La missione del sacerdote, la bellezza dello stare davanti al Signore come fratelli e sorelle, l’annuncio dell’amore di Dio a cui tutti gli uomini e le donne sono chiamati e che proviene dal cuore di Gesù crocifisso, nell’omelia di padre Federico Lombardi durante la messa celebrata stamane nella chiesa romana di Santa Maria in Traspontina, in occasione del suo ottantesimo compleanno e del cinquantennale dell’ordinazione presbiterale.
Una meditazione accolta da un’assemblea fatta di volti conosciuti da lui ad uno ad uno, nei tanti anni di lavoro per i media vaticani, essendo stato a lungo direttore di Radio vaticana, oltre che del Centro televisivo vaticano e della Sala stampa della Santa Sede, oggi confluiti nel Dicastero per la comunicazione. «Avendo passato oltre un terzo della vita e oltre la metà della vita sacerdotale in questi paraggi, era giusto avere un’occasione per ritrovarci qui a pregare», afferma. Quindi ricorda le numerose altre volte in cui la comunità si è ritrovata in circostanze «liete e tristi» nell’edificio di culto a due passi da Palazzo Pio. È Cristo «che ci raduna qui», dice, ed è di Lui che il sacerdote gesuita vuol parlare.
La pagina del Vangelo descrive la scena della croce, davanti alla quale «si rimane senza parole. Nel corso degli anni — confida — mi sono sentito sempre più attratto, e come soggiogato da essa. Davanti ad essa non abbiamo molte parole da dire. Bisogna contemplare, con gli occhi e soprattutto con lo sguardo dello spirito», lasciando che «il mistero dell’amore di Dio si sveli, su di noi e sul mondo, che sembra dominato — allora e anche oggi — dalla morte e dall’odio». Per questo, ringraziare Dio «per il cuore aperto di Gesù e per i sacramenti della Chiesa» è «il significato di questa celebrazione».
Il pensiero va poi a quanti sono e sono stati impegnati nella comunicazione vaticana con un ricordo che riguarda il «nostro lavoro e il luogo del nostro lavoro». Il riferimento è alla loggia che è nel pilastro di San Longino all’interno della basilica Vaticana «con una vista unica sull’altare papale». Da lì si trasmettevano le radiocronache delle diverse liturgie pontificie «che si svolgevano sotto i nostri occhi. Per me — dice — la diretta più amata era la Veglia pasquale», celebrata «sopra la tomba di san Pietro. Di fronte — prosegue il suo ricordo — la statua della Veronica che «correva stupefatta a mostrare a tutti il volto di Gesù impresso sul suo lino e nel suo cuore». Anche chi lavora nei media vaticani, conclude Lombardi, deve fare così: «correre a mostrare il volto di Gesù scritto per grazia nel cuore, come il messaggio più importante e più bello. Così il nostro lavoro continuerà ad attingere il suo senso alla sorgente».
È il prefetto Paolo Ruffini a salutare il festeggiato a nome di tutto il Dicastero per la comunicazione: «Se siamo qui oggi così numerosi e felici di esserci è perché tutti in modo diverso siamo figli di padre Federico, figli professionali, spirituali cresciuti sulle sue spalle di gesuita, di giornalista, di cristiano, che ha saputo essere e continua a essere maestro e testimone di servizio disinteressato alla Chiesa e alla Santa Sede». Poi elenca alcune delle caratteristiche che ne hanno fatto un dono per gli altri, come le sue parole, il «suo esserci sempre, la capacità di ascoltare, rispondere, spiegare, la sua signorilità, il suo umorismo». E la sua pazienza, «virtù della gente di montagna», oltre che «la passione per il dialogo, l’interesse per chi la pensa diversamente, la curiosità per il mondo, l’umiltà di capire che non tutto è possibile» perché non tutto dipende dall’uomo. Infine sottolinea il desiderio di Lombardi, sulla scia di sant’Ignazio, di passare quasi inosservato: «Padre Federico ci ha insegnato che la trincea dove si combatte la nostra battaglia non è un altrove», ma «esattamente nel luogo in cui siamo».
di Adriana Masotti