· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-223
29 settembre 2022

Lunedì 26

Ascolto umile
e sinodalità

 

Provenite da diversi angoli del mondo... indica che vivete realmente uno spirito di accoglienza e fratellanza, secondo la vostra speciale relazione con la “Sacra Famiglia”.

Questo atteggiamento avete voluto esprimerlo nel capitolo generale che ruota attorno ad ascolto umile e sinodalità.

Mandare in vacanza la lingua e dedicarsi ad ascoltare, che lavori più l’udito.

Per ascoltare occorre silenzio profondo, interiore, che troviamo nella preghiera.

Spesso i nostri stili di vita sono “pieni di rumore”. Come ci diceva san Paolo vi nel suo noto discorso a Nazareth.

Sembra che la cosa più importante sia attirare l’attenzione.

Alzare la voce, fisicamente o moralmente, si presenta come la soluzione per portare la massa assordata a optare per la loro idea od opinione, cercando di far sì che il loro segnale si senta di più, sia più attraente o sorprendente.

Con dispiacere, si è soliti scoprire che quanti erano stati chiamati quasi subito si allontanano per accorrere al richiamo di un grido ancora più impattante.

Ciò abbrutisce — abbiate paura della parola — l’uomo, limita la sua libertà fino a renderlo schiavo di quanti hanno la capacità di condizionare quei segnali, attraverso i mezzi di comunicazione, l’educazione, l’opinione pubblica o la politica, imponendo le loro agende con petulanza.

La profezia che chiede Gesù è di andare contro questa corrente, cercare il silenzio, distaccarci dal rumore.

Questo permette di prestare attenzione e, con pazienza artigianale, individuare i diversi suoni, soppesarli, distinguerli.

In tal modo, quel frastuono comincerà a prendere forma, ciò che sembrava dissonante potrà essere compreso e collocato, avrà un nome, un volto.

Nessuna nota sarà troppo alta o troppo bassa, e nessun suono sarà stridente se trova l’armonia che soltanto il silenzio può dargli.

L’armonia non s’impone. Quante volte incontriamo gente che sembra buona ma non è armoniosa.

La tentazione è di avere una bella melodia in testa, e rifiutare o cercare di far tacere ciò che non è in sintonia con essa.

Ma questo è giudicare l’altro, mettersi al posto di Dio, decidere chi merita e chi no.

È una superbia, che bisogna combattere con l’umiltà del silenzio profetico.

Se sarò capace di ascoltare, potrò udire con chiarezza tutte le voci, comprendere il loro ordine, che cosa vogliono dire e perché lo dicono in quella maniera, a volte in modo lacerato e inusuale.

Siate profetesse dell’ascolto, sentendo la voce di Dio che chiama ad amare tutti senza distinzioni, e il creato, come insegna san Francesco nel Cantico delle creature.

In questa melodia, persino il dolore, l’oscurità, la morte, trovano il loro senso, e lo trova anche il fratello in difficoltà, il bisognoso di perdono, di redenzione, di una seconda opportunità; possiamo comprendere le ragioni di chi la pensa diversamente, mi contraddice e del nostro limite.

E da questo silente ascoltare Dio, dal cacofonico possiamo giungere al sinfonico. Al “sin” della sinodalità, del camminare insieme; a essere un coro con un solo cuore e una sola anima.

Con lo stile
della piccolezza

 

Non è un’utopia, se veramente ci convinciamo che alzare la voce non è il cammino, che l’unico cammino è Gesù.

È il cammino della croce, dell’umiltà, della povertà, del servizio.

Il cammino scelto da san Francesco, e dal vostro venerabile fondatore, Luis Amigó, che meditava ogni giorno la Passione, invitandovi ad abbracciare lo stile della piccolezza e della mortificazione.

Ciascuna contribuisce a questa sinfonia del cuore, a questa consonanza di una comunità, che non significa che tutte sentano la stessa cosa, pensino allo stesso modo, ma che sono armonicamente unite.

L’unico capace di dare armonia è lo Spirito. Chiedete armonia nelle comunità.

Se di fronte al frastornante silenzio della Passione il mondo viene interpellato come Pilato, e messo dinanzi alla nuda Verità, chiediamo, con le parole di san Paolo vi , che il silenzio di Nazareth vi insegni, nella vostra specifica vocazione, «il raccoglimento e l’interiorità, l’essere disposti ad ascoltare le buone ispirazioni e la dottrina dei veri maestri, la necessità e il valore di una opportuna formazione, dello studio, della meditazione, di una vita interiore intensa, della preghiera personale che solo Dio vede».

(Al capitolo generale delle Sorelle terziarie cappuccine della Sacra famiglia)

 

 

Coraggio
creativo

 

La Comunità Shalom è nata quarant’anni fa durante una celebrazione eucaristica, al momento dell’offertorio.

Non è nata “a tavolino”, con un bel piano pensato. È nata nella preghiera, nella Liturgia.

Viene alla mente — con le debite proporzioni — l’episodio degli Atti degli Apostoli, quando Paolo e Barnaba vengono inviati in missione: avviene durante una preghiera comunitaria.

È lo Spirito Santo che fa vivere la Chiesa. E questo soprattutto nella preghiera, in modo speciale nella Liturgia.

La Liturgia non è una bella cerimonia, un rituale in cui sono al centro i gesti o le vesti! È l’azione di Dio con noi.

Bisogna essere attenti a Lui che parla, che agisce, che chiama, che invia.

Fabiola, mi hai chiesto come perseverare nell’amicizia con Dio in un mondo frenetico, e come “contagiare” questa esperienza.

Direi: ricordiamo il verbo che ripete l’evangelista Giovanni: “rimanere”.

Se rimaniamo uniti a Cristo come tralci alla vite, perseveriamo e “contagiamo”.

Anzitutto, se rimaniamo in Lui con la preghiera, l’ascolto della Parola, l’adorazione, il Rosario, allora la linfa dello Spirito Santo passa in noi.

A noi spetta l’impegno di rimanere in Lui, il resto lo fa lo Spirito Santo.

È Lui il protagonista, non noi; anche della crescita della mia anima.

Accoglienza
e slancio
missionario

 

Bertrand, ti ha colpito lo stile giovanile del primo incontro con “Shalom” e hai chiesto come mantenere vivo questo spirito. Bisogna restare aperti allo Spirito.

È Lui che rinnova i cuori, la Chiesa, il mondo.

Non giovinezza fisica, ma di spirito, quella che traspare negli occhi di certi vecchi più che in quelli di certi giovani! Non è questione di anagrafe.

Come disse San Giovanni Paolo ii nella Gmg del 2000, «chi sta con i giovani rimane giovane» (Veglia a Tor Vergata).

Se un anziano si isola, evita i giovani, invecchia prima.

Invece è arricchente stare con i ragazzi, gli adolescenti; non per “copiarli” — è ridicolo —, non per fare prediche, ma per ascoltarli, parlare con loro, raccontare qualche esperienza.

Riguardo al protagonismo... è il protagonismo della santità. Penso a Carlo Acutis, come esempio recente; ma prima a Piergiorgio Frassati, prima ancora a Gabriele dell’Addolorata, a Teresa di Gesù Bambino, a Francesco e Chiara d’Assisi, che erano giovani, fino alla prima e perfetta discepola: Maria di Nazaret, che era una ragazza quando disse “eccomi”.

Tutti ancora edificano la Chiesa con la loro testimonianza.

Pastori
non paternalisti

 

Come pastori dobbiamo imparare a non essere paternalisti.

A volte coinvolgiamo i giovani nelle iniziative pastorali, ma non fino in fondo.

Rischiamo di “usarli” per fare bella figura. Ma li ascoltiamo davvero?

Dilma, hai testimoniato la gioia dell’amicizia con i fratelli e le sorelle più poveri. E domandi come possiamo coltivare questa amicizia e farla gustare ad altri.

Ti porto un esempio: una giovane suora, a quel tempo sconosciuta, ha risposto alla chiamata di Dio che le diceva di stare vicino agli ultimi di Calcutta.

Dove trovava Teresa la forza di andare ogni giorno per le strade a raccogliere i moribondi? La trovava nel Signore Gesù, che ogni mattina riceveva e adorava.

Lui le diceva: “Ho sete”. E lei lo riconosceva nei volti delle persone abbandonate.

Prima alcune, poi decine, poi centinaia di giovani donne hanno seguito il suo esempio e altri affiancano come volontari.

Madalena e Jacqueline avete portano il fascino della prima ora.

La vostra domanda riguarda il cammino presente e futuro della Comunità. E richiede una risposta lunga, rivolta a tutti.

La Comunità è caratterizzata dal coraggio creativo, dall’accoglienza e da un grande slancio missionario.

Questi tratti distintivi si ritrovano ancora nelle iniziative che portate avanti.

Questo lavoro in vari Paesi ha dato vita a una realtà ecclesiale che ora comprende anche famiglie, celibi impegnati nella missione, sacerdoti.

Per favore: non siate gente da museo, ma che cammina.

Il vostro nome “Shalom” non è uno slogan, viene da Gesù Risorto, che apparendo ai discepoli disse: «Pace a voi».

Quella pace del cuore che avete ricevuto dal vostro incontro con Gesù risorto e dall’esperienza del suo amore.

Questa pace vi ha riconciliato con Dio, con voi stessi, con gli altri e ora cercate di trasmetterla alle persone che incontrate.

La parola “Shalom” è incisa anche nel “Tau”, il crocifisso che portate al collo, come segno della chiamata ad essere ovunque discepoli di Gesù.

Vivacità
della Chiesa
in Brasile

 

Nel vostro nome c’è anche la parola “cattolica”. È il nome della nostra Madre Chiesa!

Perché voi siete nati nel suo seno. Avete valorizzato i doni e la vivacità di cui è ricca la Chiesa in Brasile.

Avete messo a frutto la grazia proveniente dal Rinnovamento Carismatico.

Avete messo al centro la Celebrazione eucaristica, l’Adorazione, la Confessione.

Avete valorizzato la predicazione, la musica, la preghiera contemplativa individuale e quella comunitaria.

Questa è davvero la ricchezza “cattolica” e inesauribile che si trova nella Chiesa.

La vostra Comunità ha camminato sempre a fianco dei pastori.

Fu l’Arcivescovo di Fortaleza, Aloisio Lorscheider, a suggerire a Moysés di offrire qualcosa a San Giovanni Paolo ii , in rappresentanza di tutti i giovani.

E lo Spirito Santo ispirò a Moysés di offrire la sua vita. Fu Mons. Lorscheider, francescano, a orientare l’identità spirituale della giovane comunità consigliando gli scritti di Teresa d’Avila.

San Francesco e Santa Teresa sono gli ispiratori del vostro cammino. Conservate sempre spirito di filiale obbedienza, affetto e vicinanza ai pastori.

Non allontanatevi da loro. Dove c’è il pastore, c’è Gesù.

In questi quarant’anni si è delineata la fisionomia della comunità, ma è un processo non concluso.

Il fondatore è ancora alla guida e siete perciò ancora in una fase “fondazionale”.

Vi esorto a rimanere docili all’azione dello Spirito, aperti all’ascolto reciproco e agli orientamenti della Chiesa.

La proposta dell’offerta di sé senza rinunciare a mostrare la bellezza della vocazione al discepolato, deve saper rispettare la libertà delle persone, saper attendere i diversi tempi di crescita e accompagnare nella scelta dello stato di vita.

Evitare qualsiasi ingerenza nella coscienza; far sì che le varie forme di vita comune tutelino l’autonomia e le esigenze delle diverse vocazioni.

Benediciamo il Signore per i giovani che frequentano i vostri gruppi, per le famiglie che si sono formate, per le vocazioni, per il sostegno dato a tante parrocchie.

(Ai partecipanti all’incontro della comunità cattolica Shalom nel 40° di fondazione)

Mercoledì 28

Parlare
a Gesù come
a un amico

 

Riprendiamo le catechesi sul tema del discernimento; ci soffermiamo sul primo dei suoi elementi costitutivi, cioè la preghiera.

Per discernere occorre stare in un ambiente, in uno stato di preghiera.

La preghiera è un aiuto indispensabile per il discernimento spirituale, soprattutto quando coinvolge gli affetti, consentendo di rivolgerci a Dio con semplicità e familiarità, come si parla a un amico.

È saper andare oltre i pensieri, entrare in intimità con il Signore, con una spontaneità affettuosa.

Familiarità
e confidenza
con Dio

 

Il segreto della vita dei santi è la familiarità e confidenza con Dio, che cresce in loro e rende sempre più facile riconoscere quello che a Lui è gradito.

La preghiera vera non è recitare preghiere come un pappagallo... è questa spontaneità e affetto con il Signore.

Questa familiarità vince la paura o il dubbio che la sua volontà non sia per il nostro bene, una tentazione che a volte attraversa i nostri pensieri e rende il cuore inquieto e incerto o amaro.

Il discernimento non pretende una certezza assoluta... presenta molti aspetti che non si lasciano racchiudere in una sola categoria di pensiero.

Vorremmo sapere con precisione cosa andrebbe fatto, eppure, anche quando capita, non per questo agiamo sempre di conseguenza.

Quante volte abbiamo fatto anche l’esperienza descritta dall’apostolo Paolo: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio».

Non siamo solo ragione, non siamo macchine, non basta ricevere delle istruzioni per eseguirle: gli ostacoli, come gli aiuti, a decidersi per il Signore sono soprattutto affettivi, del cuore.

Preghiera
gioiosa

 

È significativo che il primo miracolo compiuto da Gesù nel Vangelo di Marco sia un esorcismo.

Nella sinagoga di Cafarnao libera un uomo dal demonio, dalla falsa immagine che Satana suggerisce: quella di un Dio che non vuole la nostra felicità.

L’indemoniato, di quel brano, sa che Gesù è Dio, ma questo non lo porta a credere in Lui.

Molti, anche cristiani, pensano la medesima cosa: che cioè Gesù possa anche essere il Figlio di Dio, ma dubitano che voglia la nostra felicità; anzi, alcuni temono che prendere sul serio la sua proposta, quello che Gesù ci propone, significhi rovinarsi la vita, mortificare i desideri, le aspirazioni.

Questi pensieri fanno talvolta capolino dentro di noi: abbiamo paura che Dio ci chieda troppo, che non ci voglia davvero bene.

Invece il segno dell’incontro con il Signore è la gioia.

Quando incontro il Signore nella preghiera, divento gioioso.

La tristezza, o la paura, sono invece segni di lontananza da Dio: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti», dice Gesù al giovane ricco.

Purtroppo per quel giovane, alcuni ostacoli non gli hanno consentito di attuare il desiderio che aveva nel cuore.

Era interessato, intraprendente, aveva preso l’iniziativa di incontrare Gesù, ma era anche molto diviso negli affetti, per lui le ricchezze erano troppo importanti.

Gesù non lo costringe a decidersi, ma il testo nota che il giovane si allontana da Gesù «triste».

Chi si allontana dal Signore non è mai contento, pur avendo abbondanza di beni e possibilità.

Gesù mai costringe a seguirlo... ti fa sapere la sua volontà, ma ti lascia libero.

E questa è la cosa più bella della preghiera con Gesù: la libertà che ci lascia.

Invece quando ci allontaniamo rimaniamo con qualcosa di triste, di brutto nel cuore.

Non è mai facile
discernere

 

Discernere cosa succede dentro di noi non è facile, perché le apparenze ingannano, ma la familiarità con Dio può sciogliere dubbi e timori, rendendo la vita sempre più ricettiva alla sua «luce gentile», secondo la bella espressione di San John Henry Newman.

I santi brillano di luce riflessa e mostrano nei semplici gesti della loro giornata la presenza amorevole di Dio, che rende possibile l’impossibile.

Si dice che due sposi che hanno vissuto insieme tanto tempo volendosi bene finiscono per assomigliarsi.

Qualcosa di simile si può dire della preghiera affettiva: in modo graduale ma efficace ci rende sempre più capaci di riconoscere ciò che conta per connaturalità, come qualcosa che sgorga dal profondo del nostro essere.

Stare in preghiera non significa dire parole; significa aprire il cuore a Gesù, avvicinarsi e lasciare che Gesù entri nel mio cuore e faccia sentire la sua presenza.

Lì possiamo discernere quando è Gesù e quando siamo noi coi nostri pensieri, tante volte lontani da quel che vuole Gesù.

Chiediamo la grazia di vivere una relazione di amicizia con il Signore, come un amico parla all’amico.

Un vecchio fratello religioso che era il portiere di un collegio ogni volta che poteva si avvicinava alla cappella, guardava l’altare, diceva: “Ciao”, perché aveva vicinanza con Gesù.

Non aveva bisogno di dire bla bla bla: “ciao, ti sono vicino e tu mi sei vicino”.

Vicinanza
affettiva

 

Questo è il rapporto che dobbiamo avere nella preghiera: vicinanza affettiva, come fratelli, con Gesù.

Un sorriso, un semplice gesto e non recitare parole che non arrivano al cuore.

È una grazia che dobbiamo chiedere gli uni per gli altri: vedere Gesù come il nostro amico più grande, amico fedele, che non ricatta e non ci abbandona mai.

Anche quando ci allontaniamo Lui rimane alla porta del cuore, zitto, a portata di mano, a portata di cuore perché sempre è fedele.

Andiamo avanti con questa preghiera del “ciao”, salutare il Signore con il cuore, la preghiera dell’affetto, della vicinanza, con poche parole ma con gesti e con opere buone.

(Udienza generale in piazza San Pietro)