· Città del Vaticano ·

Tra le crepe del sisma per ridare speranza a un popolo ferito

La forza della fragilità
e la Porta di servizio

 La forza  della fragilità  QUO-196
29 agosto 2022

La Porta santa a Collemaggio “parla”. E sì, perché è quella laterale, persino “nascosta” se arrivi dal grande viale. La devi cercare, insomma, senza farti “distrarre” dalla bellezza della porta centrale, quella sotto il rosone nella meravigliosa facciata. Quasi una “porta di servizio”, verrebbe da dire. Ma che servizio! C’è il sigillo” di san Celestino v , insomma. E ora anche di Francesco.

E Francesco si è accostato con la sedia a rotelle alla Porta santa della Perdonanza, voluta proprio da Celestino v a Collemaggio per perdonare, perdonare e ancora perdonare.

Francesco è il primo Pontefice, in 728 anni, a compiere questo antico — e sempre nuovo — gesto che precede di sei anni il primo Giubileo.

Un gesto che conosce bene: per l’Anno santo della misericordia ha spalancato la Porta santa a Banguì, nella Repubblica Centroafricana, e poi a San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e anche all’ostello della Caritas alla stazione Termini. Ma di “porte” il Papa ne ha spalancate ovunque, nelle carceri, negli ospedali, nelle periferie esistenziali.

Proprio davanti alla Porta santa Francesco si alza in piedi. Un applauso del popolo a Collemaggio lo aiuta e lo accompagna in questo gesto. Il Papa non è mai solo, anche — e soprattutto — quando da solo varca la soglia della Porta santa. Entrato nella basilica Francesco si toglie i paramenti in semplicità, in umiltà. E va a pregare, di nuovo sulla sedia a rotelle, davanti a san Celestino v e alla sua «avventura di povero cristiano» secondo l’intuizione di Ignazio Silone, scrittore di questa terra.

Nei gesti del Papa c’è l’essenza della visita all’Aquila e della Perdonanza: stavolta la Porta santa resterà aperta non solo un giorno ma addirittura un anno, secondo il decreto della Penitenzieria apostolica. Aperta al mondo e ai suoi conflitti, non solo agli aquilani.

Tutti gesti di — apparente — fragilità. Ma è quella fragilità evangelica che è la forza più dirompente. E che dà coraggio, coraggio vero, a tutti coloro che stanno vivendo esperienze di dolore, violenza, malattia, disabilità. No, non è facile retorica. È vita.

L’Aquila è una città che non prevede tratti di pianura: salite e discese vanno “a braccetto” e sono ben più che metafora dell’esistenza stessa, fino a essere quasi “icona” della storia di questo popolo tenace.

L’arrivo in elicottero tra la nebbia


L’elicottero con a bordo il Papa, partito alle 8 dal Vaticano, è atterrato a L’Aquila, poco dopo le 8.30, nel campo di atletica “Isaia Di Cesare”, a piazza d’Armi. La fitta nebbia — diradatasi piano piano nella mattinata fino a lasciare spazio a un sole cocente a dispetto delle previsioni di pioggia — ha impedito il previsto atterraggio nello stadio “Gran Sasso”.

È stato Francesco, stesso, parlando a braccio durante l’omelia a Collemaggio, a raccontare il suo arrivo in città: «Non potevamo atterrare: nebbia fitta, tutto scuro, non si poteva. Il pilota dell’elicottero girava, girava, girava... Alla fine ha visto un piccolo buco ed è entrato lì: è riuscito, un maestro». Prendendo poi spunto per suggerire una proposta concreta di conversione: «Con la propria miseria succede lo stesso. Tante volte lì, guardando chi siamo, niente, meno di niente; e giriamo, giriamo... Ma a volte il Signore fa un piccolo buco: mettiti lì dentro».

L’abbraccio in piazza Duomo


In auto il Pontefice ha subito raggiunto piazza Duomo, il “salotto buono” della città. Ad accompagnarlo l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, e monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia.

Al suo arrivo il Papa è stato accolto dal cardinale arcivescovo Giuseppe Petrocchi, con il vescovo ausiliare monsignor Antonio D’Angelo e l’arcivescovo emerito monsignor Giuseppe Molinari, originario della vicina Scoppito, che ha guidato la diocesi dal 1998 (coadiutore già due anni prima) al 2013.

Ha salutato quindi il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, il prefetto, Cinzia Teresa Torraco, e il sindaco, Pierluigi Biondi.

Sul palco, “avvolto” con il colore bianco, due frasi del Pontefice “stampate” a enormi caratteri, perché tutti potessero leggerle e farle proprie nella quotidianità: «Il mondo ha bisogno di pace» e «Il perdono è un diritto umano».

A dar forza a queste parole, sempre sul palco, la tela della Madonna Salus populi aquilani, anch’essa ferita dal sisma.

È stato il cardinale Petrocchi a presentare a Francesco i familiari delle 309 vittime del terremoto del 6 aprile 2009, una delegazione dei detenuti delle carceri abruzzesi (con il presidente del Tribunale di sorveglianza, Maria Rosaria Parruti) e i rappresentanti di associazioni e parrocchie.

Alle persone che hanno perso, in modo drammatico, i loro cari si è anzitutto rivolto il Pontefice. Incoraggiando l’esperienza di preghiera nella Cappella della memoria, allestita nella chiesa cosiddetta “delle anime sante” che qui, sulla piazza, venne costruita per ricordare le vittime di un altro terribile sisma, quello del 1703.

La visita alla cattedrale


Proprio quelle scosse di oltre tre secoli fa distrussero anche la cattedrale di san Massimo e san Giorgio (il patrono di Papa Bergoglio): rimase su solo un muro. Ma proprio da lì, da quel fragile muro pericolante, il popolo aquilano ripartì. Ricostruì. «E ce la faremo pure questa volta!»: Federica Zalabra, direttore regionale Musei d’Abruzzo, che ha accompagnato Francesco nella visita “a ciò che resta” della cattedrale parla al Pontefice di impegno e speranza. Anche perché i fondi ci sono. Era presente Giovanni Legnini, commissario straordinario per la ricostruzione.

Camminando con l’elmetto di protezione in testa (il Papa ne ha indossato uno dei Vigili del fuoco, ai quali non ha mancato di dire “grazie” per il loro servizio) tra macerie — con tanto di vegetazione che sta crescendo — e ponteggi, si vive l’esperienza della precarietà. Il tetto non c’è, impossibile orientarsi in quelle che erano le navate. Pare di visitare un antico sito archeologico. Invece no: qui non si fa archeologia ma, anzi, si progetta il futuro. Nonostante un’apparenza di devastazione che inviterebbe alla rassegnazione.

Uscito dalla cattedrale — sul palazzo attiguo dell’episcopio campeggia la lapide a ricordare che nel 1951 Gesù viene proclamato «re de L’Aquila» — dopo aver salutato le tantissime persone presenti nella piazza centrale che fa anche da “sagrato” al duomo, Francesco con la vettura “panoramica” ha attraversato le strade del centro della città per raggiungere Collemaggio. Accolto da tutti coloro che non hanno trovato posto nei pur ampi spazi di piazza Duomo e della basilica celestiniana. È come se tutta questa gente, ferita, cercasse una “carezza” paterna con un dolore composto, che 13 anni non cancellano. E no, non è affatto retorica. Fin dalle primissime ore ha preso vita un pellegrinaggio di popolo.

La celebrazione a Collemaggio


Sul grande palco allestito per l’altare, sul sagrato della basilica di Collemaggio, il punto di riferimento è stata l’immagine della Madonna di Roio, particolarmente cara al popolo aquilano. È storia che, uscita praticamente illesa dalla seconda guerra mondiale, la città volle ringraziare, con il veneratissimo san Bernardino che qui è sempre “di casa”, proprio la Madonna di Roio. Tanto che l’arcivescovo dell’Aquila Carlo Confalonieri, poi divenuto cardinale, con rito solenne nella piazza del Duomo «poneva sul capo del Divino Bambino e della Madre sua» due corone forgiate con l’oro offerto dal popolo e benedette personalmente da Pio xii .

Con Francesco hanno concelebrato il cardinale arcivescovo Petrocchi con il vescovo ausiliare, i cardinali Beniamino Stella (lo zio Costantino, che lo ha ordinato prete, è stato arcivescovo a L’Aquila tra il 1950 e il 1972) ed Enrico Feroci (originario della vicina Pizzoli), l’arcivescovo sostituto della Segreteria di Stato, sedici arcivescovi e vescovi e circa 130 sacerdoti. Il rito è stato diretto da monsignor Diego Ravelli, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie.

Il Papa ha usato il pastorale consegnatogli mercoledì scorso all’udienza generale, dagli artisti aquilani Laura Caliedo e Gabriele Di Mizio, che si sono ispirati alla ferula usata da san Paolo vi e realizzata dallo scultore Lello Scorzelli.

Alla preghiera dei fedeli è stata espressa la speranza che «l’annuncio coraggioso e fedele della Parola di Dio muova il cuore dei responsabili delle nazioni al dialogo e alla fraternità, per sanare le ferite causate dall’odio, dall’oppressione e dalla guerra».

Si è poi pregato «per i ministri della riconciliazione» e «per le persone in difficoltà a causa della malattia, della solitudine e della povertà».

E, infine, la preghiera per la comunità aquilana «perché, vivendo i giorni festosi della Perdonanza celestiniana, guardi all’essenzialità del messaggio di salvezza e di riconciliazione del Papa santo, per rendere più fecondo il cammino della propria rinascita».

All’offertorio i doni a Francesco sono stati presentati da rappresentanti delle diverse realtà della diocesi. I detenuti hanno portato alcuni oggetti realizzati nei laboratori delle carceri abruzzesi e non sono mancati regali “di famiglia”: il tipico dolce aquilano “Torrone Nurzia” e le ferratelle abruzzesi di Aveja. E, ad accompagnare il rito, il coro della città dell’Aquila (composto da sette corali) e l’orchestra accademica del conservatorio “Alfredo Casella”.

Il sobrio rito dell’apertura della Porta santa


Al termine della celebrazione, il cardinale Petrocchi ha ringraziato il Papa assicurando l’impegno per testimoniare la forza della Perdonanza anche ben al di fuori de L’Aquila, soprattutto dove ci sono conflitti. A Francesco la diocesi ha donato una casula. E il Papa, a sua volta, un calice.

Dopo la messa, il suggestivo e semplice rito dell’apertura della Porta santa della Perdonanza. Il cardinale Petrocchi ha ricordato, nella monizione, l’essenza della Perdonanza. «Aprici completamente la porta della tua misericordia» la preghiera del Pontefice, che con il bastone di ulivo del Getsemani ricevuto dal sindaco, secondo la tradizione rinnovata nel 1983, ha bussato per tre volte. In modo che gli addetti l’aprissero dal di dentro.

«Apritemi le porte della giustizia»; «È questa la porta del Signore»; «Entrerò nella tua casa, Signore»; le espressioni usate dal Papa («un tempo di penitenza e di perdono» perché «la Chiesa abbia la gioia di rinnovarsi interiormente») al momento dell’apertura della Porta. Preceduta dal canto delle litanie dei santi e accompagnata dagli squilli di tromba.

In preghiera davanti a san Celestino V


Quindi la preghiera davanti alle spoglie di san Celestino v , rivestito con i paramenti papali e con il pallio donato da Benedetto xvi che venne qui pellegrino il 28 aprile 2009 per incoraggiare il popolo dopo il terremoto. Giovanni Paolo ii venne a L’Aquila, e a Collemaggio, il 30 agosto 1980 nel sesto centenario della nascita di san Bernardino.

Francesco ha potuto vedere la storica Bolla di concessione della Perdonanza e la statua cinquecentesca della Vergine con il Bambino, attribuita a Saturnino Gatti, ricollocata di recente nella basilica dopo il restauro.

Poi, firmando l’albo dei pellegrini della basilica, in un dialogo con il cardinale arcivescovo ha riaffermato «la bellezza della paternità»: sì, la paternità rende belli e qui a L’Aquila, ha insistito l’arcivescovo, la gente riconosce nel Papa «la bellezza», «un papà».

A Collemaggio il Pontefice ha, infine, salutato le autorità che lo avevano accolto in piazza Duomo.

La partenza dell’elicottero è avvenuta, alle 12.23 sempre dal campo di atletica “Isaia Di Cesare”. Il presidente della società Atletica L’Aquila gli ha donato la maglietta che ricorda l’impegno ad aiutare i più giovani a “ripartire” dopo il terremoto anche attraverso lo sport. Anche la storica squadra di calcio aquilana, fondata nel 1927, ha consegnato al Papa una maglietta.

L’elicottero è atterrato in Vaticano alle 12.45. Ma la carezza del Papa sul volto di un popolo ferito ha appena iniziato a suscitare nuove energie, nuove speranze. In una parola, vita, laddove la morte ha bussato con violenza. La porta santa a Collemaggio, spalancata per un anno di perdono e misericordia, “racconta” e “racconterà” tutto questo meglio di mille parole.

dal nostro inviato
Giampaolo Mattei