· Città del Vaticano ·

In Amazzonia cresce il Progetto Noè di padre Gianni Mometti

Il religioso pazzo
che costruisce “laghetti”

 Il religioso pazzo che costruisce “laghetti”  QUO-220
26 settembre 2022

Padre Gianni è un pazzo. Ma la sua è una follia che arriva direttamente da Dio. A descrivere così Giovanni Mometti fu lo stesso Papa Francesco durante l’omelia di una Messa a Santa Marta, il 7 gennaio 2019, in cui il salesiano concelebrava accanto al Pontefice. «Lo Spirito alle volte ci spinge alle grandi pazzie di Dio, come è accaduto all’uomo che è oggi fra voi, e che da più di 60 anni ha lasciato l’Italia per andare tra i lebbrosi», aveva detto il Papa.

Bresciano di origine, missionario in Amazzonia dal 1956, padre Gianni si laurea in filosofia e teologia a San Paolo, in Brasile, dove dieci anni dopo viene ordinato sacerdote. Da subito, pur essendo stato destinato dai superiori all’Università Gregoriana, sente di dover dar retta alla voce che gli tartassa il cuore e le orecchie: andare in quel mondo sofferente fatto di povertà, fame e malattia a portare l’annuncio del Vangelo, non solo a parole. Piedi nudi, come gran parte dei ribeirinhos (le popolazioni che abitano lungo il Rio delle Amazzoni), mani vuote ma desiderose di aiutare, oggi all’età di 85 anni, padre Joao, come lo chiama la sua gente, vive e opera a Igarapè-Açù, nello Stato di Parà, nell’Amazzonia brasiliana, e a Vatican News e L’Osservatore Romano rilancia il progetto “Nuovo Mosé” di cui è stato tra i primi sostenitori.

Origini e caratteristiche del progetto


«Non è un nome scelto a caso — dice padre Gianni in una videochiamata fatta alle 23 ora italiana — perché prende il nome da un episodio biblico e come Mosé per volontà di Dio è stato salvato dalle acque del Nilo così noi vogliamo che il nostro fiume possa salvare, con la ricchezza e l’abbondanza delle sue acque, tutte le popolazioni che vivono lungo il suo corso». Cuore del progetto, attivo dal 1989 nelle regioni Bragantina e Salgado dello Stato brasiliano del Parà e che già sfama circa 3000 famiglie, è il modulo “Vibra Joao xxiii ” che affida ad ogni nucleo familiare 5 ettari in concessione dallo Stato. Uno viene trasformato in un laghetto artificiale, nel quale si ricava una piana per la coltivazione del riso, con una media di tre raccolti all’anno. Intorno alla piana si realizza un canale per l’allevamento di circa diecimila avannotti, pesci che arrivano a pesare fino a 6 chilogrammi, e sugli argini del laghetto si costruisce un porcile per maiali, che non inquinano l’acqua del laghetto ma alimentano i pesci con il plancton. Negli altri quattro ettari la famiglia coltiva alimenti per sé e per il mantenimento dei maiali. «Questi laghetti — prosegue padre Giovanni — risolvono il problema della deforestazione che sta distruggendo l’Amazzonia. E più laghetti si faranno più la gente non avrà bisogno di abbattere alberi per coltivare la terra. Quindi il mio sogno è proprio questo: fare delle terre bagnate dal Rio delle Amazzoni e dei suoi affluenti, che sono le più fertili del mondo, il “granaio dei poveri”, per sfamare chi vive nella regione ma non solo. E questo senza abbattere una sola pianta della foresta che ci dà un terzo di tutto l’ossigeno che respiriamo».

Il missionario salesiano cita più volte Francesco, l’enciclica Laudato si’, l’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia e avverte: «Il più grande peccato che possiamo commettere è non usare al meglio i doni che Dio ci ha dato! E Dio ci ha dato tutto. Questo non è un progetto solo per noi, potremmo replicarlo in Africa, in Asia, ovunque ci sia acqua. Noi siamo disposti a fare formazione ai giovani, ospitarli e insegnare loro come non morire di fame. Qui sperimentiamo davvero il brano evangelico de “La moltiplicazione dei pani e dei pesci”. Nella Laudato si’ inoltre il Papa lo dice: senza Amazzonia il mondo muore, l’Amazzonia è vita per tutti, non solo per gli autoctoni. Al centro dell’enciclica ci sono i fragili, i poveri, gli ultimi e di certo non ci si prende cura di loro o dell’ambiente distruggendo ettari e ettari di foresta per allevare capi di bestiame. Noi dobbiamo produrre quello che ci dà l’acqua, per questo operiamo solo dove non ci sono piante e così assicuriamo anche il mantenimento della biodiversità. Ci sarebbero 300 milioni di ettari di terreni a disposizione per realizzare tutti i punti del nostro progetto. Ma tutto è fermo perché mancano i soldi: quando ero assessore dell’Amazzonia avevamo pensato anche ad una specie di tassa, un “debito vitale” che tutti dovremmo pagare per garantirci quel 30-40 per cento di ossigeno che l’Amazzonia arriva a darci ogni giorno».

Un circolo virtuoso


Quando parla della sua gente, a padre Gianni “brilla” la voce. «Noi abbiamo un contatto diretto con tutti, ma non è assistenzialismo, lo facciamo per missione, per organizzarli, guidarli, perché ognuno può contribuire. Per strada tutti mi chiedono: “padre Gianni vieni anche da noi ad insegnarci a costruire i laghetti?”. La gente capisce l’importanza e la portata di questa iniziativa che offre un futuro a loro e alle loro famiglie. La difficoltà più grande è proprio questa: non poter dare loro ciò che chiedono. Servono fondi anche per comprare i mangimi, le attrezzature. Non hanno niente e si mettono a scavare con le mani e noi cosa facciamo? Restiamo a guardare? Il progetto Nuovo Mosè può salvare con le loro forze gli indios e i poveri dell’Amazzonia, con la loro capacità, con la loro cultura, non insegnando loro niente di nuovo, solo guidandoli». In pratica il Nuovo Mosé non fa altro che creare un ciclo ecologico di produzione completamente biologica di alimenti, alternativo alla distruzione della foresta Amazzonica (più di 40 milioni le piante già distrutte), perché, come spiega padre Gianni «ogni capo di bestiame ha bisogno di un ettaro di terra a pascolo, che oggi viene sottratta alla foresta. Questo capo in un anno ti dà 300 chili di carne. Il nostro progetto con un ettaro di terra, senza abbattere un albero, ci dà dalle 40 alle 60 tonnellate di alimenti. Inoltre per produrre il riso non si usano concimi chimici, perché gli escrementi dei suini oltre a diventare plancton per i pesci, concimano anche la piana del riso; infine l’acqua contenuta nei laghetti può essere riversata sui campi vicini, fertilizzandoli e migliorando così la produzione agricola dei piccoli contadini». Un circolo più che virtuoso quindi che realizza quell’ecologia integrale di cui parla Papa Francesco nella sua Laudato si’, soprattutto perché coinvolge l’uomo non in veste di carnefice dell’ambiente ma di custode.

«La Conferenza episcopale italiana — ricorda infine il missionario bresciano — nel 1989 ci ha dato 200 milioni delle vecchie lire, e con quelli abbiamo iniziato il progetto. Io per realizzarlo mi sono indebitato completamente. I terreni sono demaniali: il governo lì dà in concessione per 99 anni e poi altri 99: ma se noi non stiamo attenti, chi ha soldi può arrivare prima di noi e fare cose che distruggono il Creato e l’uomo. Oggi voglio rinnovare l’appello per un sostegno finanziario ai cristiani di tutto il mondo, ma anche alle istituzioni internazionali, e a tutti gli uomini di buona volontà perché tutti siamo debitori all’Amazzonia. L’ Amazzonia può veramente salvare il mondo mantenendo l’ossigeno del pianeta e dando da mangiare a tutti».

di Cecilia Seppia