La repressione
Dodici notti di proteste, quasi tremila persone arrestate soltanto a Teheran, il numero delle vittime che sale di ora in ora, in un susseguirsi di notizie ancora difficili da verificare, per le restrizioni alle comunicazioni internet in tutto l’Iran. Questo il bilancio delle manifestazioni nella Repubblica islamica, dalla capitale a Tabriz, da Qom a Yazd e in molte altre città, in corso dal 16 settembre, giorno della morte della ragazza curda Mahsa Amini, dopo l’arresto da parte della cosiddetta “polizia morale” con l’accusa di non aver indossato correttamente il velo islamico.
Secondo la ong Iran Human Rights, con sede in Norvegia, 76 persone sarebbero state uccise durante la repressione della polizia contro i manifestanti, che sono principalmente donne, ma non solo.
L’agenzia di stampa iraniana Irna ha riferito dell’arresto di altre 12 persone da parte delle Guardie della rivoluzione nella provincia settentrionale di Gilan, con l’accusa di avere tenuto incontri segreti per organizzare proteste violente. Reporter senza frontiere e altre associazioni internazionali fanno sapere che almeno 18 giornalisti sono finiti in manette. Denunciato pure l’arresto di Faezeh Hashemi, l’attivista figlia dell’ex presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che stava partecipando alle dimostrazioni a Teheran.
Dopo l’appello all’Iran del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, a non usare «forza sproporzionata» contro i manifestanti, ieri a Ginevra l’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha esortato Teheran a «garantire i diritti a un giusto processo» e a «rilasciare le persone arbitrariamente» arrestate. Dagli Stati Uniti, un nuovo intervento del segretario di Stato, Antony Blinken, ha invocato la fine delle violenze contro le donne e i dimostranti.
La linea delle autorità però non cambia. La polizia ha annunciato che userà «tutta la propria forza» per contrastare quelle che ha definito «cospirazioni dei controrivoluzionari ed elementi ostili», volte — secondo gli agenti — a sconvolgere «l’ordine pubblico e la sicurezza». Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, ha poi puntualizzato che le proteste «non destabilizzeranno» il Paese.
La Bbc in lingua farsi ha intanto raccolto nuove testimonianze sulla morte di Hadith Najafi, l’altra ragazza uccisa nel corso delle manifestazioni di protesta, a Karaj, a nord-ovest di Teheran.
È stato chiarito che Hadith non era la giovane ripresa nel video diventato virale sui social mentre, senza il suo hijab, si raccoglieva i capelli in una coda prima di un corteo. La sorella ha rivelato che, dopo il ferimento mortale, Hadith era stata trasportata all’ospedale di Ghaem, con segni di ferite multiple da arma da fuoco al viso, al petto e al collo.