· Città del Vaticano ·

Guardare, essere guardati

Il mistero
di un Dio bambino

 Il mistero di un Dio bambino  QUO-293
23 dicembre 2022

Domani sera gli occhi di milioni di cristiani sparsi nel mondo saranno rivolti verso un piccolo bambino che giace inerme in una mangiatoia dentro una grotta. Il Natale è la festa della nascita, della vita, di un Dio che si fa carne, un Dio bambino. È la festa dell’incarnazione, la festa di tutti i bambini. I cristiani guardano al Bambino ma sanno che quel loro sguardo non è primo ma secondo, non è una iniziativa ma una risposta, non un agire ma un restituire, perché sanno che prima di guardare essi sono stati guardati, che l’iniziativa è di Dio, che ci ha guardati, cioè pensati, concepiti, creati, scelti, perdonati, in una parola “amati”: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4,v10). È uno sguardo di fede quello che i cristiani compiono a Natale adorando e pregando Gesù Bambino e la fede è una risposta, è un amen, un sì al sì di Dio.

Occhi rivolti alla grotta ma anche (e prima) occhi che da quella grotta si rivolgono a noi, gli occhi del Bambino che da quella grotta ci guarda.

Anche oggi, nelle tante Betlemme del mondo, i bambini ci guardano. E ci interrogano. Betlemme oggi è non solo in Palestina ma anche in Ucraina, dove i bambini, come ha osservato Papa Francesco, stanno perdendo il sorriso (che è la firma inconfondibile dell’infanzia); nel Mediterraneo, dove ogni giorno bambini nascono e muoiono tra i flutti di un mare non culla ma cimitero, ma anche nello Yemen come in Siria, in Iran come nel Myamar, in Nigeria come nel Sud Sudan... decine e decine di luoghi teatri di conflitti, che in Occidente si tende a rimuovere, dove ci sono bambini che invece di essere accolti, invece di rappresentare il futuro e la speranza, mostrano con la loro carne ferita o uccisa tutta l’assurdità di un presente fatto di violenza, di chiusura e di rifiuto.

Un bambino chiede essenzialmente di essere accolto e così fa Dio nel grembo di Maria. E l’accoglienza non è scontata. È un dramma il Natale, prima ancora di essere una festa piena di luci e distrazioni. È la Notte Santa il Natale ma resta una notte. Per vedere la luce, quella vera e definitiva, dobbiamo aspettare l’alba della domenica di Pasqua. Ora siamo ancora nell’ombra della notte. Così è stato in quel primo Natale dove la luce divina ha fatto breccia nella nostra oscurità e così anche oggi: un dramma che ci scuote e ci sfida ad avere testa, mani e cuore attenti, liberi, grati e operosi.

Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury dal 2003 al marzo 2013, coglie questa potenza drammatica in modo sobrio e acuminato, come solo la poesia sa fare, in questi versi dedicati all’Avvento e al suo approdo finale, quella scena di Betlemme che tutti i cristiani domani sera guarderanno, ri-guardati, con trepida attesa e fiduciosa speranza.

di Andrea Monda


Advent Calendar

Verrà come la caduta dell’ultima foglia.
Una notte quando il vento di novembre
ha flagellato gli alberi all’osso, e la terra
si sveglia asfissiando dalla muffa,
dal dispiegarsi del morbido sudario.
Verrà come il gelo.
Una mattina quando la terra rattrappita
si apre sulla nebbia, per trovarsi
bloccata nella rete
di una bellezza sconosciuta, affilata.
Verrà come il buio.
Una sera quando il sole rosso fiammante
di dicembre tira su il lenzuolo
e copre il suo occhio con una moneta per mietere
i campi di cielo nevicati di stelle.
Verrà, verrà,
verrà come pianto nella notte,
come sangue, come rottura,
non appena la terra si dibatterà per liberarlo.
Egli verrà come bambino.