Rifiuto radicale della guerra
Per la Santa Sede «assicurare la pace significa promuovere strumenti di dialogo, di negoziazione e incoraggiare gli sforzi per raggiungere un effettivo disarmo». Lo ha rimarcato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, intervenendo, mercoledì 23 novembre, all’apertura della 98a assemblea dell’Unione dei superiori generali (Usg). I lavori, in corso alla Fraterna Domus di Sacrofano, hanno per tema: «“Fratelli tutti: chiamati a essere artigiani di pace”. Il ruolo della Chiesa nella promozione della pace nel mondo».
Il presule ha ripercorso gli insegnamenti dei Papi e del magistero della Chiesa, spiegando che in particolare Francesco, fin dall’inizio del pontificato, ha offerto una chiave di lettura «della profonda correlazione tra la missione della Chiesa e la ricerca della pace, indicandoci nel dialogo e nell’educazione le vie maestre della nostra testimonianza cristiana» in merito. Ha poi sottolineato che la missione della Chiesa è l’arte del «movimento verso la pace, tirando fuori» le persone, «le nazioni, i popoli dalla spirale della guerra, del rancore e dell’odio verso una vita riconciliata».
In questa prospettiva, la Chiesa «non cerca di limitarsi a istruire qualcuno sul tema della pace, ma si impegna a far crescere le persone, coinvolgendo tanto la sfera intellettuale quanto, soprattutto, quella morale e sociale dei rapporti e delle decisioni quotidiane per la pace».
Significativo è, a tale proposito, quanto ribadito da Papa Bergoglio nel 2015, in occasione dell’incontro con i membri dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: «Lo sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana — disse — non possono essere imposti. Devono essere costruiti e realizzati da ciascuno in comunione con gli altri esseri umani e in una giusta relazione con tutti gli ambienti nei quali si sviluppa la socialità umana».
Monsignor Gallagher ha quindi ricordato l’istituzione della Giornata mondiale della pace, nel 1967, da parte di Paolo vi : la proposta di dedicare al tema il primo giorno dell’anno «non voleva essere un’esclusiva della Chiesa cattolica, ma intendeva incontrare l’adesione di tutti i veri amici della pace, come se fosse iniziativa di tutti e soprattutto di coloro che avvertono quanto bella e quanto importante sia la consonanza di ogni voce nel mondo per il raggiungimento del bene primario della pace».
D’altra parte, ha osservato l’arcivescovo segretario, la volontà di «agire quotidianamente per la riconciliazione», continua ancora a ispirare l’opera della Chiesa nel mondo e, pur con accenti diversi, le parole dei Pontefici. Infatti, l’insieme dei messaggi pontifici offre «una sintesi dei criteri che animano il ruolo della Chiesa nella ricerca e promozione della pace». Ciò implica, ha evidenziato monsignor Gallagher, «essenzialmente un rifiuto radicale della guerra». Ed è proprio il tema del disarmo che Giovanni Paolo ii affrontò, davanti al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 9 gennaio 1988, sottolineando che la comunità internazionale «dovrebbe realizzare il disarmo totale, in un contesto di distensione e cooperazione, perché solo un clima di crescente fiducia può garantire il successo del cammino verso nuove possibilità per il futuro».
Per tale motivo «occupando un ruolo peculiare nell’azione della Chiesa in favore della pace», la diplomazia della Santa Sede «si impegna per promuovere una nuova filosofia delle relazioni internazionali, centrata sullo sviluppo e la promozione umana», ma anche «sulla riduzione delle spese militari; sulla solidarietà disinteressata nel rispetto delle culture e delle tradizioni; e sulla preoccupazione di sviluppare la responsabilità e la libera partecipazione di tutti i soggetti della famiglia delle nazioni», ha assicurato Gallagher.
Durante il suo intervento, l’arcivescovo ha fatto notare che «una speranza di pace a misura umana è insufficiente per sostenere nella durata un’azione politica lungimirante e onesta», perché porta a rifugiarsi, al massimo, «nella ricerca del male minore o nella difesa di equilibri precari». Al riguardo, il presule ha indicato come icona positiva dell’autentica speranza cristiana nella ricerca della pace, quella di Abramo «nei confronti di una città proverbialmente presa a simbolo di ogni corruzione»: Sodoma. Essa è il prototipo di una civiltà in degrado; eppure il patriarca «non perde la speranza e intercede, supplica perché qualcosa di buono deve pur esserci anche in quella situazione».
Si può così dedurre che non «è neppure la quantità dei consensi ciò che più conta all’inizio dell’opera per la pace», quanto piuttosto «la presenza di un lievito capace di attaccare la pasta, di un sale non scipito, di lucerne non fumiganti». Ogni cristiano ha bisogno di tale speranza, soprattutto se opera in campi difficili, in particolare nella vita sociale e politica. «Chi vuole vivere integralmente il Vangelo — ha concluso il relatore — operando in mezzo al mondo deve accettare anche di far parte, non di rado, di una minoranza».