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Hic sunt leones
Nel continente gli incidenti al volante uccidono più della malaria e dell’Aids

La sfida della sicurezza stradale in Africa

 La sfida della sicurezza stradale   QUO-258
11 novembre 2022

L’Africa è il peggior continente in termini di performance per quanto concerne la sicurezza stradale: il tasso di mortalità stimato è di 32,2 ogni 100.000 abitanti ed è quasi tre volte quello europeo. Qui gli infortuni stradali hanno un impatto maggiore rispetto a malattie come la malaria, la tubercolosi e — in alcune zone — l’Aids.

Come se non bastasse, le proiezioni, guardando al futuro, non sono affatto confortanti in quanto entro il 2030 il tasso africano potrebbe attestarsi attorno a 50 ogni 100.000 abitanti. È sufficiente dare un’occhiata alle tabelle pubblicate ogni anno da Global status report on road safety dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per comprendere la gravità della situazione. Il tema è così scottante che la stessa Banca mondiale ha pubblicato 4 report sulla sicurezza stradale in Africa, nell’ambito della Global Road Safety Facility (Grsf) con l’intento di contrastare l’attuale trend: la Road Safety Data in Africa , l’ Africa Status Report on Road Safety in Africa, la Road Safety Strategies for African Cities e la Road Safety Culture in Africa (con il contributo attivo della National Technical University of Athens), analizzando i risultati per la sicurezza stradale nel continente africano.

L’obiettivo principale di questi rapporti è sostenere la ricerca per raggiungere l’obiettivo di una riduzione del 50 per cento delle vittime della strada in Africa entro il 2030.

Naturalmente tutte le informazioni raccolte, in termini numerici e percentuali, vanno prese col beneficio d’inventario perché se da una parte esiste una forte richiesta di dati e informazioni che possano essere utilizzati nelle decisioni relative alla sicurezza stradale, dall’altra si rileva una mancanza di fonti affidabili e dettagliate sia per quanto riguarda i numeri su incidenti e vittime stradali, sia riguardo ai fattori che sono causa degli incidenti o che hanno un ruolo nelle conseguenze. Chiaramente, quando i dati ufficiali sono assenti o incompleti possono essere integrati con altre fonti. Rimane il fatto che la posta in gioco è alta. Pertanto è stato allestito l’African Road Safety Observatory (Arso), un portale web partecipativo sviluppato nell’ambito del progetto Safer Africa – Innovating dialogue and problems appraisal for a safer Africa, finanziato dal programma Horizon 2020 dell’Unione europea (Ue). Si tratta di un’iniziativa lanciata nel 2018 sotto gli auspici dell’Unione africana (Ua) e in conformità con la Carta della sicurezza stradale in Africa. L’obiettivo finale è quello di realizzare un solido corpus di dati, in gergo tecnico un big data, che possa essere utilizzato per monitorare e valutare le prestazioni riguardanti la sicurezza stradale nei Paesi africani, migliorando i processi decisionali e operativi da parte delle autorità competenti. Inoltre, questo progetto mira anche ad armonizzare gli indicatori di sicurezza stradale nei differenti Paesi africani. Ecco che allora Arso, almeno sulla carta, può essere considerato un valido strumento per aiutare i governi locali nell’organizzazione dei loro rispettivi osservatori nazionali.

Arso riunisce rappresentanti governativi ed esperti di sicurezza stradale nei settori dei trasporti e della salute per decidere sulle questioni chiave di governance e sulle priorità per il miglioramento dei dati, nonché per scambiare conoscenze, condividere le migliori pratiche e aumentare le politiche efficaci in tutto il continente. Si tratta di fatto di una vera e propria alleanza strategica per raccogliere, analizzare e condividere sistematicamente dati affidabili sugli incidenti stradali, per ridurre il numero delle vittime. Fin dalla sua nascita, l’Osservatorio ha anche beneficiato del sostegno della Banca mondiale, dell’Africa Transport Policy Program (Ssatp), della Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (Uneca) e del Global Road Safety Facility (Grsf, finanziato da UkAid e Total Foundation), nonché una stretta collaborazione con la Fédération Internationale de l’Automobile (Fia), il Forum internazionale dei trasporti (Itf) e la Banca africana di sviluppo ( Afdb). Detto questo c’è un problema rispetto a quanto detto finora: il dominio ufficiale di Arso — www.africanroadsafetyobservatory.org — al momento non è visibile online. Ci si augura che si tratti di una sospensione temporanea, vista e considerata l’attenzione che è stata data a questa iniziativa da parte di organizzazioni, enti e istituzioni internazionali.

La posta in gioco è alta se si considera che secondo le stime della Who, i Paesi africani hanno più di un quinto delle vittime di incidenti stradali nel mondo, sebbene rappresentino non un sesto della popolazione mondiale. Come abbiamo visto il tema del monitoraggio è centrale. Ad esempio, secondo l’Arso, il numero di vittime della strada in 13 Paesi africani non è cambiato dal 2016 al 2019. L’Arso ha contato 37.379 morti nel 2016 e 37.168 nel 2019. Statistiche della Who, tuttavia, forniscono una versione diversa, con 121.718 morti in quei Paesi nel solo 2016. Discrepanze di questo tipo dimostrano che nel continente mancano dati accurati e completi sulla sicurezza stradale.

D’altronde, l’Arso si basa su statistiche governative, fornite principalmente dalle polizie locali. Al contrario, la Who effettua stime basate su informazioni provenienti da ospedali e centri sanitari. Questi problemi sono comunque comuni nei Paesi a reddito medio-basso non solo in Africa, ma anche negli altri continenti. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha conferito alla Who il compito di monitorare i progressi in materia di sicurezza stradale. I numeri contano, perché una migliore sicurezza stradale fa parte degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg). L’obiettivo 3.6 è di dimezzare il numero di morti e feriti per incidenti stradali.

I Paesi africani tendono ad avere piuttosto pochi veicoli a motore pro capite. In Sud Africa, il Paese della macro regione subsahariana più prospero, la cifra è di circa 170 abitanti ogni 1.000; in Nigeria, Paese a reddito medio-basso, è di circa 60. Nei Paesi a basso reddito come Tanzania, Gambia o Malawi i numeri diventano cifre singole. Volendo fare una comparazione con i Paesi industrializzati, basti pensare che negli Stati Uniti sono più di 800, circa 600 in Germania e 500 nei Paesi Bassi.

In larga misura, le cause degli incidenti stradali in Africa sono le stesse come in altre parti del mondo. Includono, ad esempio, l’eccesso di velocità, la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe, il mancato uso delle cinture di sicurezza nelle auto e dei caschi sulle moto o la guida distratta. Questi incidenti, tuttavia, sono inaspriti in Africa dalle scarse infrastrutture. Le strade molto spesso sono inadeguate rispetto al volume del traffico e frequentemente mancano di marciapiedi. Di notte, la mancanza di lampioni si rivela fatale per pedoni e autisti. Le buche, dovute alla scarsa manutenzione, sono comuni. Quando si verifica un grave incidente nelle zone rurali, il traffico si paralizza per ore. Le ambulanze costituiscono una rarità e troppo spesso rimangono bloccate nella congestione del traffico, soprattutto nelle metropoli, ma anche fuori città.

Inoltre medici e infermieri in Africa non possono solitamente fare affidamento sul cosiddetto elisoccorso di cui invece dispongono i loro colleghi nei Paesi ad alto reddito. I sistemi sanitari nazionali sono deboli e a volte i pazienti non ricevono cure tempestive che potrebbero salvare vite umane o quantomeno ridurre l’impatto a lungo termine delle lesioni. Come se non bastasse, in molti casi, non sono assicurati i conducenti che provocano gli incidenti, né le persone coinvolte. È bene rammentare che la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et Spes, 30) ha parlato espressamente dell’importanza delle norme di circolazione: «Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio ciò che concerne la salvaguardia della salute, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, non rendendosi conto di metter in pericolo, con la loro incuria, la propria vita e quella degli altri».

di Giulio Albanese