· Città del Vaticano ·

Ragione, fede e amore
L’eredità di Joseph Ratzinger

 Ragione, fede e amore L’eredità di Joseph Ratzinger  QUO-298
31 dicembre 2022

L’opera che contiene in nuce il pensiero, la teologia e l’amore, e in un certo senso dunque anche l’eredità che Joseph Ratzinger Benedetto xvi lascia alla Chiesa e all’intera umanità è il Dio della fede e il Dio dei filosofi. Il piccolo volume riproduce la lezione magistrale tenuta dal giovane teologo nel giorno dell’inizio della sua attività accademica presso l’università di Bonn nel 1954. Il luogo dell’incontro della visione filosofica e di quella religiosa è la ricerca della verità. Tale ricerca deve essere applicata con grande serietà tanto nel campo naturale, quanto in quello religioso. Quando questo avviene le due ricerche sono destinate a incontrarsi e a collaborare. La ricerca filosofica nasce dalla dignità dell’uomo e della sua ragione che vuole comprendere la sua origine e il suo destino. La ricerca teologica conduce alla fede nel Dio Creatore, nel Dio personale che ha a cuore la sorte della sua creatura, gli viene incontro, l’ama fino a condividerne la natura, a intessere con lei un dialogo d’amore. Di qui la grande e ineliminabile differenza tra pensiero umano e pensiero rivelato all’origine di un dialogo che non può essere mai superato o eliminato. Nella filosofia è l’uomo che cerca Dio a spiegazione del cosmo e di se stesso, nella religione, in particolare in quella cristiana, è Dio che si rivela all’uomo e offre non solo un pensiero ma comunione e amore. Ratzinger stesso scriveva nel 2004 che questo filo conduttore è presente tanto nella sua opera più famosa, Introduzione al cristianesimo, quanto in quelle successive. Da parte mia mi permetto di aggiungere che questa impostazione è presente anche nel Catechismo della Chiesa cattolica, che venne realizzato sotto la sua direzione, e nella sua enciclica più famosa Dio è amore. Se l’equilibrio tra ragione e fede è stato il filo conduttore della sua ricerca teologica, questo non vuol dire che egli non fosse un uomo profondamente innamorato. Al contrario vale per lui quanto Pascal scriveva nel suo Memoriale: «Fuoco. Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe». Senza dimenticare quell’equilibrio fin qui descritto Ratzinger fu un uomo profondamente innamorato. Sotto la patina di delicatezza e di riserbo con la quale si presentava, egli nutriva affetto, comprensione e amore che preservò in ogni situazione e fase della sua vita.

Vi era anzitutto l’amore per Dio, che con il trascorrere degli anni divenne sempre più amore tenero e appassionato per Gesù che cercò di trasmettere ai fedeli con la sua opera Gesù di Nazaret, composta in gran parte durante il suo pontificato. Vi era poi l’amore per la famiglia, per il papà Joseph, suo omonimo, e la mamma Maria, per il loro esempio e la vita cristiana trasmessa soprattutto con la preghiera: «Pregavamo insieme tutti i giorni prima e dopo ogni pasto, il mattino, il mezzogiorno e la sera, ma soprattutto dopo pranzo, quando esprimevamo le nostre richieste particolari». Il padre Joseph, inoltre, poche ore dopo la sua nascita lo condusse in chiesa per il battesimo. Era Sabato Santo ed egli fu sempre grato per questa scelta che a suo dire collocava la sua esistenza come immersa nel mistero pasquale. Dal canto suo, mamma Maria fu particolarmente attenta nel crescere ed educare il più piccolo dei suoi tre figli. L’affetto per i genitori fu accompagnato da quello per i fratelli: Maria e Georg. La prima, Maria, visse costantemente con lui dalla sua nomina a professore di teologia a Bonn e poi nei suoi spostamenti successivi in Germania e in Italia, fino alla morte nel 1991. Sulla sua tomba Joseph fece scrivere: «Per 34 anni ha servito il fratello Joseph in tutte le tappe del suo percorso, con instancabile dedizione, bontà e umiltà». Con il fratello Georg, Joseph figlio condivise l’ingresso in seminario, l’amore alla musica che relativamente spesso indusse i due giovani a recarsi in bici nella vicina Salisburgo per partecipare ai concerti mozartiani, e l’ordinazione sacerdotale ricevuta nello stesso giorno. L’amore per il fratello venne testimoniato fino all’ultimo quando, già Papa emerito, volle recarsi in Germania per un ultimo saluto nonostante l’avanzata condizione di infermità.

Vi era poi l’amore per il suo paese, la Germania. A dire il vero Papa Benedetto si considerava anzitutto bavarese, amante dei luoghi, delle tradizioni della Baviera. Qui egli ebbe modo di essere introdotto alla riforma liturgica, all’epoca agli inizi, di accompagnare mamma Maria ai santuari mariani di Maria Brunn e Altötting dove si recò in particolare nel 1934 in occasione della canonizzazione di san Corrado da Parzham. A Frisinga studiò teologia e venne ordinato sacerdote. A Monaco fece i primi passi nella cura d’anime nella stessa parrocchia dove alcuni anni prima era presente padre Alfred Delp, ucciso dai nazisti per la sua testimonianza cristiana. Regensburg, infine, la tappa conclusiva del suo insegnamento teologico, egli la considerava l’approdo definitivo della sua vita. Qui abitava già il fratello, divenuto direttore del famoso coro dei Passeri di Regensburg. Qui si fece edificare una casa per trascorre il resto dei suoi giorni insieme con il fratello e la sorella. Allargando brevemente lo sguardo alla Germania bisogna subito aggiungere che se Ratzinger rivendicava la sua origine bavarese egli fu successivamente professore a Bonn, Münster e Tubinga. Il suo affetto, dunque, si estese all’intero Paese, a tutta una generazione di professori e studenti amici, all’intera Germania. Va anche aggiunto che nei suoi anni di insegnamento egli costituì lo Schülerkreis, un gruppo di studenti che si riuniva presso di lui per informarlo delle loro ricerche, degli sviluppi del pensiero in campo letterario, filosofico e teologico. A questi incontri egli rimase fedele dopo il suo approdo a Roma, e anche negli anni del pontificato. Dalla Baviera, dunque, il suo affetto si estese all’intera Germania e anche all’Europa e ai Paesi dell’America latina.

L’approdo a Roma nel 1981 avvenne per la volontà di Giovanni Paolo ii che lo aveva conosciuto durante il concilio Vaticano ii e nutriva grande stima e affetto nei suoi confronti. Come scriveva a conclusione della sua autobiografia in occasione del suo settantesimo compleanno nel 1997: Da allora — si riferiva al 1981 — io ho portato il mio bagaglio a Roma e ormai da diversi anni cammino con il mio carico per le strade della Città eterna». Non immaginava che sarebbe stato chiamato a succedere a Giovanni Paolo ii e a rimanere nella capitale italiana per la vita. Roma è diventata così la città dove egli ha vissuto più a lungo, imparando a conoscere i romani, l’Italia e gli italiani. Mi confidava in occasione di una mia visita subito dopo il suo trasferimento al monastero Mater Ecclesiae dopo le sue dimissioni: «Cosa vuole, io ho qui i miei libri, i fedeli compagni di una vita, da qui vedo ogni giorno il cupolone. Da qui sono in comunione con l’intera Chiesa. Questo è per me già l’inizio del paradiso».

Vi era inoltre l’amore per la cultura italiana. Nelle ultime opere, perfino nella sua prima e più importante enciclica, viene citato il versetto conclusivo della Commedia di Dante: «L’amor che move il sole e l’altre stelle».

Non si può concludere questa rapida rassegna senza un accenno all’amore di Papa Benedetto per la Chiesa universale. Ne diede ampia prova nella partecipazione come perito al Vaticano ii. Scriveva al riguardo il teologo Congar nel suo diario conciliare: «Per fortuna c’è Ratzinger. È ragionevole, modesto, disinteressato, di buon aiuto». Amava, in particolare, la fede dei semplici. Di questi egli scriveva: «I poveri e i semplici di cuore sono il tesoro più prezioso della Chiesa». E invitava gli amici teologi ad averne parimenti rispetto e affetto: il servizio alla loro fede è quanto di meglio si può fare per il rinnovamento della Chiesa. Con lo stesso spirito diresse la redazione del Catechismo della Chiesa cattolica, che venne portato a termine in un tempo relativamente breve e venne accolto favorevolmente dai fedeli del mondo.

L’identica raccomandazione egli ha poi rivolto ai sacerdoti ai quali ricordava che il loro compito principale era quello di restare alla presenza di Dio e nello stesso tempo di essere al servizio dei fedeli per mantenere viva la fiaccola della fede e della speranza.

Come già accennato, dopo le dimissioni il Papa emerito si stabiliva nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano. Più volte mi ha confidato di non ritenere che l’attesa dell’incontro con il Signore sarebbe durata così a lungo. Personalmente sono convinto che il Signore gli abbia chiesto un ultimo sacrificio, un’ultima testimonianza a favore dell’unità della Chiesa, in particolare a favore della Chiesa del suo Paese, la Germania. Un’ultima parola va detta a testimonianza della stima e dell’affetto che univa Papa Benedetto e il suo successore Papa Francesco. Soprattutto nei primi tempi Papa Francesco si recava spesso a salutarlo, gli chiedeva consiglio e preghiera. A sua volta Papa Benedetto lo accoglieva con il rispetto dovuto al Pontefice in carica e nelle sue preghiere non mancava di chiedere al Signore di sostenerlo nel suo ministero universale.

Elio Guerriero