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DONNE CHIESA MONDO

La Storia
Noonuccal, poeta per i diritti degli aborigeni australiani

L’orgoglio di Oodgeroo

 L’orgoglio di Oodgeroo  DCM-009
01 ottobre 2022

Oodgeroo Noonuccal ha lottato tutta la vita contro il razzismo, per la difesa della sua terra e della sua gente. E ai popoli indigeni dell’Australia ha indicato un cammino, un sogno, una speranza.

Nella poesia Segregazione che scrisse pochi anni prima che lo storico referendum popolare del 1967 conferisse agli aborigeni piena cittadinanza, punta il dito contro il razzismo e critica, per usare parole di Papa Francesco del 2018, l’”ipocrisia dei giusti”, che riduce la fede ad “abitudine sociale”.

È stata poeta, artista, attivista politica per i diritti dei popoli indigeni, ambientalista, educatrice. Da decenni è unanimemente considerata una delle voci più significative della letteratura australiana del Novecento ed è annoverata tra i fondatori della scrittura aborigena contemporanea.

Una storia e un percorso esemplari. Nacque a Minjerribah (ora conosciuta come North Stradbroke Island) nel 1920. Zona dei Quandamooka, aborigeni australiani che vivono intorno a Moreton Bay, nel Queensland sudorientale, da almeno 25mila anni. Molti di loro furono cacciati dalle proprie terre quando il governo inglese fondò una colonia penale lì vicino, nel 1824.

Oodgeroo parla in modo diretto, spiazzante, senza mezzi termini del dramma della discriminazione razziale. La sua poesia, come nella profezia, mette a nudo una realtà che nessuno vuole vedere, né sentire, né toccare; rilegge il passato coloniale in modo critico, riscrivendo la storia con altre prospettive, altri paradigmi e altre terminologie; mentre racconta un mondo umiliato e distrutto, che sta cambiando o scomparendo, auspica un futuro in cui tradizioni, lingue, credi diversi possano coesistere in armonia. È la politica della reconciliation che Oodgeroo propugnerà sino alla morte.

Prima donna black in Australia a pubblicare un libro, primo autore black di poesia, a partire dal 1964 le sue liriche in lingua inglese si diffondono e scuotono le coscienze della nazione, evocando immagini a tutti familiari. Tra queste, colpiscono le immagini cristologiche:

        Sono nera di pelle tra i bianchi,
        E sono orgogliosa,
        Orgogliosa di razza, orgogliosa di pelle.
        Sono povera e rotta,
        Vestita di stracci, caduti dalla schiena dell’uomo
        bianco,
        Ma non credete che mi vergogni.
        Le lance non poterono competere con le pistole
        e noi fummo dominati,
        Ma ci sono cose che non poterono saccheggiare
        e distruggere.
        Noi fummo conquistati, ma mai sottomessi,
        Noi fummo costretti, ma mai servili.
        Non pensate che io m’inchini come i bianchi
        s’inchinano ai bianchi.
        Io sono orgogliosa,
        Sebbene umile, e povera, e senza casa…
        Uguale a Cristo.

Oodgeroo nasce da madre aborigena e padre bianco e accoglie in sé questo ibridismo cultural-spirituale, anche se la consapevolezza delle proprie radici indigene finirà per connotare radicalmente la sua identità: nata Kathleen Jean Mary Ruska, sposata Walker, con un gesto eclatante, nel 1988 cambierà nome e si chiamerà Oodgeroo della tribù Noonuccal, in segno di protesta per le celebrazioni del bicentenario dello sbarco del navigatore ed esploratore britannico James Cook sul continente australiano, perché per gli aborigeni quello sbarco è l’inizio dell’espropriazione della loro terra. Racconta la scrittrice aborigena australiana Alexis Wright che «nel 1920, quando nacque Oodgeroo […], in molte zone del Paese gli aborigeni venivano ancora fucilati. Oodgeroo sarebbe cresciuta con il ricordo del passato, attraverso le storie raccontate dai genitori e dai nonni, storie di massacri e di lavoro da schiavi nelle terre loro rubate».

Nella poesia Gli insegnanti, dedicata alla madre «cui non fu mai insegnato a leggere e scrivere», Oodgeroo si rivolge agli «uomini santi» venuti a imporre con la forza le loro leggi e reclama l’istruzione, strumento di libertà:

        Uomini santi, siete venuti a predicare:
        “Poveri selvaggi, vi faremo imparare
        La paura dell’inferno e il senso del peccato,
        Il timor di Dio e quello del capo;
        Vi insegneremo a lavorare per niente,
        Vi insegneremo a osservare
        Le leggi di Dio e quelle di Mammona…”
        E noi abbiamo risposto, “Basta scemenze,
        Se dovete illuminarci,
        A leggere e scrivere dovete prima insegnarci.”

Il riferimento evangelico (Matteo 6, 24 e Luca 16, 13) di Oodgeroo evoca l’ammonimento pronunciato da Papa Francesco ad aprile 2022 durante l’udienza con i popoli nativi: «Quante volte il dono di Dio non è stato offerto ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione! Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi».

Nel suo ruolo di denuncia sociopolitica, Oodgeroo profetessa — dal greco davanti, ma anche al posto di e parlare— e dunque portavoce e testimone, non si abbandona allo sconforto. Al contrario, anziché porre l’accento sugli errori del passato, punta a istruire e guidare le nuove generazioni, iniettandole di speranza e desiderio di rinnovamento. In Figlio mio, così si rivolge al figlio Denis:

        Potrei raccontarti la disperazione, l’odio cieco,
        Potrei raccontarti crimini vergognosi e disumani,
        Le calunnie e le brutalità,
        Gli stupri e gli omicidi, figlio mio;
        Invece ti racconterò il coraggio e il bene
        Quando le vite di bianchi e neri s’intrecciano,
        E gli uomini si uniscono come fratelli –
        Questo ti direi, figlio mio.

In quest’ottica, per Oodgeroo la poesia è strumento di dialogo interculturale e intergenerazionale. È strumento di «dadirri», in lingua Ngan’gikurrunggurr «ascolto profondo». Scrivendo poesia, l’autrice legge e interroga il mondo. Ascolta non solo l’altro da sé ma anche l’altro in sé, facendo i conti con il proprio passato:

        Nessuno dica che il passato è morto.
        Il passato è tutto intorno e dentro di noi.
        Ossessionata da memorie tribali, so che
        Questo breve ora, questo presente incidentale
        Non è tutto di me, che la mia lunga formazione
        In gran parte appartiene al passato.
        […]
        Nessuno venga a dirmi che il passato
        se n’è andato.
        Questo adesso è solo un pezzetto di tempo,
        un pezzetto
        Di tutti gli anni di lotta che mi hanno
        plasmata.

Ed è in questo bilico tra passato, presente e futuro che il messaggio di Oodgeroo risuona profetico e universale, proponendo spunti di riflessione e istanze di rinnovamento tuttora validi. Sul fronte della salvaguardia ambientale, ad esempio, dalla sua poesia emerge un quadro valoriale che fa riferimento alla cultura aborigena, secondo cui il nostro pianeta non è un oggetto da possedere e sfruttare, bensì una Madre da proteggere. Nella lirica intitolata Mongarlowe, simile a una preghiera mariana, la Terra è una donna sfregiata e sanguinante:

        O Terra Vergine
        Ti sento gridare di dolore
        Mentre ti giri e rigiri,
        Negandomi
        Il sonno di cui ho così bisogno.
        Stuprata dall’uomo
        Nel passato violento,
        Ti ha lasciata
        Sanguinante, singhiozzante,
        Provocandoti
        Mestruazioni
        Irregolari.
        Gli alberi della gomma si contorcono,
        Versano lacrime di eucalipto,
        Che si mescolano al tuo sangue
        Penetrando, affliggendo la tua anima straziata.
        In riva al torrente una lubra piange.
        Monumenti spettrali
        Alla tua verginità persa.

Tale personificazione della Madre Terra è sia un rimando al legame con la natura proprio delle culture native, sia un potente ritratto di un mondo in sofferenza. Un ritratto che richiama l’incipit dell’enciclica Laudato si’ che, come ha sottolineato il Pontefice, non è «un’enciclica verde» ma «un’enciclica sociale».

E se il Papa parla di «casa comune», in Oodgeroo accanto all’ecologismo un altro tema profetico è il collettivismo. La cultura aborigena che l’autrice tramanda è fondata sul principio del «condividi ciò che hai». Numerose poesie fanno riferimento a questa logica del dono, scardinando i pilastri su cui si basa il sistema di vita occidentale e anticipando autrici come Vandana Shiva e Genevieve Vaughan, sostenitrici di un’economia del dono. Un’economia ispirata a un ruolo accudente come quello materno, che non prevede restituzione e che si sottrae all’economia dello scambio, del do ut des.

Possiamo davvero contrapporre al nostro sistema fondato sulla proprietà privata un concetto alternativo di Bene comune e di Beni comuni che lenisca l’incipiente povertà? Abbiamo meno risorse, meno acqua, una popolazione mondiale in crescita. Cosa possiamo imparare da Oodgeroo? Cosa insegnano alla nostra “civiltà” le epistemologie aborigene?

        Noi che alla civiltà siamo arrivati in ritardo,
        Dopo un salto di secoli,
        Quando sei arrivato tu ci siamo riempiti
        di ammirazione,
        Ma con un presentimento.
        Avevamo poco ma avevamo la felicità,
        Ogni giorno era vacanza,
        Perché eravamo persone prima ancora di essere
        cittadini,
        Prima di essere contribuenti, affittuari, clienti,
        dipendenti, residenti.
        […]
        Ah, ci siamo avvantaggiati, siamo stati elevati
        Grazie alla conoscenza, un mondo nuovo
        si è aperto.
        Aggiornàti di colpo allo stile di vita dei bianchi
        Con gioia e riconoscenza riceviamo,
        Giacché si tratta di necessità.
        Però ricorda, uomo bianco: se la vita è fatta
        per la felicità,
        Anche tu, di sicuro, devi cambiare molto.

Tra poesia e profezia, la coraggiosa provocazione di Oodgeroo, morta nel 1993, oggi nelle nostre mani, rimane aperta. Foriera di inventiva e speranza.

di Margherita Zanoletti
Curatrice del libro di Oodgeroo Noonuccal «My People / La mia gente », Mimesis