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Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-005
03 dicembre 2022

I “canti dalle periferie” cominciano ad andar stretti in due sole pagine. Perciò, a partire
da questo numero, cercheremo di dare più spazio alle tante voci che gli amici che vivono nel bisogno ci regalano ogni mese. Inoltre, due piccole novità. La prima è quella che speriamo
possa diventare una rubrica fissa (“L’angolo delle certezze perdute”) nata dall’incontro con Furio, un uomo accolto nella casa della Caritas di Santa Giacinta a Roma, che ci racconta
le tante, piccole cose che, per chi vive in strada, non sono più scontate. La seconda è il contributo di una lettrice dell’Osservatore di Strada — ha scelto di firmarsi in questo modo — che,
così com’è per tutti i “canti” pubblicati in queste pagine, ci aiuta a leggere nella gioia
e nello stupore del Natale l’invito a farsi prossimi all’altro, a chi è in difficoltà e chiede aiuto,
non solo per un giorno, ma per tutto l’anno.

Scartati?
Sì, ma non come cioccolatini

Natale, festa dei regali, degli abeti adornati con le palline colorate e qualche lumicino, dei messaggini inviati col telefonino, insomma un Natale falso e pagano. Coloro che vivono il Natale come si dovrebbe sono gli scartati, i senza casa, i poveri, gli emarginati, chi vive in strada, cioè coloro che più di tutti vivono anche in questo periodo di festeggiamenti nelle stesse condizioni della Madonna e san Giuseppe: erranti nella gelida notte quando cercavano un alloggio, senza trovarlo, per far nascere Gesù.

Solo rifiuti e futili scuse per i due in cerca di un posto caldo e accogliente, finché si dovettero accontentare di una stalla riscaldata dall’alito di un bue e di un asino, allietati dal canto dei pastori e dal belare delle pecorelle. In sostanza, come quel vero simbolo della Natività proposto per la prima volta dal Poverello di Assisi in quel di Greccio, in provincia di Rieti, più o meno otto secoli fa. All’epoca erano personaggi in carne e ossa a rappresentare la notte in cui venne al mondo il Salvatore: nacque il presepe!

Chi meglio degli scartati può vivere appieno il Natale in semplicità? Forse ci sarà qualche amico o parente che si ricorda di far loro gli auguri oppure di invitali a mangiare un pasto, seduti attorno a una tavola apparecchiata con cura. Forse sì o molto probabilmente anche no. Perché gli scartati non servono a niente e a nessuno.

I regali si fanno ai bambini, ai figli di quelle persone che tornano utili per la carriera o per la vita sociale e gli auguri pieni di ipocrisia altrettanto.

Solo gli emarginati restano soli coi loro pensieri e le loro angosce. Nessuno li cerca; a parte qualche associazione di volontariato che porge loro una mano, un pasto caldo o una coperta in più.

Gli scartati, sì, che vivono appieno il significato di stare al freddo e al gelo alla maniera di come venne al mondo Gesù Bambino.

L’anno scorso, proprio di questi tempi, ho letto su un libretto di meditazioni questa frase attribuita a Papa Francesco: «Natale sei tu, quando decidi di nascere di nuovo ogni giorno e lasciare entrare Dio nella tua anima». Ricordiamo queste parole e quelle del Salmo 41 quando recita: «Beato l’uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera».

Quindi, dopo aver scartato i regali, ricordiamoci di pensare anche agli scartati.

La rinascita da vivere ogni giorno

Natale: giorno di bella speranza, di rinascita, di regali, di rapporti umani. Ma è veramente così?

Chi riesce veramente a vedere e a vivere tutte queste cose?

Quando si guarda intorno, Mimmo scorge troppa superficialità, troppo abbandono. La nascita di Gesù, il Dio salvatore incarnato, è il punto essenziale per ogni cristiano. È la discesa di Dio in mezzo a noi.

Lo hanno riconosciuto i puri, i pastori e alcuni saggi che hanno visto in lui il vero redentore e gli hanno offerto doni di una certa importanza. Gli altri, chiusi in se stessi, non sono riusciti a capire il motivo della sua venuta. Lo hanno visto come una persona da combattere – minava il sistema –, o come una persona da idolatrare per vantaggi personali – faceva miracoli.

Chi è riuscito e adesso chi riesce a seguirlo per fede, ascoltando la sua parola?

Oggi, in questo mondo pieno di abitudini, di materialismo, di interessi personali, quanti sono capaci di rivivere la festa della nascita per quello che è veramente?

È diventato quasi normale festeggiare il Natale gozzovigliando e facendosi regali di vario tipo.

Si è perso il senso di questa ricorrenza. Ovvero, l’incarnazione del Verbo che ci è venuto a salvare!

Il Natale nasce come festa religiosa, però Mimmo, non sentendosi legato ad alcuna religione, vuole fare delle precisazioni. La nascita di Gesù è una cosa importante perché rappresenta una svolta in un mondo privo di senso, pieno di egoismi e di falsità. E il Natale rappresenta la rinascita che dovremmo vivere ogni giorno.

Nel cuor suo, Mimmo si ripete sempre: “Mi stai portando chissà dove, ma io ti seguo lo stesso. Non mi interessa quello che mi succederà, sia nel bene che nel male, perché so che sei qui con me”.

È un pensiero fisso, specialmente da quando ha iniziato il suo percorso di viandante dell’amore, che lo rende pieno di gioia.

Una festa per tutti

Quanti ricordi suscita il santo Natale. Ci vengono in mente i tanti Natali passati con le nostre famiglie, con le persone care, le mamme e le nonne intente a cucinare tante cose buone, il panettone, la neve, i regali sotto l’albero da scartare rigorosamente a mezzanotte, la santa messa nella parrocchia sotto casa. Beh, tanti ricordi, tante aspettative, tanta gioia include il Natale.

Ma per chi vive solo e in difficoltà? Per chi è ai margini delle nostre città? Per i poveri e gli scartati come è il Natale? Come lo vivono? Come percepiscono questa santa festa?

Diciamo che forse per chi è in difficoltà sociale, per i più poveri, gli ultimi, molte feste, molte ricorrenze quasi non esistono più, purtroppo. Pensare dove andare a dormire per non restare in strada, dove lavarsi, dove mangiare, come fare a vivere, anzi, a sopravvivere giorno per giorno, logicamente include, purtroppo, il dimenticare quasi che quel giorno è Natale.

Questo ci deve far riflettere: se durante le giornate normali i poveri si sentono soli, abbandonati, esclusi, scartati, figuriamoci come si sentono in questa festa così solenne e importante per tutto il mondo cristiano e non solo: ancora più soli, senza una casa, senza una famiglia vicina a loro che gli possa dare quel calore che meritano, quell’amore che solo chi vive giorno per giorno a contatto con questa triste realtà sa donare senza se e senza ma.

Allora, cari amici lettori, è proprio in queste giornate così importanti come il santo Natale che dobbiamo fare di più per chi è ai margini delle nostre città. Dobbiamo donare ancora più vicinanza e amore a queste persone che si sentono sole e abbandonate. Dobbiamo dar loro la nostra mano e il nostro amore incondizionato, regalare il nostro sorriso, far sentire loro che, anche se stanno sotto a quel colonnato, sopra quel marciapiede, dentro quella struttura, noi siamo con loro. Dobbiamo ascoltare il loro dolore, ma anche la loro speranza e condividere con loro la loro croce.

Condividere è un termine che non tutti hanno ben capito e che non tutti riescono a fare. Ognuno di noi, nel suo piccolo, nel modo che ritiene più giusto e opportuno, non solo nella giornata del Santo Natale, ma sempre, faccia sentire a chi vive in difficoltà, ai poveri, a chi si sente uno scartato, che non è così. E nella notte del santo Natale, in cui Gesù, nato da Maria, viene al mondo per salvarci dai nostri peccati, portiamo loro il sorriso, la carezza, la speranza di Dio, che ci ama tutti, e facciamo loro sentire che non sono soli.

Il mio augurio di un Santo e felice Natale va a tutte quelle persone che sono ai margini delle nostre città.

“Volemose bbene”

Al pari dell’estate – di cui, pure, da queste colonne abbiamo parlato – anche il Natale è di nuovo tra noi.

Ed anche se, a rigore, la festa più importante della cristianità dovrebbe essere la Pasqua, il Natale si è conquistato una bella posizione da cui insidia il primato. Molto è dovuto al fatto che da parte laica è stato trasformato in una grande celebrazione del consumismo più sfrenato, durante la quale ci si può/deve impegnare a dilapidare in regali inutili e sgraditi ai destinatari la tredicesima, prima ancora di riscuoterla.

Per stimolare questa pratica, i negozi nel corso del tempo hanno anticipato sempre più il momento in cui addobbare le vetrine in stile festaiolo; si è ormai arrivati addirittura a novembre e quest’anno, complice forse l’esigenza di recuperare i mancati incassi del tempo di pandemia, qualcuno ha bruciato le tappe a ottobre.

Proprio durante la messa del 1° novembre dell’anno scorso, chi scrive ebbe forse la sua più forte crisi di sconforto da che è in strada: gli veniva da pensare che anche lui, quand’era a casa, all’arrivo di novembre preparava gli addobbi: luminarie, albero, presepe.

La crisi, per sua fortuna, fu prontamente superata grazie all’intervento affettuoso di una persona carissima che gli sedeva accanto e da una turista tedesca, che gli offrì un fiore di quelli che servivano per la liturgia di quel giorno, rivolgendosi in un “impeccabile” italiano: “Prende mio fiore, perché tu è molto triste, ja!”.

Ed eccoci al punto: chi è scartato, come regalo, preferirebbe piuttosto diventare pietra angolare, non fosse altro che per evitare di doversi mettere al collo un’altra pietra e tuffarsi nel più vicino corso d’acqua.

Ma questo non si ottiene in occasione di una festa all’anno, per bella che sia, si ottiene con un impegno paziente ogni giorno, da parte sia degli operatori che degli assistiti. Come, appunto, la Pasqua: non celebriamo solo quella annuale, ma anche quella settimanale, quella Pasqua domenicale che è la Santa Messa.

A Roma si usa una bella locuzione, talmente bella che anche Giovanni Paolo ii citò e fece sua: “Damose da fa’!”. Perché a sfasciare tutto e sprofondare si fa in un attimo; per ricostruire e risalire ci vuole tanta fatica, energia — fisica e mentale — e occorre sentire l’affetto che dà fiducia ed autostima.

E allora, sulle note della “Christmas time is here again” (appunto, “Il Natale è di nuovo qui”) di beatlesiana memoria, ci salutiamo e ci facciamo gli auguri come si usa a Roma: “È Natale: volemose bbene”.

A Roma
bella e antica

Pum, pum, pum, Natale.

Così, di felicità, batte il mio cuore.

Natale, la festa della nascita.

Gioisce il mio cuore

di vecchio bambino

guardando strade e viali qui, a Roma,

tutti pieni di sfere colorate

coi mille colori dei fiori.

Che gioia per il mio cuore.

Io, il vecchio bambino che sento

sempre affiorare, lieto,

io, che ho percorso mille sentieri,

sento la mancanza dei re magi

che una volta andarono a Betlemme

portando doni.

Con i miei fratelli,

molti dei quali indifesi,

sogniamo di giocare a tombola,

i nostri regali, i dolci, le cioccolate.

Qui viviamo come fratelli,

in questa comunità,

aspettiamo tutti insieme,

in questa casa condivisa.

Fin da bambino sognavo

di condividere i miei sogni

con i grandi pensatori

che tutto sapevano.

Anche il mio viaggio in questa Roma

dell’antichità e di Marco Aurelio.

Dio mi ha mi ha cucito addosso

questo desiderio.

Come diceva il poeta A. Machado:

Viandante non c’è sentiero.

Il percorso si fa camminando.

Dal grembo di mia madre,

lì ho cominciato a cantare l’antica

e bella Roma.

Ho cominciato a dipingere

e qui aspetto Natale

con la voce di migrante che porto

nel cuore

e col sangue dei migranti

che pittura ogni terra che toccano.

Qui ho iniziato a cantare.

Perché io continuo sempre ad amare

amore e libertà.

Una cella
meno fredda

La capanna è il luogo centrale del presepe. Ma oggi, per milioni di persone, continua a essere rifugio o abitazione. Sono capanne fatte di cartoni, legni, lamiere che, attenzione, non troviamo solo nelle perdute foreste, ma anche nelle grandi capitali. A Roma, le baracche, i cartoni, sono presenti per dare una impropria casa a tante persone. Mentre utilizziamo miliardi per gli armamenti non ci si impegna ad eliminare queste situazioni.

Ma la capanna o la baracca è presente in Italia anche in modo strutturato. Le celle che custodiscono persone si possono paragonare a queste situazioni-limite per il decoro di una persona? Lasciamo il punto di domanda, ma tentiamo anche una risposta: quattro detenuti, in uno spazio solitamente previsto per due, quando devono consumare i pasti non possono più muoversi. C’è una zona bagno dotata di wc e lavandino con acqua fredda che serve per le stoviglie, per lavare gli indumenti, la verdura, e lavarsi quando ti svegli. In quello stesso spazio devono trovare posto anche un fornello da campeggio per cucinare e un armadio a un’anta dove mettere tutti i tuoi abiti che, una volta lavati, devi appendere alla finestra sperando nel raggio di sole, perché il calorifero è perennemente insufficiente. C’è poi un frigorifero per 60 persone, pieno di sacchetti dei singoli che arricchiscono il cibo con prodotti propri. E poi un locale doccia dove, quasi sempre, le norme igieniche sono carenti, anche se c’è l’acqua calda.

Questa è la capanna, la baracca che in Italia lo Stato gestisce per oltre 54.000 persone di cui una ottantina (circa), nell’anno in corso, si sono uccisi. Una capanna dove custodi e custoditi soffrono carenze di ogni tipo, a partire dal non rispetto della singola persona.

Tanto altro si potrebbe aggiungere, comprese le cose buone legate alla presenza dei cappellani, degli insegnanti, dei volontari.

In questo clima natalizio, perché non operare per favorire un incremento degli incontri tra le famiglie, con i figli, con i genitori? Sono cose semplici. Ma non si fanno. La burocrazia la vince sempre. Certo, si può telefonare, ma poi si scopre che le strumentazioni non reggono la richiesta. Possibile? Sì, siamo nel 2022, ma nelle carceri tutto è diverso e non c’è neppure uno scambio di esperienze.

Ecco, affinché il Natale sia in una cella meno fredda favoriamo gli incontri personali. Non si costruiscano nuove carceri, ma ci si impegni a costruire e fortificare le persone, tenendole vicine alle famiglie, togliendole dall’ozio, garantendo quell’impegno manuale che fa cambiare la via.

Allora la capanna sarà il luogo di pensieri meno afflittivi e più consoni alla Speranza che il Natale alimenta.

Il calore dei loro cuori

Sto qua

sulla strada.

Seduto sotto

i grandi archi

aspetto

il Salvatore

di nome Gesù.

Sento le voci

della gente,

il freddo,

l’umido

della gente

che dorme

in strada.

Sento la parola

di Dio

nel cuore

che mi fa

riconoscere

l’umiltà di quella povera gente

che vive in strada.

Mi fa sentire

il calore dei loro cuori che riscalda

il cuore di Gesù.

Mi fa sentire

il calore del Natale.

Non so come ci si sente vicino a Dio
ma so che c’è
bisogno di amore

Viviamo cercando la felicità nelle cose materiali. Crei una famiglia, fai dei figli. Ti senti appagato, realizzato, ti convinci che la vita ti stia dando tutto e pensi di essere felice.

Poi, un giorno (apparentemente) come un altro, cominci a sentire che dentro di te manca qualcosa, ma non sai dirti cosa. Cominci a sentire del vuoto e cerchi di riempirlo con qualcosa. È un crescendo di cose materiali: macchine, donne, droga, alcol. Ma ti resta sempre quel vuoto, quella sensazione, quel senso di inutilità.

Poi, mentre cammini, vedi per la prima volta con occhi diversi alcune persone (bambini, ragazzi, anziani) che soffrono. Ti avvicini, li osservi, cominci a vedere le loro sofferenze, le loro solitudini, le loro povertà, la loro tristezza. Ti avvicini sempre di più e cominci a toccare con mano le loro sofferenze e inizi a capire che, in qualche modo, hai anche tu quelle sofferenze (la solitudine). Allora gli regali una parola dolce, di conforto e mentre cerchi di confortarli capisci che stai parlando a te stesso. In quell’attimo senti qualcosa dentro di te che ti fa stare bene.

La sera torni a casa e, nel metterti a letto, i tuoi pensieri tornano a quelle persone, ti senti bene, leggero, come se il tuo cuore si fosse aperto al mondo soltanto regalando un sorriso, una carezza. Vivi un attimo dolcissimo.

Credo che quella situazione dolce di appagamento nasca dal fatto di aver donato amore, speranza. Quell’amore vero che non chiede in cambio nulla. Continui a donarlo a chi ne ha più bisogno, ai più poveri, agli ultimi, a quelli che ti chiedono soltanto di stargli vicino per un attimo. Nell’aiutarli ti accorgi che quel vuoto si sta riempiendo. La sera dormi sereno, pieno di gioia, la tua anima sembra volare. Ti accorgi e senti che più amore dai più senti che ne ricevi. Senti che la tua vita comincia ad avere un senso. Un senso di utilità che gira intorno all’amore.

Io non so come ci si sente vicino a Dio. Posso solo dire che quando riesco a regalare un sorriso di speranza, mi sento in pace con me stesso, con il mio Io più profondo. Sento di essere felice con il mio essere.

In questi giorni che verranno, nei quali si avvicina (così si dice) la nascita del salvatore, i miei pensieri sono ancora una volta dedicati a loro, sperando che questa volta sia più di una speranza, più di un sogno. Ne hanno bisogno.

Buon Natale a tutti.

Stefano Cuneo

Mimmo

Angelo Zurolo

Fabrizio Salvati

Erwin Alfredo Bendfeldt Rosada
(traduzione dallo spagnolo)

s.c.

Agostino

Domenico