· Città del Vaticano ·

La missione di suor Veera, dall’India all’Uganda, passando per la Sicilia

Una “mamma” per i migranti

 Una “mamma”  per i migranti  QUO-253
05 novembre 2022

Nell’agosto 2019 ho passato due settimane con suor Veera Bara a Caltanissetta, in Sicilia. Camminavamo per le strade, i migranti la chiamavano da lontano e quando ci avvicinavamo la salutavano chiamandola affettuosamente “mamma”.

Suor Veera, delle Suore della Carità e della Croce, inizia a lavorare qui con i rifugiati nel 2015; insegna loro l’italiano, li aiuta a ottenere i documenti necessari e l’assistenza medica in caso di malattia. I migranti non conoscono il suo vero nome: la chiamano semplicemente “mamma”.

Quando le ho chiesto dove abbia trovato il coraggio per affrontare la sfida di questo compito, suor Veera mi ha risposto: «Il motto del nostro fondatore, padre Teodosio Florentini, è “nei bisogni del tempo leggiamo la volontà di Dio”, e questo mi aiuta ad andare oltre le barriere religiose e culturali, mi dà il coraggio per andare avanti e aiutare gli altri. La beata Madre Maria Theresia Scherer, la co-fondatrice della nostra congregazione, diceva: “Tutto è possibile con il Signore e per il Signore”».

Suor Veera è nata in India il 13 luglio 1957, precisamente a Neematoli, Farsabahar, nel distretto di Chhattisgarh. Ha due fratelli e una sorella maggiori e ha perso suo padre sei mesi dopo la sua nascita. La sua famiglia si riuniva in casa per recitare le preghiere della sera e Veera partecipava alle opere di solidarietà per i ragazzi. A volte guidava le preghiere e i canti nel suo villaggio. Una volta piantati i semi della vita religiosa, dopo avere frequentato una delle loro scuole, nel 1978 entra nella congregazione delle Suore della Santa Croce e pronuncia i primi voti l’8 dicembre 1982.

Più tardi suor Veera accetta di andare missionaria in Uganda e parte per il suo nuovo incarico nell’ottobre 1993, insieme ad altre tre consorelle. Per la religiosa è una sfida impegnativa quella di amalgamarsi con il nuovo ambiente, la nuova lingua, la cultura e la gente. «Tutto questo mi ha insegnato a essere più paziente, più coraggiosa, ad avere uno spirito missionario», racconta. L’accoglienza, il sostegno e l’amore ricevuti dalle consorelle, dalla gente del posto e dai superiori l’hanno aiutata a svolgere, nei 22 anni ugandesi, diversi incarichi come operatrice pastorale e sociale, animatrice vocazionale, formatrice, superiora e consigliera.

Nel 2015, un nuovo incarico attende suor Veera: la chiamata è in Sicilia, in una comunità inter-congregazionale e internazionale. Questa comunità era stata creata su richiesta di Papa Francesco che, nel 2013, aveva ascoltato il grido dei migranti a Lampedusa. Il Papa allora espresse il desiderio che le religiose dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) lavorassero tra i migranti insieme. E così, nel cinquantesimo anniversario dell’istituzione dell’Uisg, nel 2015 le superiore generali decidono di aprire in Sicilia due centri per aiutare i rifugiati. Religiose di diverse congregazioni sono invitate a formare una comunità nella quale lavorare insieme: la scelta cade su dieci suore di nove paesi e di otto istituti. Suor Veera, insieme ad altre nove suore, arriva a Roma nel settembre 2015 per ricevere una formazione di base nella lingua italiana. Il 2 dicembre, dopo l’udienza generale, il gruppo riceve la benedizione di Papa Francesco per l’inizio della sua nuova missione in Sicilia.

Ancora una volta, tutto è nuovo: il luogo, l’inizio di questa esperienza, le sfide sconosciute che si profilano all’orizzonte. Spinta dal carisma e dal motto della sua congregazione, suor Veera fa un passo dopo l’altro. Le viene chiesto di assistere venti donne nigeriane ospitate in un convento locale. Questa esperienza le insegna davvero molto sulla tratta di persone: queste giovani donne, distrutte fisicamente, mentalmente e spiritualmente, hanno bisogno di qualcuno che le ascolti, le capisca e che le ami così come sono.

Nell’ottobre 2016 suor Veera si trasferisce a Caltanissetta. È sconvolta alla vista di circa 170 rifugiati musulmani che vivono all’aperto, sotto ricoveri fatti di arbusti, senza acqua, cibo, medicine, con il minimo indispensabile di vestiti e tra la mancanza di igiene. La loro urgente necessità di beni essenziali le fa dimenticare le sue piccole difficoltà. La presenza della suora fa capire ai rifugiati che Dio è con loro e la speranza inizia a rinascere nei loro cuori spezzati. La loro fiducia, il rispetto, la preoccupazione e l’amore che hanno per lei la sollevano dal timore che aveva avuto prima di incontrarli: per la strada, nei campi profughi, negli ospedali, nelle famiglie, nelle chiese.

Nell’aprile 2017 affronta un’ulteriore sfida: inizia a insegnare l’italiano ai rifugiati. La sorpresa è che nell’arco di pochi giorni, la sua classe arriva a 25-30 ragazzi che apprezzano il suo metodo di insegnamento.

Suor Veera si è fatta anche mediatrice tra i migranti e i leader religiosi, i medici, gli avvocati, la polizia e le autorità scolastiche di Caltanissetta. In tutto questo si avvera quello che il fratello scomparso le aveva predetto: «Hai lasciato la tua famiglia, ma troverai tante case e tante persone che ti amano. Ovunque andrai, troverai una tua famiglia, troverai fratelli e sorelle». Suor Veera inizia a sentirsi parte di queste famiglie di migranti e condivide la loro povertà e le loro fatiche. «Sono felice — mi ha detto suor Veera — quando le famiglie dei migranti mi considerano una di loro e condividono con me le loro gioie e i loro dolori. I bambini, figli dei migranti pakistani e africani, i ragazzi, le ragazze, tutti mi chiamano “mamma”».

Dopo 5 anni di servizio tra i rifugiati in Sicilia, suor Veera è tornata in Uganda, dove continua la sua missione.

di Margaret Sunita Minj


#sistersproject