· Città del Vaticano ·

Il cardinale Parolin per i 30 anni delle relazioni tra il Paese e la Santa Sede

La martoriata Ucraina torni
a essere un giardino fiorito

 La martoriata Ucraina   torni a essere un giardino fiorito  QUO-264
18 novembre 2022

«Auguriamo alla martoriata Ucraina che da deserto torni ad essere un giardino fiorito e diventi una foresta rigogliosa». Sulle parole del profeta Isaia il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha incentrato l’omelia della messa celebrata ieri pomeriggio, giovedì 17 novembre, nella basilica papale di Santa Maria Maggiore, in occasione del 30° anniversario delle relazioni diplomatiche tra il Paese dell’Europa orientale e la Santa Sede.

La commemorazione però, ha sottolineato il porporato, «cade nel momento in cui quasi nove mesi di guerra di ampie dimensioni hanno ridotto una parte del Paese a una rovina». Uno scenario di distruzione, sofferenza e morte che alimenta «la tentazione a cedere alla delusione e alla sfiducia» ha aggiunto. E qui il cardinale Parolin ha rilanciato la profezia di Isaia sul deserto: un annuncio «che osa contraddire» l’evidenza di «una delle realtà più aride e inospitali del nostro pianeta, ostile alla permanenza e alla vita stessa dell’uomo», infondendo al contrario coraggio e invitando alla fiducia. «Mentre tutti gli altri si scoraggiano piegandosi al pessimismo, proprio tra le macerie l’uomo di Dio intravede invece una strada per la ripresa, per la ricostruzione. Perfino il deserto potrà trasformarsi in un giardino ed il giardino diventare così rigoglioso da sembrare una foresta» ha spiegato il segretario di Stato.

Su questa speranza ha poi invitato alla preghiera per la martoriata nazione, nonostante il fallimento dei tentativi per riportare la pace o trovare soluzioni che conducano ad essa. «Ciò nonostante — ha detto Parolin — noi eleviamo a Dio la preghiera per la pace in Ucraina e in ogni Paese che soffre per la guerra, perché non venga a mancare la fiducia nelle sue promesse di vita e perché esse trovino presto compimento». Così, ha proseguito il porporato, «incoraggiati da questo desiderio divino di autentica fratellanza umana, innalziamo fiduciosamente la nostra supplica per chiedere allo Spirito Santo di donarci giustizia, pace, tranquillità e sicurezza».

«Gesù ci interpella con degli imperativi sconvolgenti, che mettono in crisi il nostro modo di reagire davanti al male», anche e soprattutto nelle vittime di violenza, sopruso e ingiustizia, che, pur animati dal naturale desiderio di giustizia, sviluppano «rancori e volontà di vendetta» ha affermato Parolin riflettendo sulle parole del “Discorso della Montagna” — riportate dall’evangelista Matteo — in merito al gesto di porgere l’altra guancia.

«Come può chiederci il Signore di non reagire ai prepotenti? Questo cedere alla sopraffazione non legittimerà forse ogni sopruso? Può la pace equivalere ad arrendersi all’ingiustizia, a rassegnarsi davanti all’aggressione?» ha domandato il cardinale ai presenti, rimarcando che «nel chiederci di porgere l’altra guancia, il Signore non intende domandarci di piegarci all’ingiustizia».

«Ed è questo il punto sul quale il Signore ci insegna a reagire con amore. Perché così com’è legittimo difenderci esternamente da chi intende aggredirci e sopraffarci, ancor più doveroso è difenderci interiormente dall’odio e dalla vendetta» ha aggiunto il porporato, specificando che la richiesta «corrisponde ad una giustizia superiore, che tutela un bene maggiore».

«Ciò che il Signore ci domanda non è ingiusto, allo stesso modo non è neppure impossibile» ha concluso Parolin, ricordando che «è lo Spirito Santo che fa rifiorire il deserto del nostro cuore, della nostra vita e del nostro mondo».

Era l’8 febbraio 1992 quando di comune accordo la Santa Sede e la Repubblica di Ucraina, «desiderose di assicurare in modo stabile ed amichevole i loro mutui rapporti», decisero «di stabilire relazioni diplomatiche», come riportato da «L’Osservatore Romano» il 9 febbraio. Su quell’edizione un articolo ripercorse la storia della presenza cristiana nella “Rus di Kyiv” e concluse affermando che le relazioni diplomatiche stabilite costituivano «idealmente la continuazione di quel dialogo ufficiale, iniziato nel 1919 e forzatamente interrotto» e «affondano le radici nella tradizione religiosa del popolo ucraino che, dal tempo di san Vladimiro, non ha mai interrotto completamente i rapporti con la Sede di Pietro».