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DONNE CHIESA MONDO

Focus
Chi sono e come vivono? Testimonianze, pareri e qualche proposta

Povere nella Chiesa

 Povere nella Chiesa  DCM-010
05 novembre 2022

Chi sono oggi le povere nella, e della, Chiesa? Abbiamo posto la domanda a donne e uomini, persone laiche e religiose, studiose, teologhe, docenti, fedeli, presbiteri. Dalle risposte emerge che se la povertà non si misura, per tutti, dalla dipendenza economica, c’è una indigenza specifica di genere, con indicatori diversi da quelli strettamente monetari, che è fatta di emarginazione, solitudine, esclusione, relazioni distorte di potere, diseguaglianza. Ci sono tante povertà femminili. Qualche volta invisibili.

Quelle che svolgono di fatto un ministero ma non sono riconosciute


Da un lato, mi viene da rispondere che le donne sono povere a prescindere: il fatto stesso di essere donna nella Chiesa è una condizione di minorità, sia perché escluse — a livello istituzionale — dai ministeri e dal potere; sia anche per una serie di atteggiamenti paternalisti, di strutture patriarcali, di un linguaggio sessista nella predicazione, nella catechesi. Molto è cambiato da quando le donne accedono agli studi teologici, ma non ci nascondiamo che persiste un soffitto di cristallo che rende le condizioni di studio e carriera delle donne molto più difficili e instabili rispetto ai colleghi uomini.

Dall’altro lato, però, queste considerazioni sembrano di poca importanza rispetto alle violazioni dei diritti fondamentali che subiscono tante donne nel mondo, che non hanno libertà di autodeterminarsi, non possono accedere agli studi di base, non hanno ruoli nella vita pubblica. La Chiesa non cessa di denunciare queste situazioni, ed è impegnata ovunque a offrire aiuti, istruzione, accoglienza, supporto materiale e spirituale alle donne private dei loro diritti.

Occorrerebbe non separare queste due dimensioni della povertà. La Chiesa così impegnata a contrastare le povertà sociali visibili, dovrebbe trovare il coraggio di lasciarsi convertire dai soggetti marginali, e riformare le proprie strutture perché non producano esclusione all’interno delle relazioni ecclesiali. Accogliere la povertà significa lasciarsi mettere in crisi e modificare le proprie strutture di potere e di linguaggio, in modo che tutti i soggetti siano inclusi. Credo che il tema vero sia il riconoscimento, rendere visibile il servizio, il ministero che le donne spesso svolgono di fatto. Il tema del riconoscimento è fortemente simbolico: potersi riconoscere e vedersi rappresentate negli aspetti istituzionali della Chiesa, aiuta le donne a trovare il proprio posto, a essere consapevoli della propria autorevolezza e corrispondere alla propria vocazione, per il bene della comunità tutta.

Donata Horak, teologa, docente di Diritto Canonico presso lo studio teologico Alberoni di Piacenza

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Quelle che potrebbero cambiare la Chiesa e non possono farlo


Sono le donne che appartengono alla chiesa e che non sanno il loro valore. Per molti motivi. Storici soprattutto. La storia della chiesa non le ha riconosciute. Certo, qualche volta sì, le sante, e soprattutto Maria madre di Dio. Ma l’esemplarità, estrema esemplarità nel caso di Maria, ha permesso che non portassero con sé il valore delle donne comunemente straordinarie nella Chiesa, le donne teologhe, le donne guide di comunità, responsabili fino agli estremi confini del mondo. Eppure ci sono state e ci sono.

Povere sono le bambine, educate nelle nostre parrocchie senza un modello di donna a cui ispirare la loro appartenenza: una donna teologa, una donna che legge con sapienza e competenza la scrittura, una donna che predica, non per concessione benevola di un vescovo che viene e che va, piccolo riconoscimento affidato alla sensibilità pastorale di un singolo.

Povere sono le donne (quasi) tutte, che al posto giusto, un posto di corresponsabilità visibile al mondo e ai fedeli tutti, potrebbero riempire le chiese di speranza e cambiare il mondo secondo il progetto del Regno. E non possono farlo.

Mariapia Veladiano, scrittrice, laureata in filosofia e teologia

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Quelle che come la profetessa Anna servono Dio ma vengono tenute in disparte


«C’era anche una profetessa Anna…era molto avanzata in età — non si allontanava mai dal Tempio servendo Dio notte e giorno con digiuno e preghiere…» (Lc 2, 36-38)

Questo breve racconto relativo alla profetessa Anna, dopo il lungo spazio fatto a Simeone, ci insegna più cose intorno alla povertà della donna nella Chiesa di lunghi discorsi. Innanzitutto può aiutare a comprendere perché le donne non sono state ammesse all’ordinazione ai ministeri, che erano ritenuti troppo importanti per poter essere affidati a una donna, considerato il fatto che nella storia ruoli di eccellenza competono solo all’uomo.

La povertà della donna deve essere compresa alla luce di questa situazione. Resta nella memoria di tutti la donna generalmente anziana che teneva in ordine la chiesa, lucidava i candelabri, aiutava il parroco a fare le pulizie. Solo ora che anche queste persone cominciano a scarseggiare ci rendiamo conto di quanto era prezioso questo loro servizio.

Aggiungo una riflessione che propongo ormai da decenni e della quale sono profondamente convinto: una forma di povertà fondamentale è l’emarginazione della donna in quelli che sono i servizi ecclesiali, in particolare il servizio eucaristico. Al passaggio del 1899 al 1900 tre categorie di persone non erano ammesse all’ordinazione presbiterale: gli schiavi, gli indigeni e le donne. Nel corso del 1900 sono state superate le difficoltà relative alla schiavitù, perché non è più ufficialmente accolta anche nelle chiese, e superata la questione degli indigeni, che hanno cominciato a essere ordinati vescovi e sacerdoti. Ma il superamento per la donna di questo condizionamento non è ancora avvenuto. Anche se chi lo sostiene fa fuoco e fiamme per dire che non è vero sia una condizione di inferiorità della donna, di fatto lo è. Quando le donne vengono messe alla prova in questo servizio si dimostrano eccellenti serve del Signore, che possono lavorare e affascinare e quindi curare il popolo che è loro affidato con ottimi risultati, come provano le esperienze delle altre Chiese cristiane che hanno ammesso le donne al ministero. Insomma questa condizione di inferiorità è un fatto ancora attuale. Ed è necessario che la Chiesa prenda coscienza della opportunità del superamento di questa esclusione inaccettabile in un mondo in cui la donna ha mostrato come il suo servizio in tutti i campi possa essere prezioso.

Giovanni Cereti, sacerdote, teologo, fondatore della “fraternità degli Anawim”

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Quelle che vorrebbero essere guardate come fece Gesù con Maria di Magdala


“Le disse Gesù: Donna, perché piangi? Chi cerchi?” (Gv. 20,15)

Mi ha sempre commosso la tenerezza racchiusa in queste parole che il Risorto rivolge a Maria di Magdala. Esse esprimono l’attenzione delicata con la quale Gesù guarda al suo dolore e, forse, alla sua disperazione; e sono, per ciò stesso, uno stimolo a non rimuovere lo sguardo dalle ferite della povertà di ogni donna.

Se dovessi dire quali di queste povertà, a mio parere, si deve avere il coraggio oggi di guardare e lenire con uno sguardo di speranza, ne indicherei una caratterizzante la Chiesa e una la cultura dominante. Nel primo caso, penso al fatto che una schiera innumerevole di donne contribuisce ad animare e alimentare la vita ecclesiale, con impegni e compiti di ogni genere. Raramente tuttavia viene poi concesso loro lo spazio di una “responsabilità generativa”. Quasi mai, cioè, la Chiesa è capace di accogliere il contributo che esse possono offrire nel mutare e migliorare le strutture, nell’immaginare e attuare modelli nuovi di realtà ecclesiale. Nel secondo caso, penso invece alla lettura distorta della maternità imposta dalla cultura dominante, che spesso non riesce a coglierne né il valore personale e familiare, e men che meno quello sociale e umano. Ho sempre accostato con molto dolore il dolore di donne che hanno dovuto vivere in alternativa la loro professionalità o la loro realizzazione sociale e la maternità.

Si tratta di una povertà sovente non vista, frutto però di una forte miopia culturale.

Roberto Repole, arcivescovo di Torino

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Quelle che lottano per l’uguaglianza anche in seno alla Chiesa


L’esperienza d’impoverimento e di discriminazione delle donne è una sfida prioritaria da vincere in tutte le società, nel mondo intero. Ma è soprattutto una chiamata per la Chiesa universale, per tutto il popolo di Dio, che cerca di costruire un regno basato sulla giustizia sociale e sulla dignità delle figlie e dei figli di Dio.

Le donne povere della Chiesa sono tutte quelle che stanno subendo umiliazioni, violenza, mancanza di riconoscimento e di dignità nel mondo del lavoro, nell’ambito domestico, nell’economia informale, nella tratta…. Il loro grido è per un lavoro degno, per il rispetto della loro dignità sacra, che nessuno ha diritto di togliere loro.

Sono milioni di donne povere, sulle quali dobbiamo contare per costruire una cultura samaritana, una cultura della cura, del “pane e le rose”. Anche sul piano dell’uguaglianza in seno alla Chiesa.

La comunità cristiana è chiamata a lottare per favorire condizioni sociali, economiche e culturali che rendano possibile l’uguaglianza nel rispetto della dignità di tutte le donne, soprattutto di quelle che stanno vivendo in condizioni di infraumanità e di schiavitù in tante parti del mondo.

Nella misura in cui saremo capaci di stare accanto, accompagnare e lottare gomito a gomito con queste donne, anche le nostre comunità potranno cambiare questa cultura che dà vita a un sistema economico e patriarcale generatore di scarto e di esclusione.

Charo Castelló, portavoce del Movimento mondiale dei lavoratori cristiani e membro del comitato organizzatore degli incontri dei Movimenti popolari

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Quelle a cui viene strappato un figlio in modo feroce


Ci sono donne che soffrono il dolore lancinante per la perdita del frutto del grembo in modo feroce. Uno strappo. Ai piedi di una croce. Le ho incontrate in Argentina e in Messico ed erano madri di desaparecidos. Ho pregato con loro in Sudan e in Afghanistan ed erano madri di figli dalle speranze infrante contro il muro di onde di egoismi perbene. In Sicilia, Calabria e altrove ed erano a mani vuote, senza verità e senza giustizia, di vite spezzate dalla violenza criminale. In Iraq, Bosnia e Ucraina avevano sepolto il futuro e vivevano a stento. Povere, sì, perché troppe volte non sappiamo leggere nella trasparenza delle loro lacrime la teologia nuova che lo Spirito va scrivendo come pagine di vita. Eppure a quella scuola possiamo solo crescere come comunità e credenti. Mendicanti loro, ma con una dignità regale perché si può essere madri anche senza aver partorito, ma non senza aver provato il dolore del travaglio. Ma quanti dovrebbero questuare dinanzi a quei grembi e si sentono perfetti!

Tonio Dall’Olio, sacerdote, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi

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Quelle che vivono nel silenzio e nella paura a causa della loro sessualità


In tempi biblici le vedove dipendevano totalmente dall’uomo per quanto riguarda la protezione e il sostentamento; spesso erano povere se non avevano un parente uomo che si prendesse cura di loro. In epoca moderna, il prestigio delle donne troppo spesso dipende ancora da un uomo. Una donna non sposata con un uomo molte volte è trattata come socialmente povera.

Ho incontrato alcune di queste donne socialmente povere quando stavo studiando all’università. Non solo non erano sposate con un uomo, ma vivevano anche una relazione di amore con altre donne. Molte avevano lavorato generosamente al servizio del popolo di Dio come insegnanti, infermiere, catechiste e operatrici sociali. Molte erano suore. Così i miei superiori religiosi mi affidarono il compito di estendere la mano amorevole della Chiesa a tali donne.

Per oltre cinquant’anni ho servito tra persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Ritengo che le donne lesbiche cattoliche abbiano vissuto per troppo tempo nel silenzio e nella paura a causa della loro sessualità. Hanno più da offrire che il semplice obolo di una vedova povera (cfr. Luca 21, 1-4).

Jeannine Gramick, delle Suore di Loreto ai piedi della Croce, Stati Uniti

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Quelle che sono sfruttate dai rappresentanti del clero


Riflettere sui “poveri” al giorno d’oggi mi porta a pensare alle religiose che sono state o sono abusate in molti modi da rappresentanti del clero: finanziariamente, psicologicamente, sessualmente o spiritualmente. Da un punto di vista finanziario molti membri del clero hanno sfruttato le religiose chiedendo loro di svolgere ogni tipo di lavoro gratuitamente. In alcuni casi, alle suore è stato sottratto il patrimonio finanziario della congregazione.

A livello psicologico, si ricorre alla manipolazione o alle minacce per sottomettere le suore. Le congregazioni diocesane sono molto dipendenti dal loro vescovo il quale, in caso di denuncia, spesso si schiera dalla parte del suo presbitero. L’abuso spirituale può accompagnare l’abuso psicologico, che purtroppo spesso sfocia nell’abuso sessuale. Inoltre il voto di povertà, insieme al voto di obbedienza, viene falsamente interpretato per sottomettere le suore al sacerdote o al vescovo. E come nel caso dei poveri dell’Antico Testamento, le vittime di abusi sono quelle che vengono incolpate per la loro deplorevole situazione.

Karlijn Demasure, direttrice e fondatrice del Centro di protezione dei minori e delle persone vulnerabili, Saint Paul University, Ottawa

 

a cura di Lucia Capuzzi e Vittoria Prisciandaro
Giornaliste, rispettivamente, di «Avvenire» e Periodici San Paolo «Credere» e «Jesus»