· Città del Vaticano ·

Nel sessantesimo del radiomessaggio di san Giovanni XXIII

La Terra sia liberata
dalla violenza

 La Terra sia liberata dalla violenza  QUO-246
26 ottobre 2022

Nel sessantesimo anniversario del radiomessaggio con cui Giovanni xxiii intervenne in piena “guerra fredda” per scongiurare il rischio nucleare durante la crisi dei missili di Cuba, Papa Francesco ha rilanciato dal Colosseo il “grido di pace” del predecessore insieme con i leader cristiani e delle religioni mondiali che hanno partecipato all’Incontro di preghiera promosso dalla Comunità di Sant’Egidio.

Dal piazzale dell’anfiteatro Flavio, luogo dalla forte valenza simbolica — alla presenza di centinaia di persone — il vescovo di Roma e quanti hanno voluto unirsi a lui hanno sottoscritto un accorato appello ai popoli e ai governanti affinché il dialogo prevalga sull’odio e il nome di Dio non venga strumentalizzato per scatenare conflitti. La firma dell’appello è stato il momento culminante del 36° Incontro internazionale di preghiera per la pace, svoltosi a Roma dal 23 al 25 ottobre su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, che raccogliendo il mandato di san Giovanni Paolo ii continua a diffondere lo spirito di Assisi e a vivere il messaggio della pace, come chiese il Pontefice polacco nella città di san Francesco la sera del 27 ottobre 1986, a conclusione di quella prima storica Giornata di preghiera. Esponenti delle Chiese cristiane e delle grandi religioni furono da lui invitati nella cittadella umbra nel gennaio di quell’anno mondiale per la pace indetto dalle Nazioni Unite. Da allora la Comunità di Sant’Egidio ha voluto ripetere in numerosi Paesi del mondo, attraverso una tappa annuale, un pellegrinaggio divenuto con il tempo un’icona vivente che, nelle tinte e nelle lingue diverse, è stata ridipinta e riprodotta in tante città europee, africane, asiatiche e americane, anche a Gerusalemme.

E oggi, in questo 2022 segnato dal dramma del conflitto in Ucraina, di nuovo come l’anno scorso Roma, per riflettere sul tema: «Il grido della pace - Religioni e culture in dialogo». Dopo tre giorni di lavori al Centro congressi La Nuvola, i partecipanti si sono ritrovati al Colosseo con il Pontefice per un incontro articolato in due distinti momenti: l’appuntamento conclusivo è stato infatti preceduto da una preghiera dei cristiani, presieduta da Papa Bergoglio alla presenza dei rappresentanti delle Chiese e delle comunità che hanno aderito.

Un appuntamento in due momenti


Giunto in automobile verso le 16.15, Francesco è stato accolto, alla presenza di monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa pontificia, da Andrea Riccardi e Marco Impagliazzo, rispettivamente fondatore e presidente della Comunità organizzatrice, i quali gli hanno presentato i leader cristiani intervenuti — tra i quali Sua Santità Mar Awa iii Royel, patriarca della Chiesa Assira (Iraq), e Sua Eminenza Emmanuel, metropolita maggiore di Calcedonia, del Patriarcato ecumenico —, due rappresentanti del Governo italiano e il sindaco di Roma.

Entrato all’interno dell’anfiteatro Flavio quando il sole ancora caldo, sospinto sulla sedia a rotelle dall’aiutante di camera Piergiorgio Zanetti, dopo il canto d’ingresso Il regno dei cieli il Pontefice ha introdotto la preghiera con il segno della croce.

«Siamo orgogliosi e onorati di aver ospitato all’interno del Colosseo un momento così solenne — ha dichiarato Alfonsina Russo, direttore del Parco archeologico del Colosseo, spiegando che è la prima volta che Francesco ne varca la soglia interna —. Un messaggio di speranza nel nome del bene più grande, la Pace, che parte proprio da qui, luogo d’incontro tra culture e crocevia di popoli, per diffondersi all’intera umanità nel nome di un dialogo e di una fratellanza universali».

All’appuntamento ecumenico sono intervenuti, tra gli altri, i cardinali Re e Sandri, rispettivamente decano e vice-decano del Collegio; Sako, patriarca di Babilionia dei caldei; Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani; Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale; Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, e Aveline, arcivescovo di Marsiglia; gli arcivescovi Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, e Fabene, segretario del Dicastero delle cause dei santi; il vescovo Libanori, ausiliare di Roma; monsignor Indunil J. Kodithuwakku K., segretario del Dicastero per il dialogo interreligioso.

Alla proclamazione del Vangelo di Luca (10, 3-6) sono seguite la meditazione del patriarca della Chiesa Assira e le intenzioni di preghiera per la pace elevate in italiano, inglese e spagnolo. Particolarmente significativa la penultima, letta da Grace, rifugiata camerunese, evangelica, che era a Cipro nella “terra di nessuno” quando il Papa ha visitato l’isola, e l’ultima in cui sono stati elencati i Paesi di Europa, Africa, Americhe e Asia, insanguinati da conflitti.

«La Terra sia liberata dalla guerra e dalla violenza, ciascuno torni a vivere», ha concluso il Pontefice, prima di invitare alla recita comune del Padre Nostro. Allo scambio della pace, è seguita la benedizione impartita dal metropolita Emmanuel, dall’arcivescovo Ian Ernest, direttore del Centro Anglicano di Roma, e dallo stesso Francesco.

L’abbraccio con Edith Bruck


Tutti insieme si sono quindi diretti verso il palco allestito all’esterno per la cerimonia finale. Sotto un dipinto murale raffigurante una veduta ideale della città di Gerusalemme (sull’arco di fondo della Porta Triumphalis del Colosseo) il vescovo di Roma ha trovato ad accoglierlo quella che è ormai un’amica, la scrittrice ebrea Edith Bruck, sopravvissuta alla Shoah, con cui ha scambiato un affettuoso abbraccio, e i rappresentanti delle altre religioni, a cominciare da Sayyed Abu Al-Qasim Al-Dibaj, dell’Organizzazione mondiale Pan-Islamic Jurisprudence, e il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, che hanno preso posto sul palco al suo fianco, insieme con esponenti del buddismo, induismo e cristianesimo, tra i quali Frère Alois di Taizé.

Intervallati da brevi momenti di silenzio orante o di musica, sono intervenuti Impagliazzo, l’argentina Alicia Peressutti, in prima linea nella lotta contro la tratta di esseri umani, e la rifugiata nigeriana Esther Iweze Adaeze, che ha vissuto l’esperienza traumatica dei centri di detenzione libici per migranti. Il presidente di Sant’Egidio ha spiegato che «dal mondo percorso da venti di guerra si alzano grida e invocazioni di pace. Milioni di persone esprimono, in modi diversi, una volontà: “Basta con la guerra!”. Dall’Ucraina bombardata, dalle trincee del Donbass, si alza il grido dei feriti, dei morenti, il lamento dei familiari e degli amici — ha proseguito —. Le stesse urla di dolore, le stesse implorazioni di pace, si alzano dalla Siria, dal Caucaso, dall’Afghanistan, dallo Yemen, dalla Libia, dall’Etiopia, dal Sahel, dal Nord del Mozambico, da decine di altri luoghi conosciuti o sconosciuti».

«Quante grida, quante invocazioni! — ha osservato Impagliazzo — Chi ascolta queste voci? le voci di chi non c’è più? Il rumore e l’indifferenza sono la maniera per tacitare i vivi e i morti. Si soffocano le voci dei morti — di cui non sappiamo nemmeno il reale numero —, si spegne il lamento dei feriti, dei sofferenti, degli affamati, dei profughi... Ma noi siamo qui, perché abbiamo scelto di ascoltare il grido di tanti, fratelli e sorelle in umanità. Non abbiamo voluto chiudere le orecchie e inchinarci alle ragioni della guerra».

Un breve ma intenso momento di silenzio per le vittime di guerre, terrorismo, violenza, tratta, ha preceduto la proiezione di un video sui “dolori del mondo”: circa 40 secondi in cui sono stati riprodotte sul maxischermo immagini note e meno note di grande impatto: come quella in bianco e nero del bambino di Nagasaki che porta al crematorio il fratellino vittima dell’atomica, o quelle dei bombardamenti in Ucraina, di migranti sui barconi in balia delle onde e di altri che attraversano deserti; o quelle delle conseguenze drammatiche di inondazioni, siccità, incendi, terremoti, macerie. Il filmato si è concluso con la scritta «never again»: un “mai più” che — dopo il discorso di Papa Francesco — è riecheggiato nell’accorato appello di pace letto da Elissar Alattal, giovanissima rifugiata siriana, oggi studentessa universitaria. Il Pontefice lo ha firmato per primo, seguito dai rappresentanti dell’islam e dell’ebrasimo, e poi da tutti gli altri. Infine, con un cestino in mano, Edith Bruck ne ha consegnate sei copie, sotto forma di pergamene arrotolate, ad altrettanti bambini, tre maschietti e tre femminucce, delle “scuole della pace” di sant’Egidio. In maglia bianca con la scritta Peace, essi a loro volta lo hanno deposto nelle mani di ambasciatori ed esponenti della politica e delle istituzioni nazionali e internazionali. E mentre gli altoparlanti diffondevano musica, dalla platea i presenti si sono alzati in piedi, sollevando cartelli bianchi con la scritta blu “Pace” in tantissime lingue.

di Gianluca Biccini


Come agnelli in mezzo ai lupi


Pubblichiamo stralci della meditazione pronunciata dal patriarca della Chiesa Assira, Sua Santità Mar Awa III Royel. 

Oggi siamo radunati  per chiedere la pace. È un dono che va accolto perché ponga radici fra noi e si comunichi a tutto il genere umano. 

Il Vangelo appena ascoltato richiama in modo sempre più intenso e impegnativo alla nostra autentica vocazione di cristiani e portatori della pace. Gesù infatti ci ha reso partecipi del suo annuncio divino e salvifico all’umanità e all’intero creato. Lo ha fatto in un modo particolare, chiedendo di spogliarci da ciò che possa impedire in noi la crescita del seme buono del Regno. Questo significa eliminare in ciascuno ogni ostacolo all’annuncio della Buona Notizia... abbandonare ciò che può rappresentare un peso spirituale. 

Pensiamo alle preoccupazioni di questo mondo fugace, all’amore sfrenato per il denaro, al possesso delle cose, dei beni, e tanto altro, fino a esserne posseduti. E perché questa lotta per liberarsi dalle suggestioni mondane? Perché altrimenti la pace non si realizzerà. Essa infatti richiede sempre un amore capace di sacrificio.

Il Signore ci ha mandati “come agnelli fra i lupi”, cioè in un mondo che ha bisogno della sua pace e della sua salvezza. Così la prima Chiesa degli Apostoli ha vissuto la realtà della testimonianza fino al sangue e il martirio cristiano ancora oggi nasce nella consapevolezza  che il mondo ha sempre bisogno di Gesù, anche a prezzo dell’offerta della vita. Affinché possiamo divenire autentici operatori della pace di Gesù nel nostro tempo, dobbiamo renderci disponibili a essere i suoi strumenti in mezzo agli uomini, nell’amore reciproco l’uno per l’altro. In questo modo, la nostra testimonianza sarà un riflesso della stessa vita del nostro del Signore, sarà a lui gradita e potremo realizzare la sua pace.