· Città del Vaticano ·

La sfida della pace secondo Papa Francesco

La sete e il deserto

 La sete e il deserto  QUO-211
15 settembre 2022

«Abbiamo dunque bisogno di religione per rispondere alla sete di pace del mondo e alla sete di infinito che abita il cuore di ogni uomo», ha affermato Papa Francesco mercoledì mattina nel suo discorso di apertura al settimo Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali a Nur-Sultan capitale del Kazakhstan. Una sete che ha due “direzioni”, la pace e l’infinito, ma lo stesso centro: Dio. La discussione, sia nell’intervento del Papa che in quello degli altri leader religiosi partecipanti al Congresso, si è soffermata soprattutto sul primo aspetto, la sete di pace; esito inevitabile in un momento storico in cui il mondo soffre per quella terza guerra ormai dichiarata e totale e non più “a pezzetti”.

Il Papa ha parlato più esattamente di «sfida della pace», una sfida che provoca soprattutto i credenti «in nome di quella fratellanza che tutti ci unisce, in quanto figli e figlie dello stesso Cielo» e ha ripetuto con veemenza che la dimensione religiosa non sia piegata a fini politici e ridotta a «puntello del potere»: «Memori degli orrori e degli errori del passato, uniamo gli sforzi, affinché mai più l’Onnipotente diventi ostaggio della volontà di potenza umana».

Sul tema della memoria Francesco è ritornato nell’omelia della messa di mercoledì pomeriggio nel piazzale dell’Expo sottolineando come «ci fa bene custodire il ricordo di quanto sofferto: non bisogna ritagliare dalla memoria certe oscurità, altrimenti si può credere che siano acqua passata e che il cammino del bene sia delineato per sempre. No, la pace non è mai guadagnata una volta per tutte, va conquistata ogni giorno». Per far questo però è necessario ritornare alle sorgenti della fede e liberarsi «da quelle concezioni riduttive e rovinose che offendono il nome di Dio attraverso rigidità, estremismi e fondamentalismi, e lo profanano mediante l’odio, il fanatismo e il terrorismo, sfigurando anche l’immagine dell’uomo».

Già alla fine degli anni ’90 Joseph Ratzinger, discutendo con Jurgen Habermas, argomentava sulla necessità di una purificazione della religione; oggi il Papa afferma l’urgenza di tornare ad una «religiosità autentica. È venuta l’ora di destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo, l’ora di rendere limpido e compassionevole il cuore».

Se i popoli hanno sete di pace, i cuori hanno sete di infinito. Nel suo discorso il Papa cita Abai, il grande poeta kazako che esortava a mantenere «desta l’anima e limpida la mente» e a fianco gli pone il grande poeta dell’infinito, Giacomo Leopardi: «Abai ci provoca con un interrogativo intramontabile: «Qual è la bellezza della vita, se non si va in profondità?» (Poesia, 1898). Un altro poeta si chiedeva il senso dell’esistenza, mettendo sulle labbra di un pastore di queste sconfinate terre d’Asia una domanda altrettanto essenziale: «Ove tende questo vagar mio breve?» (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia)».

La sete emerge con tutta la sua forza distruttiva in luoghi e “momenti” desertici, e in alcuni interventi durante il Congresso si è sentito questo grido rispetto alla “desertificazione” che ha aggredito la dimensione spirituale dell’umanità, ad esempio nel suo discorso l’Imam Ahmed Al-Tayyeb, Sceicco di Al-Azhar, ha parlato del «declino dell’aspetto spirituale» nonché dell’assenza «della dimensione morale nel percorso dell’uomo contemporaneo». Eppure è proprio la sete, direbbe il piccolo principe di Sant’Exupery, che, nel deserto, segnala la presenza del pozzo. Lo ha ricordato qualche giorno fa il cardinale Zuppi in un’intervista rilasciata a questo giornale: «se è vera l’immagine della desertificazione spirituale, ci deve essere anche l’acqua.  Il deserto in quanto tale esprime la sete, il bisogno e la ricerca dell’acqua». La scrittrice danese Karen Blixen osservava come «fino ad oggi, nessuno ha veduto gli uccelli migratori dirigersi verso sfere più calde che non esistono, o i fiumi dirottare attraverso rocce e pianure per correre in un oceano che non può essere trovato. Perché Dio non crea una brama, un desiderio, o una speranza senza aver pronta una realtà che li esaudisca. La nostra brama è la nostra certezza».

Il desiderio della pace e quello d’infinito dicono la stessa sete, quella che si avverte di più quando si perde la fiducia in Dio e si smarrisce la strada nei propri deserti esistenziali, come ha ricordato in modo accorato il Papa nell’omelia del pomeriggio: «Quante volte, sfiduciati e insofferenti, ci siamo inariditi nei nostri deserti, perdendo di vista la meta del cammino! Anche in questo grande Paese c’è il deserto che, mentre offre uno splendido paesaggio, ci parla di quella fatica, di quella aridità che a volte portiamo nel cuore. Sono i momenti di stanchezza e di prova, nei quali non abbiamo più le forze per guardare in alto, verso Dio».

Riprendere il cammino, e camminare insieme, in avanti e in alto. Questo il messaggio del secondo giorno del pellegrinaggio di pace e di unità di Papa Francesco in Kazakhstan, certo che, «di fronte alle nostre bassezze, Dio ci dona un’altezza nuova». È la forza viva e vitale delle religioni che il Papa, parlando agli altri leader religiosi del mondo, ha ribadito con forza: «Di fronte al mistero dell’infinito che ci sovrasta e ci attira, le religioni ci ricordano che siamo creature: non siamo onnipotenti, ma donne e uomini in cammino verso la medesima meta celeste». 

di Andrea Monda