· Città del Vaticano ·

In Italia un voto per l’Europa per il Sud, per la pace

 In Italia un voto per l’Europa  per il Sud, per la pace  QUO-219
24 settembre 2022

Domani gli italiani andranno a votare per eleggere il Parlamento della Repubblica. È la prima volta che avviene al termine dell’estate, quando l’autunno è appena cominciato. C’è molta attesa, come sempre e non solo per conoscere l’esito ma anche per capire se quel primo partito che i sondaggi danno in progressiva crescita ormai da anni, il “partito dell’astensione”, confermerà la sua primazia e in che termini percentuali. Del resto questa tendenza non è solo italiana ma anche europea, mondiale e segnala quel clima generale fatto per lo più di sfiducia. E invece le elezioni sono, in qualche modo, il “rito” della fiducia. Senza la fiducia non solo il Parlamento e quindi il Governo ma tutta la vita politica e sociale si ferma, non può camminare, si inceppa.

Un’altra novità delle elezioni di domani è l’acuirsi della polarizzazione dello scontro politico. Questa polarizzazione appare una conferma della tendenza che vediamo svilupparsi da diversi anni in campo sociale: tutto è diventato oggetto di contrapposizioni radicali, manichee, a volte anche secondo schematismi artificiosi, costruiti a tavolino. In questo l’avvento della rete e dei social non ha aiutato ma anzi ha acuito la gara alla semplificazione, all’assertività che diventa chiusura, aggressività e infine, scontro. L’eccesso di polarizzazione non fa bene alla ricerca dell’armonia tra le diverse parti sociali e partiti politici che convivono nello stesso territorio, animano lo stesso popolo e dovrebbero lavorare per comporre e ricomporre, mediare e fare sintesi di tutte le istanze che di continuo emergono dalla vita di una comunità, altra parola fondamentale, che vive appunto della dinamica armonia delle differenze.

Il voto di domani riguarda il territorio e il popolo italiano ma si può ancora dire che è un voto solo italiano? Tutto oggi è sempre più connesso, a fianco e prima e dopo della comunità italiana c’è quella “comunità di comunità” che è l’Europa. Questo voto italiano deve quindi essere anche un voto europeo, cioè un voto per la pace. Ora che la guerra è scoppiata nel cuore del Vecchio Continente, l’Europa deve dimostrare di non essere un continente vecchio. Deve essere cioè operatore di pace, come è stato all’indomani della Seconda Guerra Mondiale per spegnere il fuoco acceso della Terza. C’è da sperare che l’Europa ritrovi un ruolo da protagonista, sia creativa nel proporre vie per il negoziato, senza lasciar cadere alcuna possibilità, senza chiudere alcuna porta, perché l’unica alternativa alla pace è l’autodistruzione dell’umanità. Infine l’augurio è che questo voto sia per il Sud. Anche qui, non solo per il Sud d’Italia ma per il Sud del mondo. Del resto la politica non esiste solo per la ricerca dell’armonia tra le differenze, non solo per costruire comunità sempre più ampie e interconnesse ma soprattutto per dar voce a chi non ha voce, per aiutare gli ultimi a crescere. Come per la scuola secondo don Milani che deve dedicarsi agli studenti più deboli, la politica esiste per aiutare chi sbaglia, i più deboli, non per i primi della classe. Per questo è un voto, quello di domani, per le fasce più deboli, per il Sud del mondo. Come ha detto il Papa nella recente intervista al quotidiano «Il Mattino» parlando di Napoli: la questione meridionale non riguarda solo Napoli o il Sud d’Italia ma tutto il mondo. Il divario tra Nord e Sud del mondo, negli ultimi anni, si è allargato. Alla fine della guerra fredda sembrava ridotta al minimo la distanza tra Est e Ovest del mondo e che quindi si potesse lavorare per fare la stessa cosa tra Nord e Sud, ma ancora molto poco si è fatto. Per di più ora quella distanza tra Occidente e Oriente, a causa della tragica vicenda dell’invasione russa in Ucraina, si è di nuovo divaricata. Ancora una volta il rischio è la polarizzazione: se i quattro poli del mondo esplodono in direzione centrifuga, il risultato può essere solo povertà e conflittualità. I politici devono essere invece promotori di unità e di sviluppo e operatori di pace e, per farlo, devono «guardare negli occhi la gente» dice il Papa, e «sapere che il bene di un popolo è molto più di un consenso tra le parti». La sfida è grande, e ci vuole creatività, un tema caro a Papa Francesco come ha ribadito nell’intervista al «Mattino»: «Una creatività indirizzata al bene. A un nuovo modello economico», serve una politica vicina invece ai problemi della gente perché il suo compito è «lavorare per trovare insieme soluzione a questi problemi. Per la Chiesa la politica è anzitutto arte dell’incontro, è  un servizio al bene comune».

In questo orizzonte va letta la difficile sfida che si trovano davanti gli elettori italiani domani, nel rito ad un tempo segreto e pubblico della fiducia.

di Andrea Monda