggioranza dei casi sono unite dallo stesso rapporto con il pregiudizio altrui, quello dell’ateo che ha studiato Lettere e che tra le righe assegna alle persone di fede uno statuto di minorità intellettuale. Il cristianesimo – infantilizzato per decenni come fede di bambini e donne, l’ottusa dottrina del dogma che sospende la ragione, e la religiosità delle processioni e dei miracoli folkloristici – suscita ironia e spesso persino disprezzo tra i letterati e le letterate. Sospinti al nascondimento dal timore dello scherno e della sottovalutazione, gli scrittori e le scrittrici che credono in Gesú proteggono il piú delle volte la loro appartenenza, vivendola come un fatto privato e rinunciando a innervarne la scrittura, se non in rari casi che brillano per solitudine. Io non mi scuso di essere credente e mi rifiuto di pensare che questo mi obblighi a dimostrare di continuo la credibilità della mia capacità intellettuale. Sono pronta a dare ragione della mia fede e oggi, in questa fase della vita, sono pronta anche a dire che quella ragione è la stessa che negli anni mi ha resa femminista e mi ha aperto lo sguardo verso altri modi possibili di essere immagine di Dio».