· Città del Vaticano ·

Nella basilica Vaticana la messa del Papa con i nuovi porporati e il Collegio cardinalizio

La capacità di stupirsi
è il termometro
della vita spirituale

 La capacità di stupirsi è il termometro della vita spirituale   QUO-198
31 agosto 2022

La prima concelebrazione eucaristica dei nuovi porporati con il Papa e il Collegio cardinalizio è stata all’insegna della comunione e della fraternità. Svoltasi martedì pomeriggio, 30 agosto, nella basilica Vaticana, e presieduta dal Pontefice, la messa ha concluso le intense giornate iniziate sabato 27 con il Concistoro e proseguite con la riunione dedicata alla costituzione apostolica «Praedicate Evangelium». Una comunità in cammino, sottolineata anche dalla scelta delle letture proprie del formulario «per la Chiesa». Al momento della consacrazione è salito all’altare della Confessione il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, insieme con i neoporporati Arthur Roche e Lazzaro You Heung-sik, rispettivamente prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, e del Dicastero per il clero. Insieme con il Papa hanno concelebrato centosessanta cardinali, tra i quali, Pietro Parolin, segretario di Stato. Con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano gli arcivescovi Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, e Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e monsignor Joseph Murphy, capo del Protocollo. Il rito — diretto da monsignor Diego Ravelli, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie — si è concluso con il canto del Salve Regina intonato dal coro della Cappella Sistina.

Le Letture di questa celebrazione — proprie del formulario “per la Chiesa” — ci presentano un duplice stupore: quello di Paolo di fronte al disegno di salvezza di Dio (cfr. Ef 1, 3-14) e quello dei discepoli, tra i quali anche lo stesso Matteo, nell’incontro con Gesù risorto, che li invia in missione (cfr. Mt 28, 16-20). Duplice stupore. Inoltriamoci dentro questi due territori, dove soffia con forza il vento dello Spirito Santo, così che possiamo ripartire da questa celebrazione, e da questa convocazione cardinalizia, più capaci di “annunciare a tutti i popoli le meraviglie del Signore” (cfr. Salmo resp.).

L’inno con cui si apre la Lettera agli Efesini sgorga dalla contemplazione del piano salvifico di Dio nella storia. Come rimaniamo incantati al cospetto dell’universo che ci circonda, così ci pervade lo stupore considerando la storia della salvezza. E se nel cosmo ogni cosa si muove o sta ferma secondo l’impalpabile forza di gravità, nel disegno di Dio attraverso i tempi tutto trova origine, sussistenza, destinazione e fine in Cristo.

Nell’inno paolino questa espressione — «in Cristo» o «in Lui» — è il cardine che sorregge tutte le fasi della storia della salvezza: in Cristo siamo stati benedetti prima della creazione; in Lui siamo stati chiamati; in Lui siamo stati redenti; in Lui ogni creatura è ricondotta all’unità, e tutti, vicini e lontani, primi e ultimi, siamo destinati, grazie all’opera dello Spirito Santo, ad essere a lode della gloria di Dio.

Di fronte a questo disegno, a noi — come dice la liturgia — «si addice la lode» (Resp. Lodi lunedì iv sett.): lode, benedizione, adorazione, gratitudine che riconosce l’opera di Dio. Una lode che vive di stupore, ed è preservata dal rischio di scadere nell’abitudine finché attinge la meraviglia, finché si alimenta con questo atteggiamento fondamentale del cuore e dello spirito: lo stupore. Io vorrei domandare ad ognuno di noi, a voi cari fratelli Cardinali, a voi Vescovi, sacerdoti, consacrati, consacrate, popolo di Dio: come va il tuo stupore? Tu senti stupore, a volte? O ti sei dimenticato cosa significhi?

Questo clima di stupore è il clima che respiriamo inoltrandoci nel territorio dell’inno paolino.

Se poi ci addentriamo nel breve ma denso racconto evangelico, se insieme ai discepoli rispondiamo all’appello del Signore e ci rechiamo in Galilea — ognuno di noi ha la propria Galilea nella propria storia, quella Galilea nella quale abbiamo sentito la chiamata del Signore, lo sguardo del Signore che ci ha chiamato; tornare a quella Galilea —, se torniamo a quella Galilea, sul monte da Lui indicato, sperimentiamo un nuovo stupore. Questa volta, a incantarci, non è il piano di salvezza in sé stesso, ma il fatto — ancora più sorprendente — che Dio ci coinvolge, in questo suo disegno: è la realtà della missione degli apostoli con Cristo risorto. In effetti, possiamo appena immaginare con quale stato d’animo gli «undici discepoli» ascoltarono quelle parole del Signore: «Andate [...] fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20); e poi la promessa finale che infonde speranza e consolazione — oggi [nella riunione del mattino] abbiamo parlato della speranza —: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (v. 20). Queste parole del Risorto hanno ancora la forza di far vibrare i nostri cuori, a duemila anni di distanza. Non finisce di stupirci l’insondabile decisione divina di evangelizzare il mondo a partire da quel misero gruppo di discepoli, i quali — come annota l’Evangelista — erano ancora dubbiosi (cfr. v. 17). Ma, a ben vedere, non diversa è la meraviglia che ci prende se guardiamo a noi, riuniti qui oggi, ai quali il Signore ha ripetuto quelle stesse parole, quel medesimo invio! Ognuno di noi, e noi come comunità, come Collegio.

Fratelli, questo stupore è una via di salvezza! Che Dio ce lo conservi sempre vivo, perché esso ci libera dalla tentazione di sentirci “all’altezza”, di sentirci “eminentissimi”, di nutrire la falsa sicurezza che oggi, in realtà, è diverso, non è più come agli inizi, oggi la Chiesa è grande, la Chiesa è solida, e noi siamo posti ai gradi eminenti della sua gerarchia — ci chiamano “eminenze” —... Sì, c’è del vero in questo, ma c’è anche tanto inganno, con cui il Menzognero di sempre cerca di mondanizzare i seguaci di Cristo e renderli innocui. Questa chiamata è sotto la tentazione della mondanità, che passo a passo ti toglie la forza, ti toglie la speranza; ti impedisce di vedere lo sguardo di Gesù che ci chiama per nome e ci invia. Questo è il tarlo della mondanità spirituale.

In verità, la Parola di Dio oggi risveglia in noi lo stupore di essere nella Chiesa, lo stupore di essere Chiesa! Torniamo a questo stupore iniziale, battesimale! Ed è questo che rende attraente la comunità dei credenti, prima per loro stessi e poi per tutti: il duplice mistero di essere benedetti in Cristo e di andare con Cristo nel mondo. E tale stupore non diminuisce in noi con il passare degli anni, non viene meno con il crescere delle nostre responsabilità nella Chiesa. Grazie a Dio no. Si rafforza, si approfondisce. Sono certo che è così anche per voi, cari fratelli che siete entrati a far parte del Collegio dei Cardinali.

E ci dà gioia il fatto che questo senso di riconoscenza ci accomuna tutti, tutti noi battezzati. Dobbiamo essere tanto grati al Papa San Paolo vi, che ha saputo trasmetterci questo amore per la Chiesa, un amore che è prima di tutto riconoscenza, meraviglia grata per il suo mistero e per il dono di esservi ammessi, non solo, di esservi coinvolti, partecipi, di più, di esserne corresponsabili. Nel Prologo dell’Enciclica Ecclesiam suam — quella programmatica, scritta durante il Concilio — il primo pensiero che anima il Papa è — cito — «che questa sia l’ora in cui la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, [...] la propria origine, la propria missione»; e fa riferimento proprio alla Lettera agli Efesini, al «“piano provvidenziale del mistero nascosto da secoli in Dio... affinché sia manifestato... per mezzo della Chiesa” (Ef 3, 9-10)».

Questo, cari fratelli e sorelle, è un ministro della Chiesa: uno che sa meravigliarsi davanti al disegno di Dio e che con questo spirito ama appassionatamente la Chiesa, pronto a servire la sua missione dove e come vuole lo Spirito Santo. Così era Paolo apostolo — lo vediamo nelle sue Lettere —: lo slancio apostolico e la preoccupazione per le comunità in lui è sempre accompagnato, anzi, preceduto dalla benedizione piena di grata ammirazione: “Benedetto sia Dio...”, e piena di stupore. E questo forse è la misura, il termometro della nostra vita spirituale. Ripeto la domanda, caro fratello, cara sorella — siamo tutti insieme qui —: come va la tua capacità di stupirti? O ti sei abituato, abituata tanto, che l’hai persa? Sei capace di stupirti ancora?

Che possa essere così anche per noi! Stupirci. Che sia così per ognuno di voi, cari fratelli Cardinali! Ci ottenga questa grazia l’intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, che guardava e portava tutte le cose in ammirazione nel suo cuore. Così sia.