· Città del Vaticano ·

Nella spiritualità ebraica

Speranze comuni
per il futuro

 Speranze comuni per il futuro  QUO-293
23 dicembre 2022

Mentre il 2022 sta volgendo al termine, mi viene in mente un testo rabbinico. Il Talmud Babilonese, nel trattato Sanhedrin 98a, riporta il racconto, una haggadah, di un certo rabbino che viene a sapere che il Messia è alle porte della città di Roma, dove è seduto tra i poveri e malati. Il rabbino, Yehoshua ben Levi va dal Messia e gli chiede quando verrà a rivelare se stesso. La risposta è “oggi”. Tuttavia, quel giorno il Messia non appare. Il rabbino Yehoshua ha una conversazione mistica con il profeta Elia. Gli dice: «Il Messia mi ha mentito, poiché mi ha detto “vengo oggi”, ma non è venuto». A questo Elia risponde, con riferimento al Salmo 95, 7: «Ha detto che viene oggi se odi la sua voce».

«Udire la mia voce» è un’espressione spesso usata nella Bibbia per dire obbedire o comprendere un comandamento. Contiene il verbo ebraico lishmoa, che significa ascoltare o obbedire a un comandamento (per esempio in Deuteronomio 8, 20; 13, 19; 15, 5), oppure comprendere qualcosa che viene detto (come in Genesi 11, 17). Pertanto, la risposta del popolo d’Israele nel ricevere i comandamenti di Dio in Esodo 24, 7 viene spesso tradotta con «Noi faremo tutto quello che il Signore ha detto e ubbidiremo», ma potrebbe essere resa anche con «faremo e comprenderemo».

L’applicazione di questa consapevolezza al racconto talmudico suggerisce che quello che il Messia stava dicendo al rabbino era che è quando le persone finalmente comprenderanno e ubbidiranno ai comandamenti di Dio che verranno i tempi messianici. Il rabbino Yehoshua è vissuto nel iii secolo, dopo due sanguinose rivolte condotte dagli ebrei della Giudea contro l’Impero Romano. La prima, nel 66-70, aveva portato alla distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio. La seconda era stata la cosiddetta rivolta di Bar Kokhba del 132-135. Dopo quel conflitto l’imperatore Adriano spopolò la Giudea, le cambiò il nome in Syria Palaestina e bandì l’ormai fortemente ridotta popolazione ebraica locale dal sito del Tempio distrutto (fatta eccezione per il giorno in cui se ne commemorava la distruzione). Successivo a quei fatti, il racconto rabbinico sul Messia e il rabbino Yehoshua era pertanto diretto ai sentimenti di impotenza degli ebrei riguardo alla loro situazione. Gli ebrei dovevano di nuovo intensificare il loro impegno a vivere secondo la parola di Dio nella Torah.

Come è noto, prima della prima rivolta del 66-70, sotto il giogo della dominazione romana in Giudea c’erano stati decenni di tumulti. Molti si domandavano quando sarebbe sorto un Messia. È in quel doloroso primo secolo che fu composto il Nuovo Testamento. In esso sono descritti sia Giovanni il Battista sia Gesù mentre esortano le persone a pentirsi e a convertirsi a Dio con più fervore perché i tempi della redenzione sono vicini. Quello stesso messaggio riecheggiò secoli dopo nel racconto del rabbino Yehoshua e del Messia alle porte di Roma.

A me sembra che ebrei e cristiani abbiano in comune la convinzione che le azioni dell’individuo e della comunità contribuiscano alla redenzione di Dio. Gli ebrei parlano della venuta di un tempo messianico (Yemot HaMashiach), mentre i cristiani attendono la parousia, il ritorno di Cristo. Ma, come ha affermato un documento vaticano nel 1985, noi ebrei e cristiani dobbiamo assumerci «la nostra responsabilità di preparare il mondo alla venuta del Messia, operando insieme per la giustizia sociale, per il rispetto dei diritti della persona umana e delle nazioni, per la riconciliazione sociale e internazionale». Entrambi confidiamo che un giorno tutti «udranno la voce» del loro Creatore.

Ogni giorno gli ebrei pregano per la venuta del tempo di redenzione. Lo anelano in modo particolare a Pesach, ricordando la prima redenzione degli ebrei quando Dio li liberò dalla schiavitù in Egitto. Ogni giorno i cristiani pregano il Padre celeste dicendo «venga il tuo Regno». In ogni liturgia celebrano la loro fede nella “Pasqua” di Cristo dalla schiavitù della morte alla nuova vita. Ritengo che oggi l’affinità spirituale in questi parallelismi sia più che mai importante.

La guerra in Ucraina ha troppe analogie con il periodo della seconda guerra mondiale, con tutti i suoi abomini. Mentre la povertà e la fame crescono nel mondo a causa dell’incuria e dell’indifferenza di tanti di coloro che hanno potere, tutti noi ci troviamo di fronte a rischi nucleari e ambientali. Noi ebrei e cristiani abbiamo la responsabilità religiosa di lavorare insieme per affrontare questi problemi, unitamente alle altre persone di buona volontà. La capacità di cambiare, di udire la parola di Dio, è sempre in nostro potere. Le nostre speranze messianiche, distinte ma risonanti, danno significato all’esistenza del cosmo e di ognuno di noi.

Spero che queste riflessioni di un fratello ebreo possano in qualche modo essere un contributo alle osservanze di quanti stanno per commemorare la natività di Gesù. Shalom! 

di Abraham Skorka