
Vengono dalla Nigeria, dalla Sierra Leone e da altri Paesi dell’Africa occidentale. Sono i lavoratori edili, molti senza documenti, impiegati nella nuova città di Diamniadio, in Senegal. Situata a una trentina di chilometri a est di Dakar, ospiterà le sedi dei ministeri, dell’ufficio regionale delle Nazioni Unite, un centro conferenze, oltre ad edifici residenziali, perché l’area urbana della capitale — che occupa quasi interamente la penisola di Capo Verde ed è circondata dal mare a nord, ovest e sud — accoglie già quasi un quarto della popolazione senegalese, che conta più di 15 milioni di abitanti.
Attualmente Diamniadio è un cantiere a cielo aperto, con molte strutture ancora incompiute. Grande è la richiesta di manodopera, tant’è che nella zona si riversano decine e decine di operai stranieri. Vivono perlopiù in piccoli accampamenti precari, anche con venti persone per stanza, lavorando per circa quattro dollari al giorno. Raccontano all’agenzia Afp di uscire ogni mattina intorno alle 4.30, per camminare pure un’ora e mezza fino al posto di lavoro. Una volta arrivati, riposano all’esterno del cantiere, tentando di ricuperare le energie per iniziare il turno, che dalle 7.30 dura fino alle 20.30. A volte vengono trasferiti da un sito in costruzione all’altro, a seconda delle esigenze. Quindi, a fine orario, tornano a casa. Una routine di 30 giorni al mese. È il prezzo della fatica, che permette di inviare a casa il massimo del denaro possibile. (giada aquilino)