«Ho sempre pensato che le verità sull’uomo non si scoprono leggendo, ma guardando in faccia». È il manifesto che mi attrae entrando all’ostello sotto i binari della Stazione Termini e sono parole di don Luigi Di Liegro, il carismatico direttore della Caritas di Roma, morto nel 1997 a cui questo spazio di accoglienza è dedicato. Guardarsi in faccia: è questa la prima cosa che fai varcando la soglia, fuori puoi diventare un numero fra i tanti che hanno perso la strada, qui cerchi di ritrovare la dignità di persona. È con questo spirito che è nato, ormai 23 anni fa, Gocce di Marsala, il giornale dell’ostello — che ha sede appunto in via Marsala — e che dal primo numero, anche durante la pandemia, ogni mese dà voce a tante persone che passano di qui in cerca non solo di un pasto o un letto, ma di un luogo in cui poter raccontare chi sono e chi ancora desiderano essere. Questa testata, diffusa on line e in poco meno di 200 copie di mano in mano, ha ispirato in qualche modo L’Osservatore di Strada e ci è molto caro.
Certo l’ostello è una realtà fondamentale per le persone senza dimora di Roma: è aperto dalle 17 alle 9 di mattina, qui ci sono 175 posti letto, una grande mensa serale, docce, guardaroba e deposito bagagli: tutti lo conoscono… A fronte di questi servizi così essenziali che coinvolgono vari operatori e circa una cinquantina di volontari, quella di Gocce di Marsala può sembrare una realtà marginale, ma non è così. Basta partecipare a una “riunione di redazione” del lunedì sera e si coglie il filo prezioso che unisce le persone, molto oltre la soddisfazione di un bisogno.
Ne è convinto Maurizio Lisanti, 73 anni dalla giovialità contagiosa, che fin dagli inizi è l’anima del giornale. È lui che non risparmia abbracci e battute per chi viene a sedersi al tavolo. I presenti parlano di quelli che mancano; danno notizie di alcuni o si chiedono di altri persi di vista. Il giornale va già componendosi con questo tam tam: la rubrica dei compleanni, dei racconti, delle dediche e dei ricordi di chi ora è a Prima Porta e non dovrebbe essere dimenticato.
Col passare dei minuti mi accorgo, però, che, oltre a quelle ore, ce ne vorranno tante altre perché il giornale vada in stampa. Tanti mattoncini come nel logo di copertina: ovvero il tempo e la passione di chi rende il testo dattiloscritto e corretto quello che su quel tavolo è solo abbozzato con carta e penna. Qui chi vuole legge ciò che ha scritto al momento e riceve un applauso sincero.
C’è un epitaffio sornione sulla defunta regina Elisabetta, da parte di Attilio Saletta, capace di arrivare al Salone del libro di Torino con una sua raccolta di racconti, ma anche abile in significativi montaggi fotografici.
Poi c’è Massimo, che inneggia alla gioia di stare insieme; infine ecco le poesie di Ismail, un anziano macedone immortalato anche da Il Messaggero a fianco di un cartello: «Vorrei essere un sogno per stare con te la notte», un suo verso dedicato ad una donna misteriosa.
Il tempo trascorre e Maurizio si rende conto che non si è fatto il gioco di scrittura creativa in cui ognuno compone testi con alcune parole date e bisognerà anche trovare l’autore del pezzo di apertura “istituzionale” che precede i tanti editoriali a tema vario delle pagine successive... Ci si penserà, per ora può bastare.
Alessandro, anche lui animatore del giornale, passa con un po’ di pane e mortadella e un bicchiere d’aranciata, e ci si saluta così. Qui il rendimento non si misura a numeri di battute spazi inclusi, qui è un’altra l’inclusione che si cerca e quella anche questa sera si è raggiunta.
di Giovanni Capetta