
Ascolta, si fa sera.
— D’accordo. Ma poi, la mattina che faccio?
— La stessa cosa: ascolta. E ascolta anche il pomeriggio, la sera. Ascolta sempre. Perché se non ascolti, buona parte di ciò che fai rischia di servire a poco o niente.
Ricordi che cosa ha detto il Papa all’Angelus del 10 luglio?
— Beh… veramente… così, su due piedi… no.
— Non importa, ti rinfresco io la memoria. Ha detto che quando fai l’elemosina, se non fai niente per stabilire un minimo contatto umano con il povero che ti sta davanti e te la chiede, quell’elemosina in realtà è per te.
Se tu fai qualcosa per gli altri, devi sapere di cosa hanno bisogno. E come puoi saperlo se non ascoltando?
Altrimenti procedi in automatico e a tentoni, presumendo il loro bisogno, magari applicando qualche facile schemino, uguale per tutti.
Ma i bisogni sono i più disparati: se interpelli cento persone non ne troverai due con lo stesso, identico problema e bisogno.
Certo, va bene assicurare prima di tutto l’indispensabile per vivere, ma oltre alle opere di carità corporale esistono quelle di carità spirituale, come “consigliare i dubbiosi”, “consolare gli afflitti”. Tutte cose che si fanno previo ascolto.
A questo proposito mi vengono spesso in mente, “mutatis mutandis”, quelle famiglie che colmano i figli di ogni bene materiale: macchina, moto, smartphone, soldi e chi più ne ha, più ne metta. Poi, se i rampolli si mettono in guai seri, magari con la giustizia, rimangono attoniti, come l’asino e il bue della mangiatoia: “Ma com’è stato possibile? Che gli mancava? Aveva tutto!”.
Perfino i Beatles, già nell’ormai lontano 1967, in una canzone su una ragazza che scappa di casa, stigmatizzavano questo atteggiamento. Immaginando i genitori che, smarriti, si chiedono perché la figlia se ne sia andata, il testo dice: “We gave her everything money could buy…” (“le abbiamo dato tutto ciò che il denaro potesse comprare”); ma subito dopo “She’s leaving home, after living alone, for so many years” (“Sta andando via da casa dopo esser vissuta sola per tanti anni”).
Perché questo, fatalmente, attende chi non è ascoltato: la SOLITUDINE.
Se c’è solitudine manca la speranza; e se uno la speranza non ce l’ha bisogna dargliela.
E allora una parola cara in più, o un piccolo gesto affettuoso, quanto calore, fiducia, forza, energia, entusiasmo può dare!
di Fabrizio Salvati