· Città del Vaticano ·

A Cremona un progetto di recupero di materiali da telefonini, computer e molti altri macchinari

Dai rifiuti elettronici possono arrivare
risorse preziose

 Dai rifiuti elettronici possono arrivare risorse preziose  QUO-266
21 novembre 2022

Alberto Tosoni, classe 1983, sangue svizzero-lombardo, è il “papà” ingegnere di questo ambizioso progetto di recupero e affinazione di metalli preziosi che avviene nello stabilimento di Spino d’Adda, in provincia di Cremona. «Quando nel 2012 ho avuto questa idea, mi hanno preso per un pazzo, un visionario, ma sono andato dritto per la mia strada perché sapevo che c’era molto di più di quello che avevo in testa — ci racconta —. All’epoca studiavo ingegneria al Politecnico di Milano, mio nonno aveva un laboratorio di raffinamento delle spazzature orafe e io guardavo incuriosito ogni step di lavorazione. Poi sono venuto a conoscenza di quelle nuove, tante miniere d’oro e altri metalli nobili che forse il mondo ancora ignorava. Sto parlando dei cumuli di rifiuti elettronici che l’umanità ormai da decenni produce a ritmi spaventosi: cellulari, computer, batterie, rifiuti industriali, macchinari usati nei laboratori, negli ospedali, e di ogni altro strumento che contenga una scheda elettronica, quindi ho pensato ad un sistema di recupero che non devastasse l’ambiente, non inquinasse, non sfruttasse i lavoratori, come ancora oggi avviene invece in tante parti del pianeta e mi sono lanciato in questo processo di costruzione di uno spin-off industriale che ha poi dato vita a Ecomet Refining».

Lo stabilimento e le fasi della lavorazione


Parliamo del più grande impianto in Italia, l’unico esistente in Europa e il solo che attualmente arriva a trattare duemila tonnellate di rifiuti all’anno in maniera totalmente sostenibile con pochissimo utilizzo di energia, senza dispersione in atmosfera di sostanze pericolose o inquinanti. In una tonnellata di queste materie sono contenuti circa 300 chilogrammi di metalli che vengono recuperati e altri 700 utilizzati come materiale per le fonderie di rame oppure nelle ditte di bitume per realizzare l’asfalto: nulla va perduto! «Ormai riceviamo materiale da tutto il mondo — spiega Mattia Gottardi, partner dell’iniziativa e responsabile delle relazioni istituzionali di Ecomet —. Proprio per questo a Treviglio si sta costruendo un nuovo impianto, 10 volte più grande di quello attuale, per arrivare a lavorare 20 mila tonnellate all’anno. Uno degli oggetti più particolari che è stato lavorato è senz’altro la batteria di un sottomarino, ma qui arriva di tutto, ecco perché una fase delicatissima dell’intero processo è proprio la cernita, la differenziazione dei materiali che viene eseguita a mano. All’inizio c’è sempre un’indagine radiometrica, la rilevazione del peso, la verifica visiva dello stato fisico. Secondo step è la triturazione e preparazione alla fusione in cui si verifica anche la composizione chimica. Dietro questo progetto c’è però una tecnologia unica in Italia riguardante la fusione che consente di fondere direttamente materiali di ogni natura rispettando i limiti ambientali di legge e evitando altri passaggi che potrebbero generare dispersione dei materiali da recuperare: il forno funziona infatti ad una temperatura di 1500 gradi e quindi non rilascia quelle diossine che solitamente si sviluppano negli inceneritori. Altra fase è l’analisi dei metalli preziosi; poi c’è l’affinazione e infine la fusione vera e propria che consente di ricavare l’oro, l’argento, il platino, il palladio in una forma pura e direttamente commerciabile sul mercato. Il 99,9 per cento di questi materiali viene recuperato. Pensate che da una tonnellata di vecchi cellulari, circa 5000, vengono ricavati più o meno 250-300 grammi di oro, per cui un bel guadagno se pensiamo alla valutazione sul mercato! E ricordo anche che tra il 6 e l’8 per cento delle riserve aurifere in tutto il mondo è contenuto in questi rifiuti elettronici».

Contro la logica dello scarto


Possiamo dire che lo stabilimento di Spino d’Adda lavora quasi in una logica anticipatoria di quelle che sono le parole del Papa nella Laudato si’ e del grande messaggio che lui ha voluto trasmettere richiamando le coscienze, sostiene Gottardi, «ma l’enciclica ci ha dato ancor più la spinta per proseguire su questa direttrice». «Il concetto stesso di recupero che noi applichiamo fisicamente viene ad arginare quella dilagante cultura dello scarto denunciata da Francesco che riguarda cose e persone, come se fossero assimilabili tra l’altro. Non è vero che tutto ciò che non serve o non è più utile deve essere buttato via. Altro punto cruciale è l’inquinamento. Ci sono metalli che possono rilasciare sostanze inquinanti nel terreno per anni, pensiamo al litio di cui sono composte le batterie degli smartphone. E poi c’è la questione dello sfruttamento dei minatori, in zone del mondo povere ma ricche ad esempio di giacimenti auriferi: queste persone lavorano in condizioni drammatiche, senza giusto salario, senza alcuna sicurezza, a contatto stretto con agenti chimici nocivi per la salute, scavano nel ventre della terra per portare alla luce quello che poi magari sarà trasformato in un orecchino o in un braccialetto venduto in una boutique in Occidente a centinaia, migliaia di euro. E questo non è più accettabile. Noi dobbiamo imparare a consumare responsabilmente e consapevolmente ciò che è già emerso dalla terra, perché prima o poi anche queste risorse finiranno e noi saremo, anzi siamo già, in pieno debito ecologico. Le risorse ci sono, la tecnologia anche, ma non possiamo più girare la faccia dall’altra parte e fare finta di niente. Esistono posti che sono delle discariche a cielo aperto di rifiuti tecnologici: l’85 per cento di questi rifiuti si trova in Africa che è già martoriata da innumerevoli piaghe. In Nigeria ci sono discariche grandi come città dove i rifiuti tecnologici vengono dati alle fiamme per recuperare magari cavi di rame e venderli, con nubi tossiche che persistono settimane e sprigionando sostanze che distruggono l’ecosistema di quelle zone per centinaia o migliaia di anni. Negli ultimi tempi c’è stato un percorso di avvicinamento con grandi aziende che stanno facendo della sostenibilità una bandiera, e il nostro obiettivo è riuscire a portare la tecnologia di Ecomet ovunque. Molte aziende hanno capito anche l’importanza di mostrare alla propria clientela che sono impegnate a pieno nel recupero dei rifiuti di questo tipo, è la cosiddetta svolta green, che ovviamente fa bene all’ambiente ma attrae pure profitti».

L’accordo con il Governatorato


L’eco delle parole di Francesco, i 7 obiettivi della Laudato si’, la logica del bene comune e non quella del denaro, hanno spinto i vertici di Ecomet a stringere accordi anche con il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. «Di recente — aggiunge Gottardi — ci siamo rivolti anche alla Santa Sede per presentare la nostra idea di sostenibilità ambientale e l’accoglienza è stata davvero buona. Insieme abbiamo pensato di estendere questo progetto alle scuole, alle istituzioni ecclesiali, agli ospedali, ai centri missionari, alle diocesi, le congregazioni e gli ordini religiosi, ovunque la Chiesa sia presente per poter avere una filiera di raccolta consapevole di queste risorse che altrimenti andrebbero sprecate e poi procedere al recupero attivando un circolo economico virtuoso. Abbiamo anche pensato a realizzare punti di raccolta dedicati al materiale tecnologico, che oggi non si sa nemmeno dove buttare con la differenziata, sia all’interno delle Mura Leonine che all’esterno, nelle zone limitrofe. Il punto di incontro è stato subito chiaro: lavorare questi materiali e ridonare risorse per fare del bene diffondendo anche una cultura e una coscienza diversa in merito alle questioni ambientali che nei giovani tra l’altro è più presente e viva che negli adulti, e questo il Papa lo sa, proprio perché le giovani generazioni sono più inclini al cambiamento. Dopo un colloquio con il cardinale Leonardo Sandri, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali e il dottor Torrini siamo arrivati ad un accordo e abbiamo già ricevuto una partita di diverse tonnellate dalla Città del Vaticano: computer dismessi per lo più, ma non solo, materiale elettronico che Ecomet provvederà a selezionare e recuperare. Si tratta di un progetto pilota che speriamo possa estendersi presto ad altre realtà. La capillarità della rete ecclesiale è un vantaggio anche dal punto di vista dell’educazione ambientale e dell’informazione su pratiche ancora sconosciute».

Economia positiva e economia circolare, punti di raccolta dedicati e ridonare risorse da destinare ai poveri è il cuore dell’accordo che Ecomet ha stretto con il Vaticano già all’avanguardia nella filiera dei rifiuti, dopo la creazione dell’isola ecologica, e nel recupero delle biomasse, un esempio virtuoso da esportare in altri Stati. «Piazza San Pietro, i Giardini, i Musei sono raggiunti e visitati ogni giorno da migliaia di pellegrini che arrivano da tutto il mondo e che oltre all’arte, alla storia, al valore religioso ne apprezzano la cura, il decoro degli spazi, la pulizia e anche appunto l’innovazione dal punto di vista dello smaltimento dei rifiuti. In giro per le strade di Roma o di altre città italiane non si trovano contenitori per lo smaltimento dei materiali tecnologici che puntualmente vanno a finire nell’alluminio o nella plastica senza pensare alle risorse che nascondono. Lo Stato Pontificio in questo modo darebbe l’esempio, veicolando anche informazioni che non si conoscono e che sono preziose per l’ambiente. Ogni volta che parliamo di questa tecnologia dal sapore etico alle altre aziende o multinazionali leader nel settore, dai fatturati stellari — conclude il legale di Ecomet — vediamo nei volti dei dirigenti un certo stupore e un grande interesse e ci rendiamo conto di aver fatto qualcosa di importante e di giusto…E pensare che all’inizio non tutti comprendevano la portata di questo progetto, spesso Tosoni si è sentito dare del matto, come stesse cercando la pietra filosofale, in realtà è riuscito a dare vita ad un’intuizione che può cambiare il mondo e che è più che mai urgente per salvaguardare la nostra Casa comune».

di Cecilia Seppia