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Storie di fede e di santi negli scritti di John Fante

Quel «dago rosso»
amato da Orson Welles

 Quel «dago rosso»  amato da Orson Welles  QUO-196
29 agosto 2022

L’appuntamento agostano del John Fante Festival appena concluso (www.johnfante.org) ospitato dal paesino montano di Torricella Peligna, in provincia di Chieti, è sempre una preziosa occasione per una riflessione su questo amato scrittore e sceneggiatore, nella cui opera la fede cattolica ha avuto un ruolo fondamentale. Nato nel 1909 in Colorado, da padre abruzzese (di Torricella Peligna, per l’appunto) e madre americana, ma di origini italiane, John Fante ha ricevuto una educazione cattolica come da tradizione nelle più rispettose famiglie dei paisà, educazione rafforzata dalla Regis High School, un istituto gestito dai gesuiti che Fante ha frequentato prima di iscriversi alla University of Colorado di Denver. Gli insegnamenti rigorosi dei gesuiti hanno aiutato il giovane a edificare una roccaforte dell’anima, contro l’aspra discriminazione che le comunità italiane subivano dai cosiddetti wasp (acronimo per: White Anglo-Saxon Protestant)che per riferirsi agli immigrati italiani usavano il dispregiativo dago; questo conflitto identitario ha caratterizzato fortemente la giovinezza dell’autore di 1933. Un anno terribile e ben si evince da tutta la saga del suo alter ego letterario Arturo Bandini.

Con la maturità, umana e letteraria, la fede — come del resto in Ralph Waldo Emerson e in Henry David Thoreau, anche se partendo da basi religiose diverse — ha veicolato il pensiero di Fante (ricordate l’aforisma del cardinale Martini? «Non domandiamoci se siamo credenti o non credenti, ma pensanti o non pensanti») verso una personalissima filosofia di vita in grado di fondere i precetti religiosi ricevuti con un realismo magico frutto di una accanita fiducia nel cuore buono degli uomini.

L’emarginazione, la discriminazione, la rincorsa di un sogno (non solo “americano”), la speranza hanno sintonizzato l’attenzione di Fante sulla vita dei santi. Tra questi madre Cabrini, prima americana canonizzata (da Pio xii nel 1946). La “mamma degli ultimi”, dell’integrazione, che non a caso aveva affascinato anche un altro scrittore italoamericano di origini abruzzesi, Pietro Di Donato, che ne ha scritto la biografia (The Immigrant Saint. Life of Mother Cabrini, 1960). A dimostrazione dell’interesse di Fante, esiste una bozza di sceneggiatura inedita sulla vita della santa, scritta insieme a Joseph Petracca, fido collaboratore, purtroppo mai portata sul grande schermo.

Il tema religioso è stato dunque una costante anche nelle sceneggiature cinematografiche di Fante; da ricordare in particolar modo Piena di vita, film del 1957 diretto da Richard Quine e tratto dal romanzo dello stesso Fante Full of Life, opera in cui la fede cattolica fa da collante in una coppia di giovani sposi, ma soprattutto va citato Cronache di un convento (nel cast anche un grande Carlo Croccolo e Arnoldo Foà) diretto nel 1962 dal controverso Edward Dmytryk, sulla leggendaria esistenza di san Giuseppe da Copertino.

Vissuto tra il 1603 e il 1663, con uno spiccato feelingfrancescano per gli animali, Giuseppe Maria Desa da Copertino soffrì in vita di una cruda, quasi grottesca emarginazione sociale a causa di un probabile disagio psicologico (ottima l’interpretazione, commossa, di Maximilian Schell) che molti scambiarono per stupidità o ritardo mentale, ma che probabilmente nasceva da una profonda umiltà d’animo e purezza d’intenti. Ma come spesso accade, la luce del Signore tocca i più umili e il potere di Giuseppe di levitare nell’aria — fu visto da reali, increduli testimoni — ha diviso a lungo l’opinione ecclesiastica riguardo il processo di canonizzazione che si concluse solo nel 1767, sotto papa Clemente xiii , più di cento anni dopo la morte del frate.

Fede, malinconia, poesia e una benigna, sognante ironia, tutto converge in questo script — cofirmato con Joseph Petracca — che rendeva Fante orgoglioso di essere cattolico e italiano. I figli Jim e Victoria raccontano che il volto del padre si illuminava al solo ricordo di quel film. Il film Cronache di un convento è leggermente meno riuscito del Re di Poggioreale (Duilio Coletti, 1961), dove predomina il colore della napoletanità e la solidarietà contro ogni astio sociale e bellico, ma non si può certo negare che il film di Dmytryk sia pur sempre un piccolo gioiello cristiano, da vedere e rivedere.

Sul rapporto ondivago, ma pur sempre affascinante, tra cinema e letteratura nella vita di John Fante, una lettura consigliata agli appassionati dell’universo fantiano è il saggio di Matteo Cacco intitolato La strada di John Fante: tra cinema e letteratura (Roma, Edizioni Croce, 2022, pagine 217, euro 16,90, con prefazione di Jim Fante e Victoria Fante Cohen), uno studio approfondito delle le dinamiche letterarie e cinematografiche, tracciate anche in base alla geografia epistolare dello scrittore, tra sogni, ideali e progetti mai realizzati, come quello di Bravo, Burro, favola moderna che aveva fatto innamorare Orson Welles.

di Ignazio Gori